Giovanni Amendola: differenze tra le versioni

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Negli anni successivi Amendola scrive alcuni articoli per «La Capitale» (direttore [[Edoardo Arbib]]), su [[esoterismo]] e [[teosofia]]. Tramite Arbib entra in contatto con la Loggia della [[Teosofia|Società Teosofica]], che sul finire dell'Ottocento contava adepti quasi in ogni regione d'Italia. Tra il [[1900]] e il [[1905]] è membro della loggia capitolina, guidata da Isabel Cooper Oakley. Viene introdotto in un mondo cosmopolita, impara l'inglese e il francese.<ref>La moglie ricorda che "allargò il cerchio delle sue conoscenze ed amicizie e lo stesso orizzonte della sua vita". Cfr. Eva Kuhn Amendola, ''Vita con Giovanni Amendola. Epistolario 1903-1926'' Parenti, Firenze, 1960, p. 17</ref> Quando capisce però che la teosofia che sta studiando, lungi dall'essere una teoria scientifica, altro non è che una variante del protestantesimo, lascia la loggia.<ref>{{cita news|autore = Michele Magno|titolo = L'altro Amendola|pubblicazione = [[Il Foglio (quotidiano)|Il Foglio]]|data = 21 dicembre}}</ref> Durante quel periodo conosce l'intellettuale [[Lituania|lituana]] [[Eva Kühn|Eva Oscarovna Kühn]] e se ne innamora. Si sposano religiosamente (con rito [[Valdesi|valdese]]) il 25 gennaio [[1906]] e civilmente il 7 febbraio. Dalla loro unione nasceranno quattro figli: [[Giorgio Amendola|Giorgio]] (1907-1980), Adelaide (1910), Antonio (1916) e [[Pietro Amendola|Pietro]] (1918).
 
La sua ricerca interiore, volta ad individuare una sintesi tra [[misticismo]] e [[razionalismo]], lo porta a studiare la poetica del drammaturgo norvegese [[Henrik Ibsen]] (1828-1906). Scrive due articoli per la rivista letteraria fiorentina «[[Leonardo (rivista)|Leonardo]]» di [[Giovanni Papini]] e [[Giuseppe Prezzolini]].<ref>{{cita libro | Giampiero | Carocci | Giovanni Amendola nella crisi dello stato italiano (1911-1925) | 1956 | Feltrinelli | Milano}} Pag. 11.</ref>, e collabora alla rivista [[Modernismo teologico|modernista]] «[[Il Rinnovamento]]» (1907-1909). Il 24 maggio [[1905]] viene iniziato alla [[Massoneria in Italia|massoneria]] di [[Palazzo Giustiniani (Roma)|Palazzo Giustiniani]], nella [[Loggia massonica|Loggia]] ''[[Giandomenico Romagnosi]]'' all'[[Grande Oriente d'Italia|Oriente di Roma]].<ref>Vittorio Gnocchini, ''L'Italia dei Liberi Muratori. Brevi biografie di Massoni famosi'', Roma-Milano, Erasmo Edizioni-Mimesis, 2005, p. 12.</ref> L'anno successivo soggiorna con la moglie a [[Berlino]] e a [[Lipsia]], dove segue i corsi di [[Wilhelm Wundt]] (1832-1920), fondatore di un noto metodo sperimentale in psicologia. Nel 1908 abbandona la massoneria.<ref name="Michele Magno, op.cit.">Michele Magno, ''op.cit.''</ref>
 
Nell'ottobre [[1909]] si stabilisce con la famiglia a [[Firenze]], dove dirige la Biblioteca filosofica. Tenta di fondare una rivista di studi religiosi di d'ispirazione modernista finanziata da [[Alessandro Casati]] (che Amendola aveva conosciuto ai tempi della collaborazione a «Rinnovamento»), ma il progetto non vede la luce. Collabora con «[[La Voce (rivista)|La Voce]]», fondata nel 1908 da Prezzolini. Nel [[1911]] fonda e dirige una sua rivista assieme a Papini, «L'Anima» (1911). In quell'anno si laurea in [[filosofia]] con una tesi su [[Immanuel Kant]] (''La [[Categoria (filosofia)|Categoria]]. Appunti critici sullo svolgimento della critica delle Categorie da Kant a noi''). In quell'anno la questione più scottante del dibattito politico italiano è l'utilità di un intervento militare in [[Libia]]. Amendola, critico in un primo tempo verso la [[Guerra italo-turca|campagna coloniale in LibiaAfrica]], dopo l'inizio del conflitto appoggia tuttavia lo sforzo bellico, dalle colonne della «Voce», dopo l'inizio del conflitto, contribuendo a far aderire all'impresa libica la rivista stessa.<ref>G. Carocci, ''op.cit'', pag. 20.</ref>
 
Collabora con «[[il Resto del Carlino]]» con articoli di carattere culturale, grazie ai buoni uffici di [[Mario Missiroli (giornalista)|Mario Missiroli]].<ref name="Michele Magno, op.cit."/>, per diventare poi (luglio [[1912]]) corrispondente da [[Roma]] del quotidiano. Alla vigilia delle [[Elezioni politiche italiane del 1913|elezioni del 1913]] sollecita i radicali a schierarsi con [[Giovanni Giolitti]] (capo del governo) e a staccarsi dai socialisti. Le elezioni, confermaronole laprime maggioranzaa uscente;svolgersi risultanocon inoltreil quasisuffragio tuttiuniversale eletti i candidati del [[Patto Gentiloni]]. Amendola non è contrario all'ingresso dei cattolici nella vita nazionalemaschile, maconfermarono sila esprimemaggioranza controuscente; lai creazione diradicali unottennero partito62 confessionaleseggi.
 
TentaAmendola tenta la carriera accademica ottenendo la libera docenza in Filosofia teoretica, ma nel 1913 non ottiene nessuna cattedra. L'anno successivo (aprile 1914) è nominato per un anno docente di Filosofia teoretica all'[[Università di Pisa]]. Pochi mesi dopo (giugno) viene assunto alla redazione romana del «[[Corriere della Sera]]» (già all'epoca il maggiore quotidiano italiano). Rinuncia per sempre all'attività accademica, per rimanere a Roma e avviarsi alla carriera pubblicistica e politica.
 
Incalzando gli avvenimenti, Amendola ritiene che la guerra contro l'[[Austria-Ungheria]] sia diventata inevitabile. Egli ritiene che un conflitto possa essere utile al ritorno alla madrepatria dei territori italiani ancora sotto dominio austriaco<ref>{{cita|A. Sarubbi|p. 23|Sarubbi, 1986}}</ref>. Mantenendo posizioni [[irredentismo|irredentiste]] democratiche, si schiera per l'intervento italiano nella [[prima guerra mondiale]]. Tenente di artiglieria sul fronte dell'[[Isonzo]], è insignito di una medaglia di bronzo al [[valor militare]]. Tornato in Italia, la carriera pubblicistica e quella politica proseguono parallelamente. Nel [[1916]] è capo dell'ufficio di Romaromano del «Corriere della Sera». Nel [[1918]] è tra i promotori del Patto di Roma, un accordo tra rappresentanti delle varie nazionalità sottomesse agli Asburgo per lo smembramento dell'impero austro-ungarico e l'autodeterminazione dei popoli. Tale iniziativa venne poi contraddetta dalla politica del ministro degli Esteri italiano [[Sidney Sonnino]], con il quale Amendola polemizzò duramente tra il [[1918]] e il [[1919]].<ref>Giovanni Amendola: ''Il Patto di Roma e la "polemica"''. (Discorso tenuto da Giovanni Amendola, il 18 maggio 1919, agli elettori del Collegio di [[Mercato San Severino|Mercato S. Severino]]). Tipografia Fischetti, Sarno 1919. Online: [http://www.archive.org/details/ilpattodiromaela00amenuoft Il patto di Roma e la "polemica" : discorso tenuto da Giovanni Amendola, il 18 maggio 1919, agli elettori del Collegio di Mercato S. Severino: Amendola, Giovanni, 1882-1926]</ref>
 
=== Deputato alla Camera ===
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Qualche mese dopo propone a [[Benedetto Croce]] di scrivere un manifesto che riunisse le maggiori intelligenze antiregime (da tale appello nacque poi il [[Manifesto degli intellettuali antifascisti]]). La secessione dell'Aventino non produce i risultati sperati, poiché alla fine del 1924 il [[governo Mussolini]] è ancora in carica.
 
=== L'aggressione e la mortemalattia ===
All'inizio del [[1925]] Mussolini dà il giro di vite decisivo alla già repressiva politica del governo nei confronti delle opposizioni. Il 20 luglio 1925 Giovanni Amendola viene aggredito da una quindicina di uomini armati di bastone in località La Colonna a [[Pieve a Nievole]], oggi in [[provincia di Pistoia]]. L'attentato, organizzato dallo squadrista [[Carlo Scorza]], futuro segretario del [[Partito Nazionale Fascista|Partito nazionale fascista]], è l'ultimo di una lunga serie di intimidazioni ricevute dal deputato, dal figlio [[Giorgio Amendola|Giorgio]] e dalla redazione de ''[[Il Mondo (quotidiano)|Il Mondo]]''. Amendola decide di farsi curare a [[Parigi]], dove si reca alla fine dell'anno e agli inizi del [[1926]]. Viene operato poiché i chirurghi hanno rilevato un [[ematoma]] (un [[tumore]], secondo il figlio Giorgio)<ref>Cfr. ''Un'isola'', Milano, Rizzoli, 1980.</ref> sulla regione corrispondente all'emitorace sinistro.