Hailé Selassié: differenze tra le versioni

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Figlio di [[Maconnèn Uoldemicaèl|ras Maconnèn Uoldemicaèl]] e cugino del [[negus]] [[Menelik II d'Etiopia]], Hailé Selassié cresce tra la corte imperiale e quella paterna, diventando amministratore e governatore di [[Harar]] all'età di 13 anni. Inoltre, dall'età di 6 anni, ricevette una educazione mista, sia da parte del clero copto, che da un missionario gesuita francese, imparando a padroneggiare bene diverse lingue straniere (in particolare il francese e l'arabo). Divenne anche un lettore compulsivo, dagli ampi interessi. Nel [[1906]] si sposa con [[Menen Asfaù]].
 
Inizialmente è considerato come il possibile successore di suo cugino Menelik, ma il trono va al presunto [[Islam|musulmano]] [[Titoli nobiliari etiopici|ligg]] [[Ligg Iasù|Iasù V]] (la conversione all'islam di Iasù fu sempre negata però dall'interessato, che ha accusato l'imperatrice Zauditù di aver ordito una congiura ai suoi danni usando come scusa le origini islamiche della sua famiglia). Selassié, nel 1916, partecipa a un [[Colpo di Stato|colpo di Stato]], ordito col pretesto di impedire a un musulmano di regnare sul cristianissimo regno di Etiopia, e lo fa deporre, diventando [[reggente]] durante il regno dell'imperatrice [[Zauditù d'Etiopia|Zauditù]]. Il colpo ebbe l'appoggio entusiasta di [[Terza Repubblica francese|Francia]], [[Regno d'Italia (1861-1946)|Italia]] e [[Regno Unito]], perché, durante la grande guerra, Iasù aveva dimostrato diversi contatti con l'Austria Ungheria e la Turchia; ma fu ben accolto anche dalla popolazione, poiché il precedente imperatore aveva una fama di persona incline alla crudeltà ed a una vita di eccessi sessuali, ben poco consona con la tradizione delle élite aristocratiche etiopiche. Il successo del colpo di Stato ad Addis Abeba fece riscontro a una guerra nelle campagne, particolarmente acuta nel 1916-1917, ma che continuò, con alti e bassi, fino al 1924.
 
Durante la reggenza promuove la modernizzazione del Paese e nel [[1923]] ottiene l'ingresso dell'Etiopia nella [[Società delle Nazioni]], primo Paese [[africa]]no a farne parte. Nel [[1924]] è in visita ufficiale in [[Italia]] e in [[Città del Vaticano|Vaticano]], oltre che in diversi altri paesi europei (Francia, Svezia e Gran Bretagna gli tributeranno grandi onori). Viene dapprima incoronato [[negus]] neghesti (re dei re) nel [[1928]] e, alla morte dell'imperatrice, diventa [[imperatore]] il 2 novembre [[1930]] assumendo il nome di Hailé Selassié, che significa "Potenza della Trinità". Nel 1930 vara la prima costituzione etiopica (che stabilisce per l'imperatore ampissimi poteri, ma si ispira per molti versi alla costituzione giapponese del 1889) nel [[1931]] crea un primo [[senato]] di notabili e successivamente fonda l'[[Università di Addis Abeba]].
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Selassié fece ritorno in patria il 20 gennaio del [[1941]], contribuendo alla sconfitta dell'[[Regno d'Italia (1861-1946)|Italia fascista]] e caduta dell'[[Africa Orientale Italiana]] per mano [[Regno Unito|britannica]], con la collaborazione della resistenza etiope guidata dal gruppo ''[[arbegnuoc]]''.<ref>G. Rochat, ''Le guerre italiane 1935-1943'', pp. 300-301.</ref><ref>A. Del Boca, ''Gli italiani in Africa orientale'', vol. III, pp. 338-340 e 458-460.</ref> In particolare l'imperatore riuscì a convincere il governo britannico a inviarlo in Sudan (via aerea con tappa a Malta) per partecipare all'invasione del fronte sud (che i britannici consideravano il meno importante) della colonia, alla guida della Gideon Force, guidata dal maggiore britannico Orde Charles Wingate e formata da truppe britanniche, sudanesi e da due battaglioni della ricostituita guardia imperiale abissina. I rapporti tra l'imperatore e Wingate furono franchi e cordiali, molto più tesi quelli col governo britannico, che voleva sostituirsi agli italiani nella gestione dell'Africa Orientale.
 
Gli appelli dell'imperatore, sia prima del suo rientro in patria, sia durante la campagna, riuscirono a favorire alcune sollevazioni popolari contro gli italiani, ricompattarono in senso monarchico il movimento di guerriglia, costrinsero diversi aristocratici collaborazionisti (come ras Sejum Mangascià, Chebbedé Mangascià, Ghettaciù Abate e il degiàc Ajaleu Burrù) a riconsiderare le loro posizioni e ad abbandonare l'appoggio al governo coloniale. Particolarmente significativo fu il decreto di San Michele, rilasciatopubblicato il 20 gennaio 1941 contestualmente all'ingresso in territorio etiopico dell'imperatore, in cui veniva concessa l'amnistia a tutti gli etiopici che avevano collaborato con gli italiani, e si faceva appello alla popolazione perché, malgrado i numerosi lutti si agisse con cavalleria e rispetto verso i prigionieri italiani: "Io (Sallasié) vi raccomando di accogliere in maniera conveniente e di prendere in custodia tutti gli italiani che si arrenderanno, con o senza armi. Non rinfacciate loro le atrocità che hanno fatto subire al nostro popolo. Mostrate loro che siete dei soldati che possiedono il senso dell'onore e un cuore umano. Vi raccomando particolarmente di rispettare la vita dei bambini, delle donne e del vecchi. Non saccheggiate i beni altrui anche se appartengono al nemico. Non incendiate le case.". Questo proclama servì per attenuare le vendette in corso, e fu rispettato dalle truppe agli ordini diretti dell'imperatore e dalla resistenza popolare monarchica (con relativamente poche eccezioni), anche perché l'intento dell'imperatore era conservare tutte le strutture e i quadri dirigenti portati dal colonialismo italiano e utilizzarli nella gestione del potere imperiale per la ricostruzione del paese, anche in sostituzione di quanto faticosamente aveva costruito tra il 1916 e il 1936, ed era andato distrutto durante la guerra.
 
La Gideon Force proseguì la sua offensiva da sud-ovest rapidamente, anche perché gli italiani concentravano la maggior parte dei loro presidi nello [[Scioa|Scioà]] e contro le truppe anglo-indiane in Eritrea ed anglo-sudafricane in Somalia. Un primo contatto col nemico, in ritirata, avveniva il 6 marzo sulle rive del fiume Bir, contro le truppe del colonnello Natale, che riuscì ad arrestare la carica del II battaglione della guardia imperiale. Questa scaramuccia sanguinosa per entrambi gli schieramenti fu una vittoria italiana sul piano tattico ma etiopica su quello strategico, visto che il Regio Esercito, conscio delle difficoltà dell'impresa e della presenza di reparti regolari e irregolari, dovette ritirarsi rapidamente verso Debrà Marcos, abbandonando la resistenza sulla linea del Bir e, subito dopo, anche quella dei forti di Dembaccià. La ritirata prosegui: Debrà Marcos veniva abbandonata ai collaborazionisti di Ras Hailù, che si arrendevano immediatamente (con promessa di perdono) alle truppe anglo-etiopiche dalla Gideon Force il 4 aprile 1941: era il primo capoluogo di provincia a tornare nelle mani dell'imperatore. Rinforzati dall'arrivo di numerosi guerriglieri i 3.000 uomini della Gideon Force originaria marciavano verso la capitale, mentre altri reparti regolari etiopici sconfiggevano i presidi italiani rimasti a Mota nel Goggiam, e inseguivano il generale Maravetano che era costretto alla resa con 10.000 uomini (per lo più coloniali) nella piana di Agibar, senza riuscire a congiungersi con Amedeo di Savoia sull'Amba Alagi.