Regia Marina: differenze tra le versioni

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La fine del conflitto trovò la Regia Marina divisa sul giudizio da dare ai vari tipi di unità, con diversi partiti interni agli ufficiali (gli ammiragli Millo e Cagni opposti a Thaon di Revel), e sostanzialmente insoddisfatta dei risultati politici ottenuti. Infatti il mito della "vittoria mutilata" fu molto appoggiato in diversi ambienti navali, che avrebbero preferito una aggressiva politica nei balcani e nel Mediterrano orientale, con annessioni eccedenti quelle previste dagli accordi internazionali e dalle paci che posero fine al conflitto. In particolar modo in Dalmazia. Politicamente la marina rischiò di uscire dalla sua tradizionale neutralità, molti ufficiali di vascello appoggiarono apertamente i nazionalisti, ed in seguito i fascisti, mentre all'interno dei gruppi militar-industriali della cantieristica privata andava facendosi forte un rapporto con il partito fascista, attraverso la persona di Costanzo Ciano. La Regia Marina quindi non fu particolarmente avversa alla marcia su Roma e tese a sottovalutare l'impatto eversivo del fascismo, nel complesso accettado quando non appoggiando apertamente le sue posizioni navaliste, imperialiste, nazionaliste e belliciste.<ref>{{Cita libro|titolo=Fabio De Ninno, Fascisti sul mare, La Marina e gli ammiragli di Mussolini, Laterza, Bari, 2017, ISBN 978-88-581-2922-7 pp. 42 e ss.}}</ref>
 
Subito prima della presa del potere di Mussolini la Regia Marina era divisa in tre principali correnti di pensiero: i "rivoluzionari" (con il teorico [[Vincenzo De Feo]], ma formata sovente comandani di MAS e di naviglio leggero nel precedente conflitto come Costanzo Ciano), che credevano in una forza armata basata sul naviglio leggero, i MAS, i sommergibili, gli aerei (anche di base a terra, ma della marina) e la guerra di usura, gli "evoluzionisti" (con i teorici Romeo Bernotti, Alberto da Zara e, soprattutto Domenico Fioravanzo, oltre ai gruppi rivali legati tanto all'ammiraglio Millo che all'ammiraglio de Revel ed a giovani ufficiali come Raffaele de Courten), che invece volevano utilizzare le nuove armi (specie l'aviazione navale, anche con le portaerei) in un contesto di flotta bilanciata in ogni sua componente (inclusa soprattutto quella da battaglia) con una grande enafasi sui grossi calibri (e la velocità) piuttosto che sulle armi insidiose e i siluri, e i sostenitori della difesa del traffico, che vedevano cioè nella guerra navale essenzialmente una guerra per mantenere aperte le vie di comunicazioni mercantili (e a danneggiare quelle nemiche) e quindi intendeva privilegiare la costruzioni di unità di scorta e pattugliamento (vedette anti sommergibile, cacciatorpediniere, incrociatori leggeri), con aliquote destinate invece a disturbare il traffico nemico (esploratori, incrociatori leggeri, sommergibili) e a fare attrito navale (MAS, posamine, ecc.), rinunciando però alle navi da battaglia. Anzi le grandi battaglie navali erano giudicate inutili, mentre la scorta ai convogli era considerata centrale. Portavoce di questa terza scuola (minoritaria all'interno della marina, ma molto moderna e simile alla dottrina poi adottata dalla Marina Militare nel corso della guerra fredda) fu l'ammiraglio [[Giovanni SecchiSechi]], ministro della marina dal 1919 al 1921, che iniziò a dare questa impostazione ai primi programmi navali post-bellici, cancellando le corazzate classe Caracciolo, mettendo in riserva le navi da battaglia e favorendo il naviglio leggero e la ricerca tecnologica antisottomarina. L'arrivo al potere del fascismo pose Secchi fuorigioco e puntò ad allearsi con gli ammiragli "evoluzionisti" piuttosto che quelli, già fascisti, "rivoluzionari".<ref>{{Cita libro|titolo=Fabio De Ninno, I sommergibili del Fascismo, Politica navale, strategia e uomini tra le due guerre mondiali, Unicopli, ISBN 978-88-400-1725-9, pp. 31-46.}}</ref>
 
La [[conferenza navale di Washington|conferenza di Washington]] per il disarmo navale postbellico, conclusasi nel febbraio del [[1922]] con il [[Trattato navale di Washington|trattato navale]]<ref name="treaty">{{cita testo|wktitolo=s:en:Washington_Naval_Treaty,_1922|titolo=United States of America - Treaty for the limitation of Naval Armament, signed at Washington, February 6, 1922 [1924] LNTSer 65; 25 LNTS 201}}</ref>, stabilì che vi sarebbe dovuta essere la parità nel [[dislocamento]] complessivo tra le marine italiana e francese sia per quanto riguardava le [[nave da battaglia|navi da battaglia]] ({{formatnum:175000}} [[tonnellata|tonnellate]] ciascuna, nell'art. 4)<ref name="treaty" /> che le [[portaerei]] ({{formatnum:60000}} tonnellate ciascuna, nell'art. 7): tale decisione influenzò lo sviluppo della flotta italiana nel corso degli anni tra le due guerre mondiali, condizionandolo al mantenimento dell'equilibrio con la Francia<ref name="treaty" />. In particolare per il regime divenne fondamentale per la politica navale (fino quasi alla fine degli anni '30) raggiungere mantenere, anche e soprattutto per motivi di prestigio internazionale, la parità con la Francia, malgrado quest'ultima potenza disponesse di un sistema industriale molto più avanzato, e di bilanci militari molto più ricchi. Per questo furono sacrificate all'obbiettivo della parità diverse voci di spesa, come la preparazione degli equipaggi e degli ufficiali, l'addestramento, la ricerca e lo sviluppo di armi nuove e più avanzate, l'adeguamento e la modernizzazione degli arsenali pubblici e privati, la fortificazione dei porti, la creazione di riserve di combustibili, mine, munizioni ecc. Questo fu particolarmente evidente nei primi anni '30, quando la Marina francese ricominciò ad armarsi (anche guardando al riarmo tedesco) e la marina italiana reagì diminuendo il numero delle radiazione e varando moltissime unità (soprattutto incrociatori e sommergibili) che riproducevano con piccole migliorie le classi del decennio precedente, formando delle famiglie di classi (Condottieri, Trento/Zara, serie 600) quando invece diverse altre marine (specie quella nipponica) chiedevano che ogni classe fosse un progetto nuovo e innovativo rispetto alle unità che andava a sostituire/affiancare. In compenso la Regia Marina passò da 230 unità per {{formatnum:311900}} tonnellate contro 340 unità e {{formatnum:561534}} tonnellate della Marine nationale del 1924 (rapporto 1:1,8) a 225 unità per {{formatnum:526603}} tonnellate contro 236 unità e {{formatnum:697611}} tonnellate del 1935 (rapporto 1:1,32),<ref>{{Cita libro|titolo=Fabio De Ninno, Fascisti sul mare, cit. p.151}}</ref>la parità era apparentemente raggiunta, anche se la marina francese sembrava agli osservatori internazionali comunque in vantaggio (oltre tutto era munita di una sua aviazione), i francesi potevano (e alla fine degli anni '30 provarono) accelerare le loro costruzioni ben oltre quello che la Regia Marina poteva permettersi e, dopo il 1935, il vero "nemico" della Regia Marina appariva sempre più la ben più grande e moderna Royal Navy.