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m Inserimento di fonti, traduzioni e alcuni articoli. Inserimento di un caso della Corte di Cassazione riguardante la diffamazione sul web.
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Pertanto, stanco dell’interesse manifestato dalla stampa americana nei confronti della sua vita matrimoniale il famoso avvocato, rivendicava l’esigenza che nei rapporti privati vi fosse un limite all’ingerenza nella vita altrui (cd. ''Right to be let alone'')<ref>{{Cita news|lingua=it-IT|url=http://www.dataprotectionlaw.it/diritto-alla-privacy/|titolo=Il Diritto alla Privacy - Data Protection Law {{!}} Privacy e protezione dati personali|pubblicazione=Data Protection Law {{!}} Privacy e protezione dati personali|accesso=2018-03-19}}</ref>.
 
In Italia il primo a parlare di riservatezza fu [[Massimo Ferrara Santamaria]], che teorizzò un diritto analogo nel 1937, mentrecon ila pubblicazione de "Il Diritto alla Illesa Intimità Privata" <ref>{{Cita pubblicazione|nome=Angelo Di|cognome=Sapio|titolo=Massimo Ferrara Santamaria, Il diritto alla illesa intimità privata (1937)|lingua=en|accesso=2019-06-19|url=https://www.academia.edu/35546461/Massimo_Ferrara_Santamaria_Il_diritto_alla_illesa_intimit%C3%A0_privata_1937_|nome2=La Biblioteca|cognome2=Giuridica|nome3=Rocco|cognome3=Favale}}</ref>. I primi casi di personaggi famosi italiani che furono coinvolti in controversie giudiziarie relative al diritto alla riservatezza furono:
 
*[[Enrico Caruso]], anche se la lesione del diritto fu contestata dagli eredi in relazione a due film biografici che riguardavano il tenore;
*[[Enrico Caruso]]: ci furono contestazioni da parte degli eredi, riguardanti la lesione della privacy del tenore, successivamente all'uscita di due film, in particolare "[[Enrico Caruso, leggenda di una voce|Enrico Caruso, Leggenda di Una Voce"]] (1951), poiché trattavano fatti dell'infanzia di Caruso, per lo più fittizzi<ref>{{Cita pubblicazione|nome=Giovanni|cognome=Pugliese|data=1954|titolo=Sentenza 14 settembre 1953; Pres. Boccia P., Est. Mani; Caruso (Avv. Leone) c. Soc. p. a. Produzione associata Tirrena Asso film (Avv. Graziadei, Vismara Currò)|rivista=Il Foro Italiano|volume=77|numero=1|pp=115/116–133/134|accesso=2019-06-19|url=https://www.jstor.org/stable/23145955}}</ref><ref>{{Cita web|url=http://www.jus.unitn.it/users/pascuzzi/varie/sem-inf99/Cass_1956.htm|titolo=Cass. 22 dicembre 1956 n. 4487|sito=www.jus.unitn.it|accesso=2019-06-19}}</ref>;
*[[Claretta Petacci]], in merito alla sua relazione con [[Benito Mussolini]]. Nel [[1963]] la Corte di Cassazione confermò definitivamente la condanna al settimanale «[[Tempo (rivista)|Tempo]]» (all'epoca uno dei principali settimanali italiani), per aver pubblicato, in un servizio sulla Petacci, diversi particolari inerenti alla sua vita intima. La sentenza applicò il principio secondo il quale non vanno rese note vicende che riguardano la sfera privata delle persone, anche di quelle famose, in assenza d'interesse pubblico<ref>[[Umberto Ambrosoli]], [[Massimo Sideri]], ''Diritto all'oblio, cit.'', pag. 70.</ref>.
 
In ambito internazionale si ricorda il caso della principessa egiziana [[Soraya Esfandiary Bakhtiari]] (1932-2001) in relazione ad una sua storia d'amore. L'ex [[regina consorte]] dellodell'ultimo [[scià di Persia]], [[Mohammad Reza Pahlavi]], fece causa ad alcune testate giornalistiche sostenendo che la propria riservatezza era stata violata: i giornali avevano ritratto la donna mentre era in compagnia di un uomo dentro la propria abitazione<ref>{{cita web|http://www1.unipa.it/gpino/Corte%20di%20Cassazione.pdf|Commento alla sentenza 27 maggio 1975, n. 2129 della Cassazione}}</ref>.
 
== Descrizione ==
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Il diritto alla ''privacy'' non va confuso con il diritto al segreto, anch'esso finalizzato a tutelare un'area riservata della vita privata ma che per qualche motivo comprenda elementi comunque conosciuti da alcune persone: il medico, ad esempio, è sicuramente consapevole dello stato di salute del proprio paziente, ma ha il dovere di mantenere il segreto professionale sulle notizie di cui è a conoscenza.
 
Il diritto alla privacy non è nemmeno interamente sovrapponibile al diritto alla protezione dei dati personali (cioè alla protezione da monitoraggio continuo, previsione dei comportamenti, profilazione degli individui) che nasce come corollario del diritto alla riservatezza.<ref>{{Cita news|lingua=it-IT|url=http://www.dataprotectionlaw.it/diritto-alla-protezione-dei-dati-personali/|titolo=Diritto alla protezione dei dati personali - Data Protection Law {{!}} Privacy e protezione dati personali|pubblicazione=Data Protection Law {{!}} Privacy e protezione dati personali|accesso=2018-03-19}}</ref>
 
La diffusione delle nuove tecnologie a partire dal [[XXI secolo]] ha contribuito ad un assottigliamento della barriera della ''privacy'', ad esempio la tracciabilità dei cellulari o la relativa facilità a reperire gli indirizzi di posta elettronica delle persone, che può dar luogo, ad esempio, al fenomeno dello ''spamming, ''pubblicità indesiderata. Anche la geolocalizzazione degli [[smartwatch]], combinata con funzioni in questi contenute, come il [[cardiofrequenzimetro]], può impattare in modo significativo sulla ''privacy'', permettendo ad aziende di marketing di monitorare l'utente nelle sue abitudini di consumo e gusti personali attraverso tecniche di [[pubblicità comportamentale]], cioè una raccolta delle informazioni personali degli utenti come mezzo di marketing per proporre pubblicità targetizzate, come evidenziato da Federprivacy nel 2015, e confermato da uno studio condotto dall'[[Università di Pisa]] in collaborazione con l'[[Università dell'Essex]], e l'[[Harvard Medical School]].<ref>[http://www.lastampa.it/2015/03/17/tecnologia/federprivacy-lancia-lallarme-sugli-smartwatch-che-leggono-le-emozioni-ABIhBoye3KnRPBNiOsRh1I/pagina.html La Stampa, 17 marzo 2015 "Federprivacy lancia l'allarme sugli smartwatch che leggono le emozioni"]</ref><ref>[http://www.ilsecoloxix.it/p/magazine/2015/03/17/ARoWlUqD-federprivacy_smartwatch_emozioni.shtml Il Secolo XIX, 17 marzo 2015 "Federprivacy lancia l'allarme sugli smartwatch che leggono le emozioni"]</ref><ref>[http://www.primapaginanews.it/dettaglio_articolo.asp?id=286818&ctg=13 Agenzia di Stampa Nazionale Prima Pagina News, 17 marzo 2015 "Allarme privacy con gli smartwatch che leggono le emozioni"]</ref>
 
La [[digitalizzazione]] delle immagini contribuisce ad una continua e progressiva riduzione della riservatezza e da difficoltà nella sua tutela: condividere un'immagine o un video [[on-line]] su [[internet]] comporta la perdita di controllo sul materiale inserito. Ad esempio il ''sexting ''- condivisione di fotografie a carattere erotico prevalentemente sui ''[[social network]]'' - comporta la totale impossibilità di nasconderla potendo essere scaricata da altri utenti e reimmessa in Rete in qualunque altro momento. Analoghi problemi sorgono allorché vi siano video che in qualche modo siano lesivi della ''privacy '' o in qualche modo lesivi di altre persone, soprattutto se di [[minore età]].
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La Carta introduce inoltre un ''Comitato nazionale per la correttezza e la lealtà dell'informazione'', organismo che ha la funzione di raccogliere e valutare le segnalazioni dei cittadini che ritengono di essere stati offesi da un articolo di giornale.
 
* La legge del 31 dicembre 1996, n. 675, ''Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali'', garantisce che il [[trattamento dei dati personali]] si svolga nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali e della dignità delle persone fisiche<ref>{{Cita web|url=https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/28335|titolo=Legge Ln. 675 del 31 dicembre 1996 - Tutela delle persone e di altri... - Garante Privacy|sito=www.garanteprivacy.it|accesso=2019-06-19}}</ref>. Inoltre, l'articolo 25 di tale legge si intitola ''Trattamento di dati particolari nell'esercizio della professione giornalistica'', e vieta di trattare senza consenso ''dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale dei cittadini'', e affida al [[Garante per la protezione dei dati personali|Garante]] il compito di promuovere l'adozione, da parte del Consiglio nazionale dell'Ordine, di un ''codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali''.
* Il [[Codice deontologico sulla privacy]] (il cui nome per esteso è Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell'esercizio dell'attività giornalistica) è stato consegnato al Garante nella sua versione definitiva il 29 luglio [[1998]], ai sensi dell'art. 25 della l. 675/96. Il punto chiave del codice è la distinzione fra la sfera privata e interesse pubblico. È composto da 13 [[articolo (legge)|articoli]], nei quali si inserisce la tutela di alcuni ''diritti personali'' come il diritto alla riservatezza sulle origini [[etnia|etniche]], il pensiero politico, le abitudini sessuali, le convinzioni religiose, le condizioni di [[salute]] delle persone, il diritto alla dignità degli imputati durante i processi e dei malati. Molto importante è l'art. 6 del Codice, che parla di ''essenzialità dell'informazione''<ref>Il principio dell'essenzialità dell'informazione si trova enunciato per la prima volta nella legge 675/96 all'art. 20 ("Requisiti per la comunicazione e la diffusione dei dati»). La legge 196/2003, attualmente in vigore, lo riprende all'art. 137.</ref> e chiarisce che una notizia può essere divulgata, anche in maniera dettagliata, se è ''indispensabile in ragione dell'originalità del fatto, della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto, nonché della qualificazione dei protagonisti''. Anche nel codice, all'art. 7, viene ripresa la necessità, espressa nella Carta di Treviso, di una tutela rafforzata dei minori. Nel caso di minori scomparsi o rapiti, in particolare, è necessario il consenso dei genitori. L'art. 8 stabilisce invece, sempre nella sfera del rispetto per la dignità delle persone, il divieto di pubblicazione di immagini impressionanti.
* Il decreto legislativo n. 196 del 2003 (noto anche come «[[Codice in materia di protezione dei dati personali|Codice di protezione dei dati personali]]»), in vigore dal 1º gennaio [[2004]] (che ha abrogato e sostituito la legge n. 675/96), dedica il titolo XII, «Giornalismo ed espressione letteraria ed artistica», alla disciplina del rapporto fra diritto di cronaca e diritto alla privacy.
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A livello [[software]] programmi ''[[spyware]]'' che, installandosi spesso in maniera fraudolenta nel ''[[personal computer]]'' delle vittime, provvede ad inviare dati personali (pagine visitate, [[account]] di posta, gusti ecc) ad aziende che successivamente li rielaboreranno e rivenderanno. Esiste anche un metodo, chiamato ''[[social engineering]]'', tramite cui i truffatori riescono a ottenere informazioni personali sulle vittime attraverso le più disparate tecniche psicologiche: si tratta di una sorta di manipolazione che porta gli utenti a fornire spontaneamente i propri dati confidenziali.
 
La legge sulla privacy (Art. 167 d.lgs. n. 196/2003<ref>{{Cita web|url=https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:2003-06-30;196!vig=2019-06-15|titolo=Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196}}</ref>) punisce con la reclusione fino a due anni chi compie un illecito trattamento di dati personali tramite internet, ad esempio pubblicando la fotografia del volto di un altro soggetto senza il suo consenso. Quando le immagini hanno natura intima (soggetto nudo, compimento di un atto sessuale, ecc.), può scattare il reato più grave di stalking (Cass. sent. n. 12203/2015<ref>{{Cita web|url=https://sentenze.laleggepertutti.it/sentenza/cassazione-civile-n-12203-del-12-06-2015|titolo=Sentenza Cassazione Civile n. 12203 del 12/06/2015 – Sentenze La Legge per Tutti|lingua=it-IT|accesso=2019-06-19}}</ref>). La legge richiede che lo scopo della pubblicazione sia quello di trarne profitto e di arrecare un danno alla vittima, ma questa espressione è stata interpretata in senso lato dalla giurisprudenza, secondo cui è sufficiente, ai fini del reato, un semplice fastidio o un turbamento alla vittima. Per chiedere il risarcimento del danno è necessario agire in via civile.<ref>{{Cita web|url=https://www.laleggepertutti.it/135820_se-pubblico-foto-di-una-persona-senza-consenso-che-rischio|titolo=Reati su internet: la pubblicazione sul proprio profilo Facebook o su Whatsapp, della foto di una persona che non ci ha dato il consenso, può essere reato.}}</ref>
 
A tutela dell'individuo, possono essere impiegati alcuni accorgimenti, a cura dell'utente interessato, come:
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*Ricorrere a strategie di [[Offuscamento (difesa della privacy)|offuscamento]].
 
Esistono inoltre soluzioni meno immediate ma più efficaci come l'utilizzo della [[crittografia]], che ci permette di criptare un messaggio privato attraverso particolari [[software]] facendo sì che solo l'utente destinatario possa leggerlo in chiaro, unito all'implementazione della [[firma digitale]].
 
Con il diffondersi del [[Voice over IP]] e della [[chat]] (anche se paiono più difficili da intercettare), si spera non si creino altri settori di potenziale violazione della privacy.
 
=== In Internet ===
L'utilizzo di [[internet]] costituisce anch'esso un impedimento - in potenza - alla riservatezza della vita privata degli utenti, ed in particolar modo alla navigazione nella [[rete telematica]]: in particolare i ''[[cookie]]'' [[Hypertext Transfer Protocol|HTTP]] sono i dati memorizzati sul computer di un utente che in generale facilitano l'accesso automatizzato a siti e/o funzionalità web, tengonotenendo traccia delle impostazioni utente sul sito, e permettono il tracciamento dell'utente sia nei suoi spostamenti su un singolo sito, sia nella navigazione su siti differenti, in caso i cookie vengano impostati dai siti di terze parti.<ref>{{Cita web|autore = opentracker.net |url= http://www.opentracker.net/article/third-party-cookies-vs-first-party-cookies |titolo = Third-Party Cookies vs First-Party Cookies |accesso = |data = }}</ref>
I ''[[cookie]]'' rappresentano una preoccupazione comune in materia di ''privacy'' su Internet. Sebbene gli sviluppatori di siti web utilizzino i ''cookie'' per scopi tecnici legittimi, possono verificarsi casi di abuso. Nel 2009, due ricercatori, Balachander Krishnamurthy e Craig Wills, hanno dimostrato che i profili di ''social networking'' possono essere collegati ai ''cookie'', ovvero che è possibile per le terze parti, per esempio ''network'' pubblicitari, collegare le varie informazioni che identificano l'utente per risalire alle abitudini di navigazione dell'utente,<ref>{{Cita web|autore =Balachander Krishnamurthy, Craig Wills|url =http://www.www2009.org/proceedings/pdf/p541.pdf|titolo =Privacy Diffusion on the Web: A Longitudinal Perspective|accesso =|data =|urlmorto =sì|urlarchivio =https://web.archive.org/web/20160729160952/http://www2009.org/proceedings/pdf/p541.pdf|dataarchivio =29 luglio 2016}}</ref> una pratica che è alla base della [[pubblicità comportamentale]].
 
In passato, la maggior parte degli utenti di internet non era a conoscenza dell'esistenza dei ''cookie'', ma attualmente i loro possibili effetti negativi sono largamente riconosciuti: un recente studio ha di fatto dimostrato che il 58% degli utenti ha, almeno una volta, eliminato i ''cookie'' dal proprio computer, e che il 39% degli utenti li elimina abitualmente dal proprio computer ogni mese. Dal momento che i ''cookie'' rappresentano il modo principale degli inserzionisti di individuare i potenziali clienti, e data la presa di coscienza di molti utenti che hanno cominciato ad eliminarli, alcuni inserzionisti hanno iniziato ad utilizzare i ''cookie'' persistenti ''[[Local shared object|Flash cookies]]'' (che possono gestire un quantitativo di dati maggiore, non scadono, e sono memorizzati in più locazioni nella stessa macchina)<ref>{{Cita web|url=https://www.ilsoftware.it/articoli.asp?tag=Ecco-cosa-sono-i-cookie-Flash-e-come-e-possibile-sbarazzarsene_6320|titolo=Cosa sono e che ruolo hanno i cookie Flash}}</ref> e gli ''[[zombie cookie]]'' (cookies che vengono ricreati dopo la loro eliminazione, grazie a backup esterni alla memoria dedicata ai cookie classici)<ref>{{Cita pubblicazione|data=2019-03-15|titolo=Zombie cookie|rivista=Wikipedia|lingua=en|accesso=2019-06-19|url=https://en.wikipedia.org/w/index.php?title=Zombie_cookie&oldid=887849888}}</ref>, ma i ''[[browser]]'' moderni e i ''[[software]]'' anti-''[[malware]]'' possono rilevarli e rimuoverli.
 
Uno dei vantaggi attribuibili all'uso dei ''cookie'' è che, per i siti web visitati di frequente che richiedono una ''password'' all'accesso, questi fanno in modo di non dover inserire ogni volta i propri dati personali. Un ''cookie'' può anche monitorare le proprie preferenze per mostrare i siti di maggiore interesse. Alcuni di questi benefici sono anche visti come negativi: ad esempio, uno dei modi più comuni di furto di dati sensibili utilizzati dagli [[cracker (informatica)]] è proprio quello di "rubare" i dati di accesso a siti salvati a causa dei cookie. Molti siti, essendo gratuiti, traggono profitto vendendo il loro spazio agli inserzionisti. Questi annunci, che vengono personalizzati a seconda dei gusti dell'utente, spesso possono essere causa di fastidio durante la navigazione. I cookie sono per lo più innocui ad eccezione dei cookie di terze parti. Questo genere di cookie, infatti, non vengono implementati dal sito stesso, ma da società di web [[banner]] pubblicitari e risultano più pericolosi perché forniscono i dati di navigazione degli utenti ad aziende estranee al sito dal quale sono stati registrati, e molto spesso, ad insaputa dell'utente.
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I ''cookie'' sono spesso associati alle finestre ''[[pop-up]]'', perché queste finestre sono spesso, ma non sempre, costruite su misura per la persona. Queste finestre risultano molto irritanti durante la navigazione perché sono spesso difficili da chiudere poiché il pulsante di chiusura è strategicamente nascosto in una parte dello schermo improbabile. Nel peggiore dei casi, questi annunci ''pop-up'' possono riempire interamente lo schermo e durante il tentativo di chiuderli, possono causare l'apertura di siti indesiderati.
 
Alcuni utenti scelgono di disabilitare i ''cookie'' nel proprio ''browser web''. Tale azione può ridurre alcunealcuni rischi per la privatezza, ma possono gravemente limitare o impedire la funzionalità di molti siti. Tutti i principali ''browser web'' hanno questa capacità di disattivazione al loro interno, con nessun programma esterno richiesto. In alternativa, gli utenti possono spesso eliminare tutti i cookie memorizzati. Alcuni ''browser'' (come [[Mozilla Firefox]] e [[Opera (browser)|Opera]]) offrono la possibilità di cancellare i cookies automaticamente ogni volta che l'utente chiude il browser. Una terza opzione prevede l'attivazione di ''cookie'' in generale, ma impedendo il loro abuso. Nonostante ciò, si teme che l'eliminazione manuale della ''[[cache]]'' di navigazione come arma a favore della ''privacy'' sia stata sopravvalutata.<ref>{{Cita web|autore = Daniel Dent|url = https://www.danieldent.com/blog/six-internet-privacy-myths/|titolo = Six Common Internet Privacy Myths|accesso = |data = }}</ref>
 
Il processo di profilatura (noto anche come "tracking") assembla e analizza diversi eventi, ognuno attribuibile ad un unico soggetto originario, al fine di ottenere informazioni (in particolare modelli di attività) relative alla persona di origine. Alcune organizzazioni si occupano della profilatura di navigazione web delle persone, raccogliendo gli [[URL]] dei siti visitati. I profili risultanti possono potenzialmente creare un collegamento con le informazioni che identificano personalmente l'individuo che ha effettuato la navigazione.
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Una forma particolarmente grave di violazione della privacy su Internet è il cosiddetto "[[revenge porn]]", che consiste nella condivisione pubblica di materiale erotico senza il permesso del protagonista dello stesso per vendetta o estorsione. Diversi stati hanno emanato leggi e provvedimenti atti a contrastare questa pratica.<ref>{{cita web|url=https://www.panorama.it/economia/la-parola-allavvocato/revenge-porn-cose-e-come-contrastarlo/|titolo=Revenge porn, cos'è e come contrastarlo|accesso=7 dicembre 2017}}</ref>
 
L'uso di Internet fa sorgere un problema di equilibrio tra protezione della privacy e libertà di espressione online.
 
La protezione dei dati relativi alla privacy è minacciata da social network come Facebook poiché molti datori di lavoro li utilizzano per scovare informazioni relative ai candidati che presentano il loro CV. D'altra parte, sempre nel campo del lavoro, i social network rappresentano un pericolo anche dopo l’assunzione all'interno di un’azienda.
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In Quebec, ad esempio, una compagnia di assicurazioni avrebbe raccolto informazioni su Facebook per determinare se una dipendente assente dal lavoro per malattia avesse diritto a ricevere il sussidio. In effetti la dipendente, in congedo da un anno a causa di una grave depressione, aveva pubblicato foto che sarebbero state scattate in un bar durante una vacanza. L'assicuratore in questione ha quindi interrotto il pagamento di qualsiasi indennità di malattia valutando la dipendente idonea a ritornare al lavoro.<ref>{{Cita news|lingua=it-IT|url=http://www.irpinianews.it/assente-da-lavoro-per-malattia-pubblica-foto-di-feste-su-facebook/|titolo=Assente da lavoro per malattia: pubblica foto di feste su Facebook - Irpinianews.it|pubblicazione=Irpinianews.it|data=2009-11-23|accesso=2018-02-19}}</ref> Inoltre, molti siti sono integrati con Facebook per scopi di [https://en.wikipedia.org/w/index.php?title=Behavioral_retargeting&oldid=842834045 Behavioral retargeting] concedendo al social network i dati di navigazione<ref>{{Cita news|lingua=it-IT|url=https://techboom.it/controlliamo-i-nostri-dati-ecco-la-lista-siti-italiani-integrati-con-facebook/|titolo=Controlliamo i nostri dati! Ecco la lista dei siti italiani integrati con Facebook - TechBoom|pubblicazione=TechBoom|data=2018-06-26|accesso=2018-06-27}}</ref> dei propri utenti.
 
LoL'uso stessodi concettoInternet valefa persorgere quantoun riguardaproblema di equilibrio tra protezione della privacy e libertà di espressione online. Casi in cui l'utente ha manifestato un proprio pensiero sul web possono essere ricondotti a casi di diffamazione:. laLa Cassazione ha stabilito che i social network sono da considerarsi quali luoghi pubblici, quindi se un dipendente di un’azienda scrive sul suo profilo privato un parere negativo rivolto all’azienda stessa, esso può trasformarsi in diffamazione e ad un conseguente licenziamento per giusta causa.<ref>{{Cita news|lingua=it-IT|url=http://www.lastampa.it/2015/12/17/tecnologia/idee/facebook-pu-davvero-farti-licenziare-nTYRCU0IWRyKirDFvtKPwM/pagina.html|titolo=Facebook può davvero farti licenziare?|pubblicazione=LaStampa.it|accesso=2018-02-19}}</ref> È stato inoltre affermato dalla Cassazione (2014) che è possibile ricondurre a diffamazione anche affermazioni in cui non sono stati fatti nomi propri, fintanto che ''il soggetto la cui reputazione è lesa sia individuabile da parte di un numero limitato di persone, indipendentemente dalla indicazione nominativa''.<ref>{{Cita web|url=https://www.repubblica.it/cronaca/2014/04/16/news/cassazione_diffamazione_su_facebook_anche_senza_fare_nomi-83786192/|titolo=Cassazione: è diffamazione parlar male su Facebook anche senza fare nomi|sito=Repubblica.it|data=2014-04-16|lingua=it|accesso=2019-06-19}}</ref>
 
Questi esempi illustrano i pericoli dei social network per la protezione della privacy.
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== Legislazione in materia ==
=== ''The right to privacy'' statunitense ===
Warren e Brandeis definirono il diritto alla riservatezza come ''"the right to be letleft alone''" - "il diritto di essere lasciati in pace". Brandeis, autore principale dell'articolo, fu ispirato dalla lettura dell'opera del filosofo statunitense [[Ralph Waldo Emerson]], che proponeva la solitudine come criterio e fonte di libertà. Si applica la logica del recinto: il cosiddetto ''ius excludendi alios''.
 
Nell'introduzione all'articolo abbiamo la dichiarazione che l'individuo deve avere piena protezione della propria persona e delle proprietà. I primi tre paragrafi del saggio trattano del diritto alla vita e poi del “valore legale delle sensazioni”. Dal quarto paragrafo, Warren e Brandeis affermano la necessità della legge di adattarsi alle invenzioni recenti e ai metodi d'affari (ad esempio fotografia e giornali).
 
Proseguendo nell'elaborato i giuristi aspirano a considerare un principio da invocare che possa proteggere la ''privacy'' degli individui. Quindi passano in rassegna diverse leggi, rendendosi conto che nessuna contiene il concetto di ''privacy'' così come da loro concepito. A questo proposito, esaminano anche le leggi di proprietà intellettuale: trovano aspetti del “right to be letleft alone”, ma mai una sua ampia e completa caratterizzazione.
 
Successivamente, gli studiosi concentrarono nel sottolineare il fatto che l'abilità di prevenire la pubblicazione non esisteva ancora chiaramente come un diritto di proprietà; tuttavia, trovarono nella sentenza del tribunale “Prince Albert v. Strange”<ref>{{Cita pubblicazione|autore = High Court of Chanery|titolo = PRINCE ALBERT v. Strange|anno = 1849|lingua = Inglese|url = http://www.bailii.org/ew/cases/EWHC/Ch/1849/J20.html|accesso = 11 febbraio 2015}}</ref> il principio da invocare per proteggere il diritto alla ''privacy''. Inoltre, essi suggerirono l'esistenza di un diritto alla ''privacy'' implicito nelle giustificazioni giurisdizionali utilizzate dal tribunale per proteggere del materiale dalla pubblicazione ("''where protection has been afforded against wrongful publication, the jurisdiction has been asserted, not on the ground of property, or at least not wholly on that ground, but upon the ground of an alleged breach of an implied contract or of a trust or confidence.''" - "dove si è dovuti ricorrere ad una protezione contro pubblicazioni dannose, la giurisdizione ha compiuto affermazioni non sulla base della proprietà, o almeno non completamente su tale base, ma sulla base di una falla in un contratto implicito o in una mananza di fiducia")<ref>{{Cita pubblicazione|autore = S. Warren, L. Brandeis|titolo = The right to privacy}}, in Harvard Law Review, 1890, 193 ss.</ref>.
 
In conclusione, i due giuristi americani dichiarano che il diritto alla ''privacy'' è il principio che protegge gli scritti personali e ogni altra produzione dell'intelletto o delle emozioni. Tuttavia il diritto alla ''privacy'':
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Oltre che negli [[Accordi di Schengen]], il concetto è stato riportato nella [[Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea]] all'art. 8, che recita:<blockquote>"''Ogni individuo ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che lo riguardano.''</blockquote><blockquote>''Tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Ogni individuo ha il diritto di accedere ai dati raccolti che lo riguardano e di ottenerne la rettifica.''</blockquote><blockquote>''Il rispetto di tali regole è soggetto al controllo di un'autorità indipendente.''"</blockquote>
 
Le fonti del [[diritto dell'Unione Europea]] rilevanti sono contenute nella Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 ottobre 1995, contrassegnata dalla sigla 95/46/CE, pubblicata nella [[Gazzetta ufficiale dell'Unione europea|GUCE]] L 281 del 23.11.1995 (p.&nbsp;31), che tratta in generale la tutela dei dati personali (ancora in vigore, ma oggi è in corso di dibattito un nuovo regolamento che disiplinerà la tutela della privacy), e nella Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 luglio 2002, sigla 2002/58/CE. In quest'ultima si espone il trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche<ref>{{Cita web|url = http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/35284|titolo = Direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 luglio... - Garante Privacy|accesso = 30 dicembre 2015|sito = www.garanteprivacy.it}}</ref>.
 
La [[Corte europea dei diritti dell'uomo]]<ref>Application n. 61496/08, CASE OF BĂRBULESCU v. ROMANIA, Rule 77 §§ 2 and 3, 12 gennaio 2016</ref> ha deciso che non è contrario all'art. 8 della Convenzione Europea il comportamento del datore di lavoro che monitora l'uso della e-mail aziendale da parte dei dipendenti ''in termini di tabulati'', mentre non viene stabilita la legittimità di un controllo del traffico Internet né in particolare del contenuto delle comunicazioni via e-mail durante l'orario di lavoro e dalla propria postazione.
 
Con sentenza del 6 ottobre [[2015]] relativa al caso irlandese Facebook-Schrems<ref>{{Cita pubblicazione|nome=Marta|cognome=Requejo|data=2018|titolo=Max Schrems Against Facebook|rivista=SSRN Electronic Journal|accesso=2019-06-19|doi=10.2139/ssrn.3206707|url=http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.3206707}}</ref>, la Corte di Giustizia Europea ha dichiarato invalido l'accordo ''Safe Harbour'' fra UE e Stati Uniti, sul trattamento dei dati personali e sensibili di cittadini europei, principalmente per l'assenza di confini e deroghe ai poteri delle autorità che tutelano la sicurezza nazionale.
 
L'accordo è stato poi sostituito dal nuovo ''EU-US Privacy Shield'' del 2 febbraio [[2016]], che riguarda dati di cittadini europei trasmessi via internet da UE a Stati Uniti, ovvero detenuti stabilmente in banche dati di società private o enti di ''intelligence'' residenti negli USA, e aziende USA che trattano i dati dei cittadini in Europa. L'accordo non specifica limiti ed eccezioni per le autorità di ''intelligence'', mentre impone alle aziende USA (che operino sia in Europa che negli Stati Uniti), ad aderire e rispettare le normative UE sulla privacy nei confronti dei cittadini europei. È prevista una stretta collaborazione con ''Department of Commerce'' e la ''Federal Trade Commission'', e la creazione di Ombudsman per le controversie con l'''intelligence''.
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=== Nel diritto italiano ===
{{vedi anche|Codice in materia di protezione dei dati personali}}
Per quanto riguarda la Costituzione Italiana, non vi è un articolo specifico che tutela il diritto alla riservatezza, ma questo può essere ricavato per via interpretativa dagli articoli 2 e 3 Cost.della Costituzione che permettono di incorporare la riservatezza nei diritti inviolabili dell’uomo<ref>{{Cita web|url=https://www.senato.it/1025?sezione=118&articolo_numero_articolo=2|titolo=senato.it - La Costituzione - Articolo 2|sito=www.senato.it|lingua=it|accesso=2018-06-19}}</ref><ref>{{Cita web|url=https://www.senato.it/1025?sezione=118&articolo_numero_articolo=3|titolo=senato.it - La Costituzione - Articolo 3|sito=www.senato.it|lingua=it|accesso=2018-06-19}}</ref>; ma anche dagli articoli 13, 14 e 15 Cost., nei quali si può cogliere la tutela della riservatezza in ambiti riguardanti la libertà personale<ref>{{Cita web|url=https://www.senato.it/1025?sezione=120&articolo_numero_articolo=13|titolo=senato.it - La Costituzione - Articolo 13|sito=www.senato.it|lingua=it|accesso=2018-06-19}}</ref>, il domicilio<ref>{{Cita web|url=https://www.senato.it/1025?sezione=120&articolo_numero_articolo=14|titolo=senato.it - La Costituzione - Articolo 14|sito=www.senato.it|lingua=it|accesso=2018-06-19}}</ref>, la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni forma di comunicazione<ref>{{Cita web|url=https://www.senato.it/1025?sezione=120&articolo_numero_articolo=15|titolo=senato.it - La Costituzione - Articolo 15|sito=www.senato.it|lingua=it|accesso=2018-06-19}}</ref>.
 
La prima fonte di diritto in materia era costituita dalla [[giurisprudenza]] della [[Suprema Corte di Cassazione]]. Questa, con la sentenza n. 4487 del [[1956]], nega inizialmente la presenza di un diritto alla riservatezza<ref>{{Cita web|url=http://www.jus.unitn.it/users/pascuzzi/varie/sem-inf99/Cass_1956.htm|titolo=Cass. 22 dicembre 1956 n. 4487|sito=www.jus.unitn.it|accesso=2018-06-19}}</ref>. Il riferimento all'art. 2 Cost. di cui sopra arriva invece solo nel [[1975]], con la sentenza della Corte di Cassazione n. 2129 del 27 maggio 1975, con cui la stessa Corte identifica tale diritto nella ''tutela di quelle situazioni e vicende strettamente personali e familiari, le quali, anche se verificatesi fuori dal domicilio domestico, non hanno per i terzi un interesse socialmente apprezzabile contro le ingerenze che, sia pure compiute con mezzi leciti, per scopi non esclusivamente speculativi e senza offesa per l'onore, la reputazione o il decoro, non sono giustificati da interessi pubblici preminenti.''<ref>[http://www.jus.unitn.it/users/pascuzzi/varie/sem-inf99/Cass_1975.htm Cass. 27 maggio 1975 n. 2129]</ref> Questa affermazione è fondamentale per il bilanciamento col [[diritto di cronaca]] (vedi "Privacy e giornalismo"). La casistica in materia è ampia; in particolare, il Tribunale di [[Roma]], nella sentenza del 13 febbraio [[1992]], aveva notato che ''chi ha scelto la notorietà come dimensione esistenziale del proprio agire, si presume abbia rinunciato a quella parte del proprio diritto alla riservatezza direttamente correlato alla sua dimensione pubblica''.
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Una norma vera e propria venne emanato soltanto con la [[legge 31 dicembre 1996, n. 675]]<ref>{{Cita web|url=https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/28335|titolo=Legge n. 675 del 31 dicembre 1996 - Tutela delle persone e di altri... - Garante Privacy|sito=www.garanteprivacy.it|lingua=it-IT|accesso=2018-06-19}}</ref>, sostituita successivamente dal [[D.lgs 30 giugno 2003, n. 196]]<ref>{{Cita web|url=http://www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/03196dl.htm|titolo=Decreto Legislativo 30 giugno 2003|sito=www.camera.it|accesso=2018-06-19}}</ref>.
 
In questo senso si parla di ''privacy'' come "autodeterminazione e sovranità su di sé" ([[Stefano Rodotà]]) e "diritto a essere io" (avvocato Giuseppe Fortunato), riconoscersi parte attiva e non passiva di un sistema in evoluzione, che deve portare necessariamente ad un diverso rapporto con le istituzioni, declinato attraverso una presenza reale, un bisogno dell'esserci, l'imperativo del dover contare, nel rispetto reciproco delle proprie libertà. La normativa italiana assume tuttavia il [[principio del pari rango]], per il quale qualora il trattamento di alcuni dati sensibili di un soggetto sia necessario al fine di tutelare diritti "di pari rango" in capo ad altro soggetto.
 
==== La tutela in internet ====