Battaglia delle Alpi Occidentali: differenze tra le versioni

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|Comandante1=[[Umberto II di Savoia|Umberto di Savoia]] <small>(Gruppo armate ovest)</small><br />[[Alfredo Guzzoni]] <small>(4ª Armata)</small><br />[[Pietro Pintor]] <small>(1ª Armata)</small>
|Comandante2=[[René Olry]]<br><small>([[Armée des Alpes]])</small>
|Effettivi1= ~300.000 uomini<ref>{{cita|Bocca|p. 147}}.</ref><ref name=Rochat248>{{citaCita|Rochat|p. 248}}.</ref>
|Effettivi2= ~85.000 uomini <small>(175.000 sommando i servizi)</small><ref name=Rochat248/>
|Perdite1=631/642 morti<br />616 dispersi<br />2.631 feriti<br />2.151 congelati<ref name=Rochat250>{{cita|Rochat|p. 250}}.</ref><ref>[[Giorgio Bocca]] stima in 2.631 sa i feriti che i congelati, mentre per lo storico [[Giorgio Rochat]] quella cifra intende solo i feriti, mentre sempre secondo Rochat i morti ufficiali sarebbero 642 mentre Bocca riporta 631. Vedi: {{cita|Bocca|p. 161}} e {{cita|Rochat|p 250}}.</ref>
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In caso di guerra i preparativi vennero delineati nel piano P.R.12 messo a punto dallo stato maggiore dell'esercito nel febbraio 1940, che prevedeva una condotta strettamente difensiva sulle [[Alpi Occidentali]], ed eventuali offensive da iniziare solo in «condizioni favorevoli» in [[Jugoslavia]] e in [[Egitto]], [[Gibuti]] e [[Somalia britannica]]. Si trattava di indicazioni di massima per la dislocazione delle forze disponibili, non di piani operativi, per i quali veniva data libertà di improvvisazione al duce<ref>{{cita|Rochat|pp. 242-243}}.</ref>. Mancava una strategia complessiva, obiettivi concreti e un'organizzazione della guerra<ref>{{cita|Rochat|p. 244}}.</ref>, e tutto ciò fu evidente fin da subito, quando dopo la dichiarazione di guerra lo stato maggiore generale diramò il 7 giugno l'ordine 28op.: «A conferma di quanto comunicato nella riunione dei capi di stato maggiore tenuta il giorno 5 [giugno] ripeto che l'idea precisa del duce è la seguente: tenere contegno assolutamente difensivo verso la Francia sia in terra che in aria. In mare: se si incontrano forze francesi miste a forze inglesi, si considerino tutte forze nemiche da attaccare; se si incontrano solo forze francesi, prendere norma dal loro contegno e non essere i primi ad attaccare, a meno che ciò ponga in condizioni sfavorevoli.» In base a quest'ordine l'aeronautica ordinò di non effettuare alcuna azione offensiva, ma solo di compiere ricognizioni aeree mantenendosi in territorio nazionale<ref>{{cita|Faldella|pp. 165-166}}.</ref>, e altrettanto fecero l'esercito e la marina, la quale non aveva alcuna intenzione di uscire dalle acque nazionali, salvo per il controllo del [[canale di Sicilia]], ma senza garantire le comunicazioni con la Libia<ref name=Rochat243>{{cita|Rochat|p. 243}}.</ref>.
Tutti i piani dell'esercito italiano, dall'Ottocento al 1940, prevedevano per un'ipotetica guerra contro la Francia un atteggiamento difensivo sulle Alpi, cercando eventuali sbocchi offensivi sul [[Reno]] in appoggio ai tedeschi o nel [[Mar Mediterraneo]]. Ma nel giugno 1940 si delinearono subito le deficienze della guerra fascista a cominciare dall'impostazione strategica: con le brillanti vittorie tedesche a nord era inutile e impraticabile un attacco italiano lungo il Reno<ref>{{cita|Rochat|pp. 247-248}}.</ref>, mentre sul mare la flotta italiana, nonostante il promemoria di Mussolini del 31 marzo prevedesse una «offensiva su tutta la linea nel Mediterraneo e fuori»<ref>{{cita|Bauer|p. 188}}.</ref>, non aveva nessuna intenzione di muoversi all'attacco<ref name=Rochat243/>.
Vennero così concentrate lungo il confine due armate, la [[1ª Armata (Regio Esercito)|1ª Armata]] comandata dal [[generale]] [[Pietro Pintor]] schierata dal mare fino al [[monte Granero]], e la [[4ª Armata (Regio Esercito)|4ª Armata]] del generale [[Alfredo Guzzoni]] fino al [[monte Dolent]]; assieme costituivano il Gruppo armate ovest al comando «dell'impalpabile» [[principe]] [[Umberto II di Savoia|Umberto]]<ref name=Rochat248/>, mentre l'alto comando delle operazioni venne affidato al generale [[Rodolfo Graziani]], un ufficiale esperto di guerre coloniali contro nemici inferiori per uomini e mezzi, che non aveva mai avuto un comando su un fronte europeo<ref>{{cita|Bocca|p. 149}}.</ref> e che non aveva nessuna familiarità con la frontiera occidentale<ref>{{cita|Faldella|p. 176}}.</ref>. Un totale di 22 divisioni per circa 300.000 uomini e 3000 cannoni, con grossi concentramenti di forze di riserva nella [[Pianura Padana]] senza precise disposizioni strategiche: «L'Italia entrava in guerra senza essere attaccata, né sapere dove attaccare, addensava le truppe alla frontiera francese perché non aveva altri obiettivi»<ref name=Rochat248>{{cita|Rochat|p. 248}}.</ref>.
 
Le truppe italiane schierate al confine risultavano impreparate sotto ogni aspetto: la stragrande maggioranza non era motivata da alcun odio contro il nemico, non era addestrata a impieghi specifici come l'assalto a opere fortificate o l'aviotrasporto, i serventi delle batterie dei forti non avevano ricevuto le relative tavole di tiro e all'inizio delle ostilità moltissime unità vennero schierate senza essere al completo. Il comando militare conosceva molto bene la situazione e sapeva che solo un terzo degli uomini era pronto a combattere ai primi di giugno, nonostante la mancanza cronica di mezzi motorizzati, indumenti adatti ad il clima montano, e in alcuni casi di pali per i reticolati, telefoni da campo, forni per il pane e scarponi chiodati<ref>{{cita|Bocca|pp. 147-148}}.</ref>. A riscontro di ciò c'è l'annotazione del ministro [[Giuseppe Bottai]], in quei giorni tra i richiamati e schierato in [[Nervia|Val Nervia]], il quale scrisse: «Non è la penuria di grandi mezzi che colpisce, ma una incuria più minuta e desolante, da ogni parte si ricorre agli espedienti di ogni giorno, ai mezzucci, ai ripieghi e alle bugie»<ref>{{cita|Bocca|p. 147}}.</ref>.
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A Monaco, Mussolini consegnò le sue esose richieste a Hitler che prevedevano tra le altre cose anche la smobilitazione dell'esercito francese, la consegna di tutto l'armamento collettivo, l'occupazione fino alla linea del [[Rodano (dipartimento)|Rodano]], teste di ponte a [[Lione]], [[Avignone]] e [[Valence (Drôme)|Valenza]], l'intera Corsica, la Tunisia e la Somalia francese, la libertà di occupare in qualsiasi momento i punti strategici della Francia e delle sue colonie e la denuncia dell'alleanza con la Gran Bretagna. Il führer nel suo giorno del trionfo si rivelò calmo e generoso, e acconsentì alle richieste italiane eccezion fatta per la consegna della flotta, dato che i francesi avrebbero preferito consegnarla ai britannici piuttosto che privarsene. Hitler dichiarò inoltre che la Germania non avrebbe concesso l'armistizio alla Francia se essa non lo avesse accettato anche dall'Italia<ref name=Bocca154-155>{{cita|Bocca|pp. 154-155}}.</ref>, mentre il generale [[Wilhelm Keitel]] rassicurò [[Mario Roatta]] dichiarando che l'esercito tedesco non avrebbe allentato la presa e che avrebbe lanciato colonne corazzate alle spalle dell'Armata delle Alpi, nel momento stesso in cui questa sarebbe stata attaccata dall'esercito italiano<ref>{{cita|Bauer|p. 224}}.</ref>. Mussolini tornò a Roma conscio del fatto che nei pochi giorni che mancavano alla firma dell'armistizio bisognasse attaccare a tutti i costi<ref name=Bocca154-155/>.
 
L'ordine di Mussolini era quello di attaccare il prima possibile, ma appena giunto nella capitale il dittatore riprese con i suoi ordini contrastanti: a Monaco si era deciso di comune accordo di aviotrasportare a Lione truppe italiane per l'occupazione della valle del Rodano, ma dopo nove ore dalla decisione, Mussolini ebbe un ripensamento; era evidente che quella occupazione tenuta a balia dai tedeschi fosse una vergogna, e telefonò a Hitler per comunicargli che non vi avrebbe partecipato. Il duce era ora deciso ad attaccare su tutto il fronte per prendersi con le proprie forze più terreno possibile, salvo poi avere un ripensamento e quindi cambiare nuovamente idea il 20 giugno, quando i tedeschi fecero sapere di essere pronti a muoversi verso [[Chambéry]] e [[Grenoble]] non appena avessero avuto notizie dagli italiani<ref name=Bocca156>{{citaCita|Bocca|p. 156}}.</ref><ref>{{cita|Faldella|p. 175}}.</ref>.
Nel pomeriggio di quello stesso giorno Mussolini ricevette i marescialli Badoglio e Graziani: mentre il primo riteneva inutile un attacco sulle Alpi, il secondo si espresse favorevolmente ad un'azione generale lungo tutta la frontiera, forte del fatto che secondo lui i tedeschi erano già nei pressi di Grenoble (anche se in realtà erano solo a Lione). Il parere di Graziani indusse il duce ad ordinare l'attacco per la mattina successiva<ref>{{cita|Faldella|p. 176}}.</ref>, e le due armate, che avevano ricevuto l'ordine di prepararsi alle tre offensive solo nel pomeriggio del 19, alle ore 19:00 del 20 giugno ricevettero il fonogramma 2329: «Domani 21, iniziando azione ore 3, IV e I armata attacchino a fondo su tutta la fronte. Scopo: penetrare il più profondamente possibile in territorio francese»<ref>{{cita|Faldella|p. 178}}.</ref>. Mussolini ebbe ancora il tempo di farsi prendere dai dubbi e in serata diede l'ordine di sospendere l'offensiva decisa per l'indomani, salvo poi dover rendersi conto che ormai anche i tedeschi erano in movimento; Mussolini confermò nuovamente l'attacco con la modificazione che il 21 avrebbe solo operato la 4ª Armata, perché nel frattempo gli era giunta l'intercettazione di una conversazione tra i generali Pintor e Roatta, nella quale il comandante della 1ª Armata aveva espresso l'impossibilità di passare all'offensiva con così poche ore di preavviso<ref>{{cita|Faldella|pp. 178-179}}.</ref>. Venne così ordinato alla 4ª Armata di muoversi, mentre sul fronte sud la 1ª Armata di Pintor venne temporaneamente tenuta ferma: «A parziale modifica ordini precedenti dispongo che in un primo tempo venga eseguita azione a fondo, come già disposto, da parte dell'ala destra della Quarta Armata. Confermo che note colonne tedesche all'alba di domani inizieranno movimento su località indicate»<ref name=Bocca156/>
 
=== L'offensiva italiana ===
[[File:13June 25June1940 FallRot.svg|miniatura|Mappa dell'invasione tedesca della Francia, in basso a destra sono indicate le direttrici dell'attacco italiano sulle [[Alpi]].]]
L'offensiva italiana scattò all'alba del 21 giugno 1940 e 21 divisioni iniziarono a muoversi contro le 6 divisioni francesi schierate a difesa del territorio francese. Nel settore nord, l'unico in cui si sarebbe potuto realizzare il disegno strategico di ricongiungimento con le forze tedesche, Guzzoni lanciò sconsideratamente all'attacco sul Colle del Piccolo San Bernardo la divisione alpina [[1ª Divisione alpina "Taurinense"|"Taurinense"]], la divisione motorizzata [[101ª Divisione motorizzata "Trieste"|"Trieste"]] e i battaglioni "Vestone" e "Vicenza", portandosi personalmente sul colle per assistere alla battaglia<ref>{{cita|Bocca|p. 156}}.<name=Bocca156 /ref>. Fin da subito si generò una enorme confusione lungo il colle e Guzzoni si ritrovò ad avere in prima linea solo due battaglioni, i quali vennero fermati da una interruzione stradale e dal fuoco proveniente dalla ''Redoute ruinée'' (il forte delle Traversette), una vecchia ridotta francese presidiata da quarantacinque ''Chasseurs des Alpes''<ref name=Rochat250/> con alcune armi automatiche. Lungo la strada verso il colle nel frattempo si formarono lunghissime code di uomini e mezzi che rendevano la strada inaccessibile perfino alle autoambulanze, le quali erano impossibilitate ad evacuare e curare i feriti, lasciati quindi morire dissanguati. Nei giorni successivi, nonostante l'inutile intervento di un battaglione di [[CV33|carri leggeri L/3]], la situazione rimase di stallo e il giorno 24 giugno, al termine delle ostilità, la divisione "Trieste" era ancora bloccata sul valico, mentre gli alpini erano riusciti ad aggirare la ridotta e a penetrare di pochi chilometri tra gli avamposti e la prima linea di resistenza<ref>{{cita|Bocca|pp. 156-157}}.</ref>. In quattro giorni di combattimenti i comandi italiani non riuscirono a portare innanzi le artiglierie per neutralizzare la ridotta, e l'unico obiettivo raggiungibile, la cittadina di [[Bourg-Saint-Maurice]], non fu raggiunto<ref name=Rochat250/>.
 
Nel settore [[Colle del Moncenisio|Moncenisio]]-[[Bardonecchia]]-[[Monginevro]] il 21 giugno si diedero inizio a ricognizioni lungo i valloni impervi e indifesi della valle del Ribon, vennero occupate le frazioni di Bramans e Bessans, venne bombardato il forte della Turra, ma appena le truppe iniziarono a muoversi verso l'obiettivo principale [[Briançon]], vennero inchiodate sul posto. Sul Monginevro la penetrazione massima arrivò all'incirca a un chilometro, mentre le colonne alpine che puntarono su [[Modane]] dal Moncenisio vennero fermate dal fuoco delle artiglierie poco dopo aver occupato la sguarnita [[Lanslebourg-Mont-Cenis|Lanslebourg]], e anche in questo caso un'interruzione stradale causata da una mina bloccò le colonne motorizzate sul valico del Moncenisio, senza che queste potessero offrire alcun aiuto alle truppe alpine<ref>{{cita|Bocca|p. 157}}.</ref>. Lo stesso 21 giugno quattro imponenti [[Mortaio|mortai]] [[Schneider 280 mm Mle 1914|Schneider da 280 mm]] appositamente piazzati nei pressi di Briançon misero fuori combattimento sei delle otto torrette della [[batteria dello Chaberton]], decretando la quasi totale distruzione del forte<ref>{{cita|Fenoglio|p. 84}}.</ref>. Il giorno seguente le artiglierie della 4º Corpo d'armata italiano aprirono il fuoco contro Briançon, e all'azione si aggiunsero anche gli ultimi due pezzi da [[149/35 Mod. 1901#Il 149/35 A.|149/35]] superstiti dello Chaberton, i quali spararono senza successo contro i forti ''Trois Têtes'' e l<nowiki>'</nowiki>''Infernet'' prima di essere messi a tacere dai mortai francesi<ref>{{cita|Fenoglio|p. 85}}.</ref>.