Enrico De Nicola: differenze tra le versioni

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L'iniziale contrapposizione delle candidature di [[Vittorio Emanuele Orlando]] (proposta da [[Democrazia Cristiana|DC]] e destre) e di Benedetto Croce (proposta dalle sinistre e dai laici) si protrasse sterilmente per lungo tempo e tardò a essere composta, per evolvere infine nella comune indicazione di De Nicola, grazie principalmente all'incessante opera di convincimento condotta da [[Alcide De Gasperi|De Gasperi]]. Successivamente anche dall'interessato venne un supplemento di ritardo, esasperante per l'alternanza di orientamenti, ora positivi, ora negativi, che pareva esternare. Di fronte alle difficoltà si chiese all'avvocato e senatore napoletano [[Giovanni Porzio]] di convincere De Nicola, essendone amico personale; alla fine, il candidato accettò<ref>Nadia Gallico Spano. Audio originale in [http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-0abf751d-6407-4dbc-9df2-2b03793bb950.html Rai Storia - Q verso il Quirinale], Rai, 23 marzo 2013.</ref>.
 
Fu eletto dall'[[Assemblea Costituente della Repubblica Italiana|Assemblea Costituente]] capo provvisorio dello Stato al primo scrutinio, il 28 giugno [[1946]], con 396 voti su 501 votanti e 573 aventi diritto (69,1%), e assunse la carica il 1º luglio. Il 15 luglio, inviò all'Assemblea il suo [[Messaggio d’insediamento di Enrico de Nicola|primo messaggio]], che toccò le corde del patriottismo e dell'unione nazionale:
{{Citazione|La grandezza morale di un popolo si misura dal coraggio con cui esso subisce le avversità della sorte, sopporta le sventure, affronta i pericoli, trasforma gli ostacoli in alimento di propositi e di azione, va incontro al suo incerto avvenire. La nostra volontà gareggerà con la nostra fede. E l'Italia – rigenerata dai dolori e fortificata dai sacrifici – riprenderà il suo cammino di ordinato progresso nel mondo, perché il suo genio è immortale. Ogni umiliazione inflitta al suo onore, alla sua indipendenza, alla sua unità provocherebbe non il crollo di una Nazione, ma il tramonto di una civiltà: se ne ricordino coloro che sono oggi gli arbitri dei suoi destini.
Se è vero che il popolo italiano partecipò a una guerra, che – come gli Alleati più volte riconobbero, nel periodo più acuto e più amaro delle ostilità – gli fu imposta contro i suoi sentimenti, le sue aspirazioni e i suoi interessi, non è men vero che esso diede un contributo efficace alla vittoria definitiva, sia con generose iniziative, sia con tutti i mezzi che gli furono richiesti, meritando il solenne riconoscimento – da chi aveva il diritto e l'autorità di tributarlo – dei preziosi servigi resi continuamente e con fermezza alla causa comune, nelle forze armate – in aria, sui mari, in terra e dietro le linee nemiche. La vera pace – disse un saggio – è quella delle anime. Non si costruisce un nuovo ordinamento internazionale, saldo e sicuro, sulle ingiustizie che non si dimenticano e sui rancori che ne sono l'inevitabile retaggio. La Costituzione della Repubblica italiana – che mi auguro sia approvata dall'Assemblea, col più largo suffragio, entro il termine ordinario preveduto dalla legge – sarà certamente degna delle nostre gloriose tradizioni giuridiche, assicurerà alle generazioni future un regime di sana e forte democrazia, nel quale i diritti dei cittadini e i poteri dello Stato siano egualmente garantiti, trarrà dal passato salutari insegnamenti, consacrerà per i rapporti economico-sociali i principi fondamentali, che la legislazione ordinaria – attribuendo al lavoro il posto che gli spetta nella produzione e nella distribuzione della ricchezza nazionale – dovrà in seguito svolgere e disciplinare.}}