Jizya: differenze tra le versioni

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'''''Jizya''''' ({{arabo|جزية|ğizya}}, in traslitterazione scientifica) è un termine arabo che indica un'imposta di [[capitazione]], detta di "compensazione", che dal [[Storia dell'Islam|periodo islamico]] classico fino al XIX secolo ogni suddito non-musulmano non facente parte della ''[[umma]]'' islamica (detto ''[[dhimmi]]'', cioè membro della ''ahl al-dhimma'', "gente protetta") pagava alle autorità islamiche. L'imposta gravava su [[cristianesimo|cristiani]], [[ebraismo|ebrei]], [[zoroastrismo|zoroastriani]], [[Sabei (Harran)|sabei]], [[induismo|induisti]], ovvero tutti coloro che professavano religioni [[Monoteismo|monoteistiche]] [[Rivelazione|rivelate]] praticate prima dell'avvento dell'islam. La ''dhimma'' (patto di protezione) garantiva una condizione particolare di protezione (dalle aggressioni esterne, [[libertà personale]], [[libertà di culto]]) per i ''dhimmi'' (i non musulmani monoteisti), e li esentava dal servizio militare e dal pagamento della [[zakat]].
 
Un precedente cui la ''[[Umma]]'' [[islam]]ica assai probabilmente s'ispirò fu la tassazione in vigore nell'[[Iran]] [[sasanide]]. La riforma fiscale voluta infatti dallo [[Scià|Shāhanshāh]] [[Cosroe I]] (501 ca – 579) - ben conosciuto dagli [[Arabi]], che lo chiamavano Kisrā Anūshīrwān ({{lang-ar|كسرى أنوشيروان}}), prevedeva che un'imposta di capitazione (presente già come ''capitatio'' nel modello romano, mantenuto dai [[Bizantini]]) dovesse essere pagata dai sudditi [[ebrei]], [[cristiani]] e di altre comunità dell'Impero. Da essa erano esclusi i funzionari imperiali e i [[mazdei]] (lo zorastrismo era religione della Corte). Della sua raccolta erano resi responsabili il capo della comunità israelita e, il vescovo dei cristiani e ogni capo delle altre comunità religiose.<ref>Si veda [[Richard N. Frye]], ''The Heritage of Persia'', Londra, Weidenfeld and Nicolson, 1962, pp. 228-229.</ref>
 
L'imposta islamica riguardava i sudditi maschi [[Pubertà|puberi]] in grado di produrre reddito ma ne erano esentati quasi sempre gli appartenenti al clero di religioni "protette". Basata su prontuari che tenevano conto del livello di ricchezza di un paese e dell'andamento reale dell'economia, essa era percepita da un apposito incaricato statale, detto ''ʿāmil'' (agente), che era tenuto a versarla nell'[[erario]] statale islamico (il cosiddetto "''bayt al-māl''" o "casa della ricchezza") perché fosse utilizzata per speciali fini caritatevoli o di pubblica utilità da parte delle autorità.