Epicarmo Corbino: differenze tra le versioni

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«Se Corbino non ci fosse bisognerebbe inventarlo», disse [[Alcide De Gasperi]]{{citazione necessaria}}.
{{chiarire|In questa veste}} “perseguì una politica economica fondata sulla parsimonia e sulla corretta amministrazione”, e si oppose in maniera intransigente al cambio della moneta (proposto dal [[Partito Comunista Italiano|comunista]] [[Mauro Scoccimarro]], [[Ministri delle finanze della Repubblica Italiana|Ministro delle Finanze]]). Tale provvedimento servì a fermare l'inflazione (con l'aiuto decisivo del governatore della [[Banca d'Italia]], [[Luigi Einaudi]]); d'altro canto ciò fu però un provvedimento impopolare, e la sinistra lo impiccò in effigie in manifestazioni di piazza. Pur di non cambiare le proprie convinzioni, Corbino, che “mai avrebbe barato al gioco per restare in sella”<ref>Antonio Maria Fusco, ''Il Mattino'', 26 aprile 1984</ref>, si dimise il 13 settembre 1946 dall'incarico governativo. Il 18 settembre successivo fu nominato ministro al suo posto [[Giovanni Battista Bertone]].
 
Dal 10 maggio [[1948]] fu eletto deputato della prima legislatura, nel gruppo parlamentare del PLI, dove restò fino al 3 luglio [[1951]], poi dal 3 luglio 1951 al 24 giugno [[1953]] entrò nel Gruppo Misto al [[Parlamento]]. Successivamente formò un nuovo partito, l'[[Alleanza Democratica Nazionale]] (ADN), movimento nato per contrastare la cosiddetta [[legge truffa]] proposta dal governo nel 1953, che istituiva un premio di maggioranza per i partiti, singoli o apparentati tra loro, che avessero ottenuto la maggioranza assoluta dei consensi popolari, a cui egli non aderì (e alla quale aveva tentato di opporsi anche in aula, proponendo una soluzione di mediazione, denominata "ponte Corbino"). In questo modo si tolsero voti ai gruppi di centro (così come fece il gruppo di [[Ferruccio Parri]] e [[Piero Calamandrei]] al centro-sinistra, e il [[Movimento Sociale Italiano]] a destra), e la legge non ottenne, anche se per poco, l'effetto sperato.