Repubblica di San Marco: differenze tra le versioni

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La '''Repubblica di San Marco''' fu uno Stato costituito a [[Venezia]] il [[22 marzo]] del [[1848]] a seguito dell'insurrezione della città, che aveva avuto inizio il 17 marzo dello stesso anno, contro il governo [[Impero d'Austria|austriaco]].<ref>{{Cita libro|titolo=Di Daniele Manin presidente e dittatore della repubblica di Venezia. Memoria storia|url=https://books.google.it/books?id=r9FiAAAAcAAJ&pg=PA37&dq=Repubblica+san+marco+manin&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjh5qLIn5XWAhVQnRQKHdmBAfAQ6AEIJjAA#v=onepage&q=Repubblica%20san%20marco%20manin&f=false|accesso=2017-09-08|data=1850|editore=Tipografia Elvetica|lingua=it}}</ref> Ideatore della rivolta e figura chiave della Repubblica fu l'avvocato veneziano di origine [[Ebraismo|ebraica]] [[Daniele Manin]].<ref name=":0">{{Cita libro|nome=Aa|cognome=Vv|titolo=TUTTO Risorgimento e Unità d'Italia|url=https://books.google.it/books?id=as6ka1aIg1kC&pg=PA79&dq=Repubblica+san+marco+manin&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjh5qLIn5XWAhVQnRQKHdmBAfAQ6AEIOzAE#v=onepage&q=Repubblica%20san%20marco%20manin&f=false|accesso=2017-09-08|data=2011-04-20|editore=De Agostini|lingua=it|ISBN=9788841869239}}</ref> L'episodio è uno dei più significativi nel contesto dei [[Primavera dei popoli|moti insurrezionali del 1848]] che coinvolsero numerose città [[italia]]ne ed [[Europa|europee]]. È inoltre inscindibilmente legato agli eventi della fallimentare [[prima guerra di indipendenza italiana]]. La Repubblica sopravvisse fino al 22 agosto [[1849]] quando, dopo una strenua resistenza, la città tornò sotto il dominio [[Impero austriaco|asburgico]].
 
 
== Lo scoppio della rivolta e la proclamazione della Repubblica ==
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=== L'annessione di Venezia ===
[[File:Vincenzo giacomelli, ritratto di niccolò tommaseo.JPG|thumb|left|upright=0.7|[[Niccolò Tommaseo]] ritratto da [[Vincenzo Giacomelli]].]]
Nel frattempo però l'Austria stava riconquistando le città della terraferma suscitando un clima di grande agitazione e incertezza.<ref name=CDL250>{{cita|Candeloro|p. 250}}</ref> Alla metà di giugno con le capitolazioni di Vicenza, Padova e Treviso, il Veneto era tornato di fatto sotto il dominio austriaco. Oltre a Venezia le uniche sacche di resistenza restavano le fortezze di [[Palmanova]] e [[Osoppo]].<ref name=GNS271>{{citaCita|Ginsborg|p. 271}}</ref> Per questa ragione l'assemblea fu al fine posticipata al 3 luglio.<ref name=CDL250/><ref group=N>Dietro questa decisione vi era anche la speranza di Manin di poter ancora evitare la fusione con il Piemonte: il 13 giugno infatti una petizione firmata da oltre mille cittadini chiedeva al governo di invocare l'aiuto della [[Seconda Repubblica francese|Repubblica francese]]. Questa via si rivelò però presto impraticabile. Cfr. {{cita|Ginsborg|p. 272}}</ref> Questo clima aveva fatto sì che il partito fusionista fosse ormai diventato prevalente anche fra i repubblicani, convinti al fine che solo l'annessione avrebbe potuto garantire il pieno sostegno alla città da parte delle truppe di Carlo Alberto.<ref name=CDL250/> Contro la fusione si espresse il Tommaseo che fu il primo a prendere la parola:
 
{{citazione|[...] Giacché siamo, o cittadini, al secondo punto, cioè se Venezia abbia a fare uno Stato da sé, o associarsi al Piemonte, non debbo tacere che la questione, posta così, sempre più mi dimostra l'inopportunità del trattarla in queste strette di guerra. Perché potrebb’essere che l’aggregazione deliberata adesso paresse atto invalido a chi la giudicherà con animo riposato, e preparasse fomiti di discordie e rivoluzioni; potrebb’essere che l’aggregazione intempestiva nocesse al Piemonte stesso, suscitando le pestifere gare municipali, delle quali vediamo già un doloroso principio. In tale frangente né Venezia né il Piemonte può conoscere quale sia veramente il suo meglio.<ref>{{cita libro| autore= [[Denis Mack Smith]]| titolo=Il risorgimento italiano. Storia e Testi| anno=1999| editore=Laterza | città=Roma-Bari | ed= | pp=217-218 | ISBN=}}</ref>}}
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===La battaglia Montebello e di Sorio===
[[File:Friedrich Liechtenstein Litho.jpg|thumb|right|upright=0.7|Il generale Friedrich von Liechtenstein.]]
Il primo scontro armato tra veneziani e austriaci dopo la rivoluzione ebbe luogo l'8 aprile in una regione a ovest di Vicenza.<ref name=GNS193>{{citaCita|Ginsborg|p. 193}}</ref> All'ex ufficiale napoleonico Marco Sanfermo fu affidato il compito di riunire vari gruppi di volontari formatesi in Veneto durante la rivoluzione e di dirigersi con questi verso il Friuli. Questi però, ritenendo improbabile una controffensiva austriaca dal Friuli, decise di dirigersi verso Verona dove erano assediate le truppe del [[feldmaresciallo]] [[Josef Radetzky|Radetsky]].<ref name=GNS193/>
 
Sanfermo giunse a Vicenza al comando di poco più di 2000 uomini mal equipaggiati.<ref name=GNS194>{{cita|Ginsborg|p. 194}}</ref> Qui si lasciò persuadere dall'entusiasmo dei suoi uomini ad avanzare verso Verona per garantirsi il controllo della zona tra i [[Lessinia|monti Lessini]] e i [[Colli Berici]]. Il 7 aprile, in una regione tra i comuni di [[Sorio (Gambellara)|Sorio]] e [[Montebello Vicentino]], incrociarono un contingente di circa 3000 soldati austriaci al comando del generale Friedrich von Liechtenstein<ref name=PR371>{{cita|Pieri|p. 371}}</ref> usciti in ricognizione dalla fortezza di Verona.<ref name=GNS195>{{cita|Ginsborg|p. 195}}</ref> Il primo scontro avvenne la sera stessa e i gruppi di volontari ressero bene all'attacco degli austriaci.<ref name=GNS195/> Ma il giorno seguente i veneti furono aggirati e, presi dal panico, si dettero ad una disordinata ritirata.<ref name=GNS195/>
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Fin dall'inizio vennero poi compiuti una serie di gravi errori che si riveleranno decisivi per le future sorti del conflitto. Già la decisione di consentire ai soldati austriaci di abbandonare pacificamente le città insorte, per di più muniti del loro equipaggiamento,<ref name=GNS173>{{cita|Ginsborg|p. 173}}</ref> consentì a Nugent di disporre immediatamente di un cospicuo gruppo di uomini. Inoltre si acconsentì ai soldati italiani in forza all'esercito austriaco che avevano disertato durante la rivoluzione di tornare alle loro case. Questi avrebbero potuto costituire fin da subito il nucleo di un nascente esercito veneto.<ref group=N>Come ha osservato Piero Pietri: "Fu indubbiamente un grave errore non aver subito utilizzato i 3000 ex militari austriaci come nucleo di un costituendo esercito, da opporre all'eventuale ritorno degli austriaci: essi furono lasciati tornare alle loro case. E intanto non solo 3000 uomini da Venezia, in base alla capitolazione si recavano indisturbati a Trieste, ma altri 3000 potevano pure, alle stesse condizioni, ritirarsi a Treviso, da Belluno, da Udine, da Palmanova così che in Gorizia si formava un primo nucleo di 6000 uomini, per la formazione di un nuovo corpo d'armata , guidato dal generale Nugent. [...] Tale corpo avrebbe passato l'Isonzo il 17 aprile iniziando assai per tempo la sottomissione del Veneto e portando aiuto prezioso ai 2 corpi d'armata del Radetzsky, già tanto sminuiti dalla rivoluzione" (Pieri, cit., pag. 186-187)</ref> Soltanto in secondo momento, quando ormai gli austriaci avevano iniziato la loro riconquista dal Veneto, vennero frettolosamente richiamati.<ref name=PR370>{{cita|Pieri|p. 370}}</ref>
 
Il governo veneziano non si preoccupò neppure di recuperare tempestivamente le numerose armi custodite all'Arsenale che furono distribuite alla popolazione il giorno della rivolta.<ref name=GNS193>{{cita|Ginsborg|p. 193}}</ref> E, nonostante le numerose richieste, si rifiutò inoltre di fornire ingenti aiuti in termini di uomini e armamenti alle altre città insorte. Il ministro della guerra Paolucci riteneva infatti che la maggior parte delle forze difensive dovessero rimanere a Venezia.<ref name=GNS191-192>{{cita|Ginsborg|p. 191-192}}</ref>
 
Inoltre la scarsa energia nell'organizzare i corpi volontari, unita ad una certa diffidenza nei confronti delle componenti più popolari che li costituivano, ebbe l'effetto di fiaccare ben presto l'entusiasmo dei tanti uomini pronti a mettersi al servizio della Repubblica e che rappresentavano la più cospicua risorsa per la difesa del Veneto.<ref name=GNS226>{{cita|Ginsborg|p. 226}}</ref>
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Nel frattempo Nugent, il 25 aprile, aveva raggiunto con le sue truppe il fiume [[Tagliamento]] dove ad attenderlo trovò La Marmora al comando di circa 1300 volontari.<ref name=PR374>{{cita|Pieri|p. 374}}</ref>
Ma trovandosi di fronte ad un esercito che, grazie ai rinforzi, contava ormai oltre 16000 uomini La Marmora decise di ritirarsi sul [[Piave]].<ref name=PR374/> L'intero Friuli occidentale cadde così sotto gli austriaci senza possibilità di combattere.<ref name=GNS217>{{citaCita|Ginsborg|p. 217}}</ref>
 
Superato il Tagliamento Nugent con una rapida manovra marciò verso Belluno. Dopo un primo tentativo di difesa il comitato provinciale decise che ogni resistenza fosse inutile. La città venne così riconquistata il 5 maggio.<ref name=PR377>{{cita|Pieri|p. 377}}</ref>
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Riconquistata Belluno Nugent si diresse verso il Piave. Qui ad attenderlo non trovò le poche centinaia di volontari del Tagliamento, ma l'esercito pontificio che nel frattempo aveva raggiunto il Veneto.<ref name=PR376>{{cita|Pieri|p. 376}}</ref> Durando si era convinto che il grosso dell'esercito austriaco avesse tentato di discendere attraverso la pianura passando per [[Bassano del Grappa|Bassano]].<ref name=PR379>{{cita|Pieri|p. 379}}</ref> Aveva così deciso di posizionarsi lì con tutti i corpi regolari dell'esercito, circa 11.000 uomini.<ref name=PR375/> Per presidiare le altre strade che Nugent avrebbe potuto intraprendere lasciò più a sud, sulla riva destra del Piave sopra Treviso, a circa ventisette chilometri di distanza, il corpo dei volontari pontifici al comando del generale Ferrari per un totale di circa 4.000 uomini.<ref name=PR375>{{cita|Pieri|p. 375}}</ref> Un altro gruppo di volontari, circa 3.000 uomini tra veneti e pontifici, fu lasciato ancora più a sud, tra [[Ponte di Piave]] e [[Ponte della Priula]], al comando del generale [[Alessandro Guidotti]] che aveva nel frattempo sostituito La Marmora richiamato a Venezia.<ref name=PR379/>
 
Contro le previsioni di Durando Nugent, la sera dell'8 maggio,<ref name=GNS218>{{citaCita|Ginsborg|p. 218}}</ref> decise di attraversare il Piave a sud, passando per [[Cornuda]] nel tentativo di raggiungere Treviso. La sera stessa le truppe di Ferrari ebbero un primo scontro con l'avanguardia delle truppe austriache.<ref name=PR379/> Il giorno seguente iniziarono gli scontri a fuoco. Ferrari inviò richieste di immediato soccorso a Durando.<ref name=PR379/> Ma questi persuaso che l'azione a Cornuda fosse solo un diversivo dopo aver intrapreso la strada decise di tornare indietro.<ref name=GNS218/> Alle cinque del pomeriggio dopo dodici ore di combattimento Ferrari, visto che nessun aiuto giunse, ordinò la ritirata. I corpi volontari ripiegarono allora verso Treviso.<ref name=GNS218>{{cita|Ginsborg|p. 218}}</ref>
 
L'esercito pontificio avrebbe avuto ottime possibilità di arrestare l'avanzata degli austriaci. Nugent infatti si muoveva su un terreno ricco di ostacoli naturali e con una popolazione apertamente ostile, spesso guidata dal clero locale.<ref name=PR375-376>{{cita|Pieri|p. 375-376}}</ref> Ma gli errori del comando e lo scarso contributo in termini di uomini e mezzi fornito dalla Repubblica veneziana risultarono fatali per l'operazione.<ref name=GNS217>{{cita|Ginsborg|p. 217}}</ref>
 
===Le conseguenze della sconfitta===
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La più immediata fu, come già visto, quella di far prevalere il partito fusionista all'interno del governo veneziano. Il governo perse inoltre gran parte della fiducia riposta negli uomini a cui aveva delegato la difesa del Veneto, e temeva lo stato di confusione e indisciplina in cui erano precipitate le forze volontarie.
 
Da parte loro i volontari persero ogni fiducia in chi avrebbe dovuto organizzarli e guidarli.<ref name=PR381>{{citaCita|Pieri|p. 381}}</ref> Si diffuse inoltre, tra le truppe assediate a Treviso, la falsa convinzione che il monarchico Durando avesse tradito la causa della difesa del Veneto per far cadere la Repubblica.<ref group=N>Il 10 maggio furono vittime di questo clima teso tre forestieri emiliani che si trovarono casualmente in città all'arrivo dei pontifici. Catturati e denunciati ingiustamente come spie i tre furono percossi a morte dai militari. Questo fu uno dei pochi episodi di eccesso compiuto dai rivoluzionari italiani durante il 1848. Cfr. {{cita|Ginsborg|p. 244}}</ref> In verità proprio nei giorni della battaglia le truppe pontificie decisero di disertare all'ordine di papa Pio IX di abbandonare la guerra contro l'Austria.
 
Durando era ancora convinto di poter ostacolare l'avanzata di Nugent verso Verona. Prese allora posizione a [[Piazzola sul Brenta|Piazzola]] sulla riva occidentale del fiume [[Brenta]] e ordinò a Ferrari di raggiungerlo con le sue truppe.<ref name=GNS248>{{cita|Ginsborg|p. 248}}</ref> Ma il governo veneziano, preoccupato dagli episodi di indisciplina delle truppe di Ferrari e timoroso di perdere anche Treviso, gli ordinò di ripiegare sulla città. Questa decisione ebbe la grave conseguenza di lasciare libera la strada verso Verona, principale obbiettivo delle truppe austriache.<ref name=GNS219/>
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Dopo la vittoria Nugent, malgrado le sollecitazioni di Radetzky a raggiungere al più presto Verona,<ref name=PR383>{{cita|Pieri|p. 383}}</ref> decise di dirigersi verso Treviso considerata una tappa fondamentale per la completa riconquista del Veneto.<ref name=GNS218/> L'11 maggio venne inviata un'intimidazione di resa che fu però respinta dal comitato della città.<ref name=PR383/>
 
Ferrari decise di compiere una ricognizione verso nord ma fu subito intercettato dai cannoni austriaci con gravi perdite.<ref name=PR381>{{cita|Pieri|p. 381}}</ref> Decise così di abbandonare la città e di dirigersi verso [[Mestre]]. Lasciò a difesa di Treviso, in attesa dell'arrivo di Durando, circa 3.600 uomini al comando del generale Guidotti e portò con sé il resto.<ref name=PR382>{{cita|Pieri|p. 382}}</ref> Guidotti, credendo necessaria un'azione decisa per ridare morale agli uomini, al comando di una quarantina di volontari, tra cui il frate patriota [[Ugo Bassi]], organizzò un'audace sortita contro gli austriaci.<ref name=PR382/> L'azione non ebbe successo e lo stesso generale rimase ucciso, ma questo eroico gesto ebbe l'effetto di ridare coraggio alle truppe in difesa della città.<ref name=GNS245>{{cita|Ginsborg|p. 245}}</ref>
 
Il 18 maggio il generale austriaco Wilhelm Thurn, a cui Nugent aveva nel frattempo lasciato il comando per problemi di salute, ricevette un nuovo sollecito da parte di Radetzky a dirigersi immediatamente verso Verona. La sera stessa Thurn obbedì agli ordini e prese la strada verso Verona proprio mentre stavano sopraggiungendo le truppe pontificie di Durando.<ref name=PR383/> Il giorno seguente gli austriaci attraversarono indisturbati il Brenta a Piazzola, dove avrebbe voluto attenderli Durando.<ref name=PR383/>
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Mentre nel resto del Veneto la situazione militare stava rapidamente precipitando a resistere tenacemente alle truppe austriache furono gli abitanti del [[Cadore]], una regione montuosa delle [[Dolomiti]] orientali nella provincia di Belluno. Il Cadore era un territorio legato a Venezia da una lunga tradizione di lealtà verso l'antica Repubblica, e in cui l'ostilità per il governo austriaco era particolarmente acuta.<ref name=GNS241-242>{{cita|Ginsborg|p. 241-242}}</ref>
 
Nugent aveva inviato in questa regione due battaglioni del suo esercito con lo scopo di aprire la via d'Alemagna, un'importante via di comunicazione considerata strategica per la riconquista del Veneto.<ref name=PR390>{{cita|Pieri|p. 390}}</ref> Così ai primi di aprile circa 2.000 uomini al comando del maggiore Hablitschek entrarono nel Cadore da nord.<ref name=GNS242>{{citaCita|Ginsborg|p. 242}}</ref>
 
Ad organizzare la difesa della regione il governo veneziano inviò [[Pietro Fortunato Calvi]], un giovane ufficiale di grandi qualità. Vennero inoltre inviati 5 cannoni e 260 fucili. Con questi pochi armamenti a disposizione Calvi organizzò cinque corpi franchi da 80 uomini ciascuno.<ref name=PR391>{{cita|Pieri|p. 391}}</ref> Organizzò inoltre le guardie civiche della regione, armate solo di forconi e vecchi fucili da caccia e reclutò nuovi volontari. Presto poté così disporre di circa 4.000 uomini, su una popolazione complessiva di 36.000 abitanti, anche se male o per nulla armati.<ref name=PR392>{{cita|Pieri|p. 392}}</ref> Sfruttando le accidentalità del terreno montuoso Calvi basò la resistenza della regione su tattiche di guerriglia, attaccando gli austriaci anche con l'ausilio di grossi massi che aveva fatto disporre lungo le pendici che costeggiavano le strade.<ref name=GNS242>{{cita|Ginsborg|p. 242}}</ref>
[[File:Vigo rindemera 1848 calvi.JPG|thumb|Lapide commemorativa della battaglia di Rindemera a [[Vigo di Cadore]].]]
 
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La conseguenza più immediata della caduta di Vicenza furono le capitolazioni di Padova e Treviso.<ref name=GNS269/> Il governo veneziano decise che ogni tentativo di difendere Padova sarebbe stato inutile preferendo tenere tutte le forze a sua disposizione a difesa della città.<ref name=GNS270>{{cita|Ginsborg|p. 270}}</ref> A Treviso i volontari erano disposti a combattere ma quando gli austriaci iniziarono a bombardare la città i comandanti militari chiesero la resa.<ref name=GNS270/>
 
Dopo aver sedato le ultime sacche di resistenza nella regione a metà giugno il Veneto era tornato sotto il dominio austriaco. Oltre a Venezia resistevano ancora solo le fortezze friulane di [[Osoppo]] e [[Palmanova]].<ref name=GNS271>{{cita|Ginsborg|p. 271}}</ref> La fortezza di Palmanova era difesa da ex soldati austriaci disertori al cui comando si era posto il generale [[Carlo Zucchi]] che era prigioniero nelle carceri della fortezza. Benché sottoposta a intensi bombardamenti austriaci la fortezza avrebbe potuto resistere a lungo. Ma Zucchi, persuaso che oramai Venezia non avrebbe inviato uomini in suo aiuto decise al fine di arrendersi il 24 giugno.<ref name=GNS270/>
 
Osoppo resistette molto più a lungo [[Assedio di Osoppo|all'assedio austriaco]] ma il 13 ottobre fu anch'essa costretta ad arrendersi.<ref name=GNS270/> I superstiti si recarono a Venezia per difendere la città.<ref name=GNS272>{{cita|Ginsborg|p. 272}}</ref>