Giovanni Amendola: differenze tra le versioni

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| successore = [[Luigi Federzoni]]
| titolo di studio= Laurea in [[Filosofia]]<!-- Laurea in Filosofia !-->
| partito= [[Partito Socialista Italiano|PSI]] (1897-1898)<br/>[[Partito Radicale Italiano|PR]] (1898-1919)<br/>[[Democrazia Liberale (partito)|DL]] (1919-1922)<br/>[[Partito della Democrazia Sociale|PDS]] (1922)<br/>[[Partito Democratico Italiano (1922)|PDI]] (1922-1924)<br/>[[Unione Nazionale (Italia)|UN]] (1924-1926)
| professione= Politico<!-- Docente universitario, pubblicista, giornalista !-->
|nome= Giovanni Amendola
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Nasce a [[Napoli]]<ref>{{Treccani|giovanni-amendola_(Dizionario-Biografico)|AMENDOLA, Giovanni}}</ref> nel [[1882]] da Pietro, originario di [[Sarno]], carabiniere, e Adelaide Bianchi.<ref>Giorgio Amendola, ''Una scelta di vita'', Rizzoli, Milano 1976, pag. 12.</ref> A due anni è con i genitori a [[Firenze]], dove il padre presta servizio per l'Arma. Si trasferisce poi a [[Roma]], dove consegue la licenza media. A quindici anni (1897) s'iscrive alla gioventù socialista. L'anno successivo (1898) è apprendista al quotidiano del [[Partito Radicale Italiano]] «La Capitale». Nello stesso anno avvengono a Milano i [[Moti popolari del 1898|moti popolari]]. La repressione ordinata dal governo impone lo scioglimento di molte sedi socialiste in tutta Italia. Amendola viene arrestato per aver voluto impedire la chiusura della sede romana.
 
Negli anni successivi Amendola scrive alcuni articoli per «La Capitale» (direttore [[Edoardo Arbib]]), su [[esoterismo]] e [[teosofia]]. Tramite Arbib entra in contatto con la Loggia della [[Teosofia|Società Teosofica]], che sul finire dell'Ottocento contavaconta adepti quasi in ogni regione d'Italia. Tra il [[1900]] e il [[1905]] è membro della loggia capitolina, guidata da Isabel Cooper Oakley. Viene introdotto in un mondo cosmopolita, impara l'inglese e il francese.<ref>La moglie ricorda che "allargò il cerchio delle sue conoscenze ed amicizie e lo stesso orizzonte della sua vita". Cfr. Eva Kuhn Amendola, ''Vita con Giovanni Amendola. Epistolario 1903-1926'' Parenti, Firenze, 1960, p. 17</ref> Quando capisce però che la teosofia che sta studiando, lungi dall'essere una teoria scientifica, altro non è che una variante del protestantesimo, lascia la loggia.<ref>{{cita news|autore = Michele Magno|titolo = L'altro Amendola|pubblicazione = [[Il Foglio (quotidiano)|Il Foglio]]|data = 21 dicembre}}</ref> Durante quel periodo conosce l'intellettuale [[Lituania|lituana]] [[Eva Kühn|Eva Oscarovna Kühn]] e se ne innamora. Si sposano religiosamente (con rito [[Valdesi|valdese]]) il 25 gennaio [[1906]] e civilmente il 7 febbraio. Dalla loro unione nasceranno quattro figli: [[Giorgio Amendola|Giorgio]] (1907-1980), Adelaide (1910), Antonio (1916) e [[Pietro Amendola|Pietro]] (1918).
 
La sua ricerca interiore, volta ad individuare una sintesi tra [[misticismo]] e [[razionalismo]], lo porta a studiare la poetica del drammaturgo norvegese [[Henrik Ibsen]] (1828-1906). Scrive due articoli per la rivista letteraria fiorentina «[[Leonardo (rivista)|Leonardo]]» di [[Giovanni Papini]] e [[Giuseppe Prezzolini]]<ref>{{cita libro | Giampiero | Carocci | Giovanni Amendola nella crisi dello stato italiano (1911-1925) | 1956 | Feltrinelli | Milano}} Pag. 11.</ref>, e collabora alla rivista [[Modernismo teologico|modernista]] «[[Il Rinnovamento]]» (1907-1909). Il 24 maggio [[1905]] viene iniziato alla [[Massoneria in Italia|massoneria]] di [[Palazzo Giustiniani (Roma)|Palazzo Giustiniani]], nella [[Loggia massonica|Loggia]] ''[[Giandomenico Romagnosi]]'' all'[[Grande Oriente d'Italia|Oriente di Roma]].<ref>Vittorio Gnocchini, ''L'Italia dei Liberi Muratori. Brevi biografie di Massoni famosi'', Roma-Milano, Erasmo Edizioni-Mimesis, 2005, p. 12.</ref> L'anno successivo soggiorna con la moglie a [[Berlino]] e a [[Lipsia]], dove segue i corsi di [[Wilhelm Wundt]] (1832-1920), fondatore di un noto metodo sperimentale in psicologia. Nel 1908 abbandona la massoneria.<ref name="Michele Magno, op.cit.">Michele Magno, ''op.cit.''</ref>
 
Nell'ottobre [[1909]] si stabilisce con la famiglia a [[Firenze]], dove dirige la Biblioteca filosofica. Tenta di fondare una rivista di studi religiosi d'ispirazione modernista finanziata da [[Alessandro Casati]] (che Amendola aveva conosciuto ai tempi della collaborazione a «Rinnovamento»), ma il progetto non vede la luce. Collabora con «[[La Voce (rivista)|La Voce]]», fondata nel 1908 da Prezzolini. Nel [[1911]] fonda e dirige una sua rivista assieme a Papini, «L'Anima» (1911). In quell'anno si laurea in [[filosofia]] con una tesi su [[Immanuel Kant]] (''La [[Categoria (filosofia)|Categoria]]. Appunti critici sullo svolgimento della critica delle Categorie da Kant a noi''). In quell'anno laLa questione più scottante del dibattito politico italiano è l'utilità di un intervento militare in [[Libia]]. Amendola, critico in un primo tempo verso la [[Guerra italo-turca|campagna coloniale in Africa]], dopo l'inizio del conflitto appoggia lo sforzo bellico dalle colonne della «Voce», contribuendo a far aderire all'impresa libica la rivista stessa.<ref>G. Carocci, ''op.cit'', pag. 20.</ref>
 
Collabora con «[[il Resto del Carlino]]» con articoli di carattere culturale, grazie ai buoni uffici di [[Mario Missiroli (giornalista)|Mario Missiroli]]<ref name="Michele Magno, op.cit."/>, per diventare poi (luglio [[1912]]) corrispondente da [[Roma]] del quotidiano. Alla vigilia delle [[Elezioni politiche italiane del 1913|elezioni del 1913]] sollecita i radicali a schierarsi con [[Giovanni Giolitti]] (capo del governo) e a staccarsisepararsi dai socialisti. Le elezioni, le prime a svolgersi con il [[suffragio universale]] maschile, confermaronoconfermano la maggioranza uscente; i radicali ottenneroguadagnano 62 seggi sedendosi tra i banchi dell'opposizione.
 
Amendola tenta la carriera accademica ottenendo la libera docenza in Filosofia teoretica, ma nel 1913 non ottiene nessuna cattedra. L'anno successivo (aprile 1914) è nominato per un anno docente di Filosofia teoretica all'[[Università di Pisa]]. Pochi mesi dopo (giugno) viene assunto alla redazione romana del «[[Corriere della Sera]]» (già all'epoca il maggiore quotidiano italiano). RinunciaLe sue convinzioni liberali e la sua posizione distaccata nei confronti della sinistra parlamentare coincidono con la linea del quotidiano di Albertini<ref>{{cita|A. Sarubbi|p. 24|Sarubbi, 1986}}</ref>. Amendola rinuncia per sempre all'attività accademica, per rimanere a Roma e avviarsi alla carriera pubblicistica e politica.
 
Incalzando gli avvenimenti internazionali, Amendola ritiene che la guerra contro l'[[Austria-Ungheria]] sia diventata inevitabile. Egli ritiene che un conflitto possa essere utile al ritorno alla madrepatria dei territori italiani ancora sotto dominio austriaco<ref>{{cita|A. Sarubbi|p. 23|Sarubbi, 1986}}</ref>. Mantenendo posizioni [[irredentismo|irredentiste]], si schiera per l'intervento italiano nella [[prima guerra mondiale]]. TenenteCome gran parte dei liberali italiani, vede nella guerra una possibilità di risorgimento morale del Paese. Arruolatosi come tenente di artiglieria sul fronte dell'[[Isonzo]], è insignito di una medaglia di bronzo al [[valor militare]]. Tornato in Italia, la carriera pubblicistica e quella politica proseguono parallelamente. Nel [[1916]] è capo dell'ufficio romano del «Corriere della Sera». Nel [[1918]] è tra i promotori del Patto di Roma, un accordo tra rappresentanti delle varie nazionalità sottomesse agli Asburgo per lo smembramento dell'impero austro-ungarico e l'autodeterminazione dei popoli. Tale iniziativa venneviene poi contraddetta dalla politica del ministro degli Esteri italiano [[Sidney Sonnino]], con il quale Amendola polemizzòpolemizza duramente tra il [[1918]] e il [[1919]].<ref>Giovanni Amendola: ''Il Patto di Roma e la "polemica"''. (Discorso tenuto da Giovanni Amendola, il 18 maggio 1919, agli elettori del Collegio di [[Mercato San Severino|Mercato S. Severino]]). Tipografia Fischetti, Sarno 1919. Online: [http://www.archive.org/details/ilpattodiromaela00amenuoft Il patto di Roma e la "polemica" : discorso tenuto da Giovanni Amendola, il 18 maggio 1919, agli elettori del Collegio di Mercato S. Severino: Amendola, Giovanni, 1882-1926]</ref>
 
=== Deputato alla Camera ===
[[File:Lapide Amendola.jpg|thumb|La lapide commemorativa dell'inizio dell'attività politica di Amendola, posta sulla facciata del palazzo municipale in piazza IV Novembre]]
Alle [[Elezioni politiche italiane del 1919|elezioni politiche del 1919]] Amendola si candida con il partito «[[Democrazia liberale (partito)|Democrazia Liberale]]».<ref name="Michele Magno, op.cit."/> È eletto nel collegio di [[Salerno]]. insieme ad [[Andrea Torre]] e ad altri tre candidati della lista. Entra così per la prima volta in Parlamento. La sua lista sostiene la corrente che fa capo al leader [[Partito Radicale Italiano|radicale]] [[Francesco Saverio Nitti]], personaggio con il quale rimarràstringe in contatto finouna allalunga morteamicizia. Il Salernitano eraè la sua base elettorale più importante, anche se non ebbeottiene mai un controllo completo della provincia, giacché eraè contrastato dai liberali legati a [[Giovanni Giolitti]], rappresentati in provincia da [[Giovanni Camera]]<ref>{{Cita pubblicazione|nome=Erminio|cognome=Fonzo|titolo=Il fascismo conformista. Le origini del regime nella provincia di Salerno (1920-1926)|accesso=16 gennaio 2017|url=http://www.academia.edu/5034492/Il_fascismo_conformista._Le_origini_del_regime_nella_provincia_di_Salerno_1920-1926_}}</ref>. Nonostante l'impegno parlamentare Amendola non rinuncia all'attività giornalistica, anzi prosegue la sua carriera su entrambi i fronti: quello giornalistico e quello politico.
 
È rieletto alla Camera nel maggio [[1921]]; entra nel gruppo parlamentare "Democrazia unitaria". Poi lascia il «Corriere della Sera» per fondare un nuovo quotidiano con [[Andrea Torre]] (anch'egli salernitano e proveniente dal «Corriere») e [[Giovanni Ciraolo]]. Il 26 gennaioNel [[1922]] si susseguono rapidamente molti avvenimenti. Il 26 gennaio vede la luce '''«[[Il Mondo (quotidiano)|Il Mondo]]»''', destinato a diventare nel giro di pochi anni una delle voci più autorevoli della stampa democratica. ProtesoUn admese unificaredopo i vari gruppi liberaldemocratici in Parlamento,cade il 29debole aprilegoverno [[1922]] Amendola fonda il Partito della Democrazia SocialeBonomi. Poi, alleandosi con Nitti, fonda il «Partito democratico italiano» (giugno 1922). Alla nuova formazione aderiscono 32 deputati. Il gruppo dei fondatori del «Mondo» si spacca: Andrea Torre cede infatti «Il Mondo» alla corrente di Amendola. L'anno seguente aderirà al fascismo.<ref>Nuovi finanziamenti del quotidiano furono forniti dal ricco proprietario siciliano Filippo Pecoraino, già finanziatore dell'«[[L'Ora|Ora]]» di Palermo.</ref> In febbraio Amendola è chiamato nel [[Governo Facta I|primo governo Facta]], in quota liberaldemocratica, a ricoprire la carica di ministro delle Colonie.
In aprile il gruppo di democrazia liberale alla Camera (di cui Amendola fa parte) si sfalda in tre parti: dei 79 deputati di cui è composto, 40 costituiscono un nuovo gruppo (“democrazia”), 16 si uniscono al gruppo di democrazia sociale e solo 23 membri rimangono nel gruppo originario<ref>{{cita|A. Sarubbi|p. 32|Sarubbi, 1986}}</ref>. Amendola prende posizione contro tale frammentazione. Proteso ad unificare i gruppi liberaldemocratici in Parlamento, in giugno fonda con Nitti il «Partito democratico italiano». Alla nuova formazione aderiscono 35 deputati. Una conseguenza indesiderata si verifica al giornale: il direttore Andrea Torre lascia «Il Mondo», cedendo il quotidiano alla corrente di Amendola, il quale ne fa il giornale di riferimento della propria formazione politica. Ben 29 deputati sono meridionali. Non a caso, la diffusione del giornale prediligerà le regioni del Mezzogiorno e i finanziamenti proverranno da industriali del Sud<ref>Il quotidiano fu sovvenzionato dal ricco proprietario siciliano Filippo Pecoraino, già finanziatore dell'«[[L'Ora|Ora]]» di Palermo.</ref>.
 
=== L'opposizione al fascismo ===
Dopo la [[marcia su Roma]] e l'insediamento del governo Mussolini (16 novembre 1922) Amendola sceglie una linea di ferma opposizione. Difensore delle prerogative del Parlamento, si schiera decisamente contro il [[governo Mussolini]], non accettando le posizioni di compromesso che avanzano altri esponenti della classe dirigente liberale, come [[Giovanni Giolitti]] e [[Antonio Salandra]]. Scrive ad esempio in quegli anni<ref>{{Cita pubblicazione|data=ottobre 2001|autore= [[Emilio Gentile]]|titolo= Fascismo e antifascismo: I partiti italiani fra le due guerre |collana=Quaderni di Storia (fondata da [[Giovanni Spadolini]])|editore= Firenze: Felice Le Monnier, 2000, p. 545.|rivista=The American Historical Review|accesso=26 gennaio 2019|doi=10.1086/ahr/106.4.1496|url=http://dx.doi.org/10.1086/ahr/106.4.1496}}</ref>: "Il fascismo ha le pretese di una religione, le supreme ambizioni e le inumane intransigenze di una crociata". A causa delle sue posizioni critiche verso il regime subìsubisce frequenti intimidazioni e aggressioni, che sfociarono nell'aggressione fisica il 26 dicembre [[1923]] a Roma, quando viene bastonato da quattro fascisti e ferito alla testa.
 
Nell'aprile [[1924]] si candida alla Camera nella circoscrizione della [[Campania]]. Viene rieletto, diventando uno degli esponenti più in vista dell'opposizione. Nel mese successivo dà vita all'«Unione meridionale», trasformata in [[Unione Nazionale (Italia)|Unione Nazionale]] nel novembre successivo. Dopo il [[Giacomo Matteotti|delitto Matteotti]] Amendola scrive sul «Mondo» (giugno 1924): “Quanto alle opposizioni, è chiaro che in siffatte condizioni, esse non hanno nulla da fare in un Parlamento che manca della sua fondamentale ragione di vita. […] Quando il Parlamento ha fuori di sé la milizia e l'illegalismo, esso è soltanto una burla”.<ref name="Michele Magno, op.cit."/> Successivamente coalizza le opposizioni (socialista, cattolica e liberale) in quella che passerà alla storia come «[[Secessione dell'Aventino]]». Annuncia che non avrebbe partecipato alle attività parlamentari fino a quando non fosse stata ripristinata la legalità. Insieme al socialista [[Filippo Turati]], promuove una linea di opposizione non violenta al governo, confidando che, dinnanzi alle responsabilità del fascismo nella morte di Matteotti, il re si decida a nominare un nuovo governo. È contrario a qualsiasi partecipazione popolare nella lotta per abbattere il governo Mussolini ma, allo stesso tempo, rimane ostile a ricercare accordi con altri oppositori del fascismo che non avevano aderito all'Aventino ed erano restati in aula, vale a dire i [[Partito Comunista d'Italia|comunisti]].
 
Qualche mese dopo propone a [[Benedetto Croce]] di scrivere un manifesto che riunisseriunisca le maggiori intelligenze antiregime (da tale appello nacque poinasce il [[Manifesto degli intellettuali antifascisti]]). La secessione dell'Aventino non produce i risultati sperati, poiché alla fine del 1924 il [[governo Mussolini]] è ancora in carica.
 
=== L'aggressione, l'infermità e la morte ===
All'inizio del [[1925]] Mussolini dà il giro di vite decisivo alla già repressiva politica del governo nei confronti delle opposizioni. Il 20 luglio 1925 Giovanni Amendola viene aggredito da una quindicina di uomini armati di bastone in località La Colonna a [[Pieve a Nievole]], oggi in [[provincia di Pistoia]]. L'attentato, organizzato dallo squadrista [[Carlo Scorza]], futuro segretario del [[Partito Nazionale Fascista|Partito nazionale fascista]], è l'ultimo di una lunga serie di intimidazioni ricevute dal deputato, dal figlio [[Giorgio Amendola|Giorgio]] e dalla redazione dedel ''«[[Il Mondo (quotidiano)|Il Mondo]]''». Amendola decide di farsi curare a [[Parigi]], dove si reca alla fine dell'anno e agli inizi del [[1926]]. Viene operato poiché i chirurghi hanno rilevato un [[ematoma]] (un [[tumore]], secondo il figlio Giorgio)<ref>Cfr. ''Un'isola'', Milano, Rizzoli, 1980.</ref> sulla regione corrispondente all'emitorace sinistro.
 
Per favorire il decorso post-operatorio i familiari trasferiscono Amendola a [[Cannes]], in [[Provenza]], ma egli muore all'alba del 7 aprile 1926 nella clinica Le Cassy Fleur, non essendosi mai ripreso dalle percosse ricevute<ref>«Colpito da un male incurabile», secondo il sarcastico commento di [[Antonio Casertano]], [[Presidenti della Camera dei deputati|Presidente della Camera dei deputati]].</ref>. Venne sepolto da esule a Cannes sotto una lapide che recita: «Qui vive Giovanni Amendola...aspettando». Solo nel 1950 la sua salma tornerà in Italia, nel [[Cimitero di Poggioreale]] a Napoli.
 
== Gli eredi ==
Amendola ebbeha avuto quattro figli:
 
* [[Giorgio Amendola|Giorgio]] (Roma, 21 novembre [[1907]] – Roma, 5 giugno 1980)