Manifesto del Partito Comunista: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Nessun oggetto della modifica
Riga 19:
Marx e Engels analizzano la storia come [[lotta di classe]], sempre esistita e combattuta tra oppressi ed oppressori. I due sottolineano come questo contrasto non solo sia ancora presente nella moderna società borghese, ma che piuttosto si sia addirittura inasprito poiché in seguito a grandi trasformazioni sociali connesse alla trasformazione del modello produttivo è animato da solo due grandi classi: la [[borghesia]] e il [[proletariato]]. La prima, classe rivoluzionaria nel [[Basso Medioevo]] e all'inizio dell'[[età moderna]], dopo aver annientato la [[Feudalesimo|struttura economica e politica allora esistente]], ormai inadeguata e obsoleta, si consacrò come classe dominante a tutti gli effetti durante la [[rivoluzione industriale]]. La seconda, nata in seguito alla nascita del modello economico capitalistico, risulta essere quella oppressa, ma potenzialmente dominante.
 
La base su cui la borghesia ha costruito la propria forza è sostanzialmente lo sfruttamento del proletariato, tutelato dai governi, definiti da Marx ed Engels «un comitato che amministra gli affari comuni di tutta la classe borghese».<ref>''Manifesto del Partito Comunista'', [[s:Il Manifesto del Partito Comunista/I#Il governo moderno|cap. I]].</ref> Tuttavia con lo sviluppo dell'industria la classe operaia, le cui file tendono a ingrossarsi sempre di più anche di parti della [[Ceto medio|piccola-media borghesia]] e di borghesia declassata, è destinata a crescere in numero e in forza. La compressione dei salari tende a far sì che le condizioni di vita dei lavoratori diventino man mano sempre più simili, così che essi tendono a organizzarsi in associazioni permanenti per difendere i loro diritti. Alla luce di tali premesse il proletariato risulta essere destinato ad abbattere la classe borghese insieme con il modello economico da essa introdotto, ovvero il [[capitalismo]]. In seguito alla [[rivoluzione]] in cui il proletariato conquisterà il potere politico dovrà esserci necessariamente una fase di transizione, definita «dittatura del proletariato», durante cui verranno utilizzati dalle associazioni operaie i [[mezzi di produzione]] borghese, messi a disposizione dallo [[Stato]], per trasformare radicalmente la società. A uno Stato borghese si sostituirà quindi uno Stato proletario, a una [[Democrazia liberale|dittatura della borghesia]] una [[dittatura del proletariato]].
 
È necessario specificare però che Marx ha usato il termine «dittatura del proletariato» per l'attuazione successiva del comunismo solo successivamente al ''Manifesto'', ossia nella lettera a [[Joseph Weydemeyer]] nel 1852<ref>[[Nicola Abbagnano]], [[Giovanni Fornero]], ''Il contributo di Marx alla teoria delle classi'', in ''Protagonisti e testi della filosofia, volume C'', Paravia, 2000, p. 356.</ref> e nella ''[[Critica del Programma di Gotha]]'' del 1875. Sebbene già nel ''Manifesto'' si parli di «interventi dispotici nel diritto di proprietà e nei rapporti borghesi di produzione», il termine preciso di «dittatura del proletariato» appare solo nella già citata lettera a Weydemeyer in cui si afferma che «la lotta delle classi necessariamente conduce alla dittatura del proletariato». L'espressione classica di questa teoria la si trova poi nella ''Critica del Programma di Gotha'' in cui Marx scrive che «tra la società capitalistica e la società comunista vi è il periodo della trasformazione rivoluzionaria dell'una nell'altra. A esso corrisponde anche un periodo di transizione, il cui Stato non può essere altro che la dittatura rivoluzionaria del proletariato». Secondo Marx la dittatura del proletariato è solo una misura storica di transizione (sia pure a lungo termine), che mira tuttavia al superamento di sé medesima e di ogni forma di Stato.<ref>[[Nicola Abbagnano]], [[Giovanni Fornero]], ''Protagonisti e testi della filosofia, volume C'', Paravia, 2000, pp. 365–366.</ref> Solo dopo questa fase transitoria si potrà attuare il [[comunismo]], che creerà una società senza classi, senza sfruttatori e sfruttati, in cui i mezzi di produzione sono gestiti dai lavoratori. Sparita la lotta di classe, sparirà anche il piano sul quale essa si sviluppava, cioè lo Stato. Infatti il potere pubblico, che per Marx e Engels non è altro che «il potere di una classe organizzato per opprimerne un'altra»,<ref>''Manifesto del Partito Comunista'', [[s:Il Manifesto del Partito Comunista/II#Il potere politico|cap. II]].</ref> non sarà più politico.
In seguito alla [[rivoluzione]] in cui il proletariato conquisterà il potere politico dovrà esserci necessariamente una fase di transizione, definita «dittatura del proletariato», durante cui verranno utilizzati dalle associazioni operaie i [[mezzi di produzione]] borghese, messi a disposizione dallo [[Stato]], per trasformare radicalmente la società. A uno Stato borghese si sostituirà quindi uno Stato proletario, a una [[Democrazia liberale|dittatura della borghesia]] una [[dittatura del proletariato]]. È necessario specificare però che Marx ha usato il termine «dittatura del proletariato» per l'attuazione successiva del comunismo solo successivamente al ''Manifesto'', ossia nella lettera a [[Joseph Weydemeyer]] nel 1852<ref>[[Nicola Abbagnano]], [[Giovanni Fornero]], ''Il contributo di Marx alla teoria delle classi'', in ''Protagonisti e testi della filosofia, volume C'', Paravia, 2000, p. 356.</ref> e nella ''[[Critica del Programma di Gotha]]'' del 1875.
 
Sebbene già nel ''Manifesto'' si parli di «interventi dispotici nel diritto di proprietà e nei rapporti borghesi di produzione», il termine preciso di «dittatura del proletariato» appare solo nella già citata lettera a Weydemeyer in cui si afferma che «la lotta delle classi necessariamente conduce alla dittatura del proletariato». L'espressione classica di questa teoria la si trova poi nella ''Critica del Programma di Gotha'' in cui Marx scrive che «tra la società capitalistica e la società comunista vi è il periodo della trasformazione rivoluzionaria dell'una nell'altra. A esso corrisponde anche un periodo di transizione, il cui Stato non può essere altro che la dittatura rivoluzionaria del proletariato».
 
Secondo Marx la dittatura del proletariato è solo una misura storica di transizione (sia pure a lungo termine), che mira tuttavia al superamento di sé medesima e di ogni forma di Stato.<ref>''Protagonisti e testi della filosofia, volume C'', N. Abbagnano e G. Fornero, Paravia, 2000, pag. 365-66.</ref> Solo dopo questa fase transitoria si potrà attuare il [[comunismo]], che creerà una società senza classi, senza sfruttatori e sfruttati, in cui i mezzi di produzione sono gestiti dai lavoratori. Sparita la lotta di classe, sparirà anche il piano sul quale essa si sviluppava, cioé lo Stato. Infatti il potere pubblico, che per Marx e Engels non è altro che «il potere di una classe organizzato per opprimerne un'altra»,<ref>''Manifesto del Partito Comunista'', [[s:Il Manifesto del Partito Comunista/II#Il potere politico|cap. II]].</ref> non sarà più politico.
 
=== Progetto politico dei comunisti ===
Vengono proposti anche dieci punti, che all'epoca della stesura del ''Manifesto'' avevano valore di programma rivoluzionario per i Paesi più progrediti. Attraverso queste dieci misure si attuerebbe quella che in seguito Marx avrebbe denominato [[dittatura del proletariato]]. Gli stessi autori però ammettono la limitatezza di questi principi in quanto sono ben consci che essi sono storicamente determinati e quindi non applicabili in ogni circostanza storica.<ref>''Manifesto del Partito Comunista'', [[s:Il Manifesto del Partito Comunista/II#Punti|cap. II]].</ref><ref>''Manifesto del Partito Comunista'', [[s:Il Manifesto del Partito Comunista/Prefazione all'edizione tedesca del 1872]].</ref>
 
I dieci punti sono:
Line 45 ⟶ 41:
 
=== Critica del socialismo ===
Marx e Engels passano poi ad analizzare tutti i progetti e le teorie [[Socialismo|socialiste]] precedenti. Individuano vari tipi di socialismo, tra cui un socialismo [[reazionario]]<ref>''Manifesto del Partito Comunista'', [[s:Il Manifesto del Partito Comunista/III/1|cap. III.1]].</ref> ([[Jean Charles Léonard Simonde de Sismondi]]), un socialismo [[Conservatorismo|conservatore]] o [[Borghesia|borghese]]<ref>''Manifesto del Partito Comunista'', [[s:Il Manifesto del Partito Comunista/III/2|cap. III.2]].</ref> ([[Pierre-Joseph Proudhon]]) e un [[socialismo utopistico]]<ref>''Manifesto del Partito Comunista'', [[s:Il Manifesto del Partito Comunista/III/3|cap. III.3]].</ref> ([[Henri de Saint-Simon]], [[Charles Fourier]] e [[Robert Owen]]). Essi riconoscono a questi interventi precedenti gli importanti meriti (specialmente al socialismo utopistico) di aver colto le contraddizioni del [[capitalismo]] e la [[Prospettiva del conflitto|lotta tra le classi]] e di aver delineato delle proposte di cambiamento della società, ma ne criticano due aspetti, ovvero l'incapacità di schierarsi apertamente a favore del [[proletariato]], cercando di rimanere sopra le parti; e il non attribuire al proletariato un suo ruolo storico e una sua autonomia. Per contro propongono un [[socialismo scientifico]] che si basi non su invenzioni o idee, ma su fatti empirici.
 
=== Internazionalismo ===