Carlo Felice di Savoia: differenze tra le versioni

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== Biografia ==
=== Infanzia e giovinezza ===
[[File:Castello di Moncalieri, Turino 1711.jpg|thumb|left|Il [[castello di Moncalieri]] in una [[stampa]] del [[1711]]. Qui Carlo Feluce visse i primi anni della sua vita]]
Carlo Felice, quale fratello minore di [[Carlo Emanuele IV di Savoia]] e [[Vittorio Emanuele I di Savoia]], non era destinato alla successione al trono. Egli trascorse la sua infanzia con la sorella Maria Carolina e il fratello minore Giuseppe Benedetto Placido, conte di Moriana, nella [[castello di Moncalieri|residenza]] [[Vittorio Amedeo III di Savoia|paterna]] di [[Moncalieri]].
 
Sin da giovane Carlo Felice mostrò un carattere assai complesso: da un lato, coerente e inflessibile, chiuso, diffidente, impulsivo se non suscettibile e vendicativo, dall'altro onesto, sincero, capace di commozione e di tenerezza; era di mente perspicace, a tratti anche ironico ma privo di duttilità. Possedeva una concezione quasi sacrale della monarchia<ref>G. Locorotondo, Carlo Felice, pp.365-366</ref>.
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Negli anni a cavallo tra la [[Rivoluzione francese]] e la [[Campagna d'Italia (1796-1797)|Campagna d'Italia]], Carlo Felice fece parte insieme ai fratelli [[Vittorio Emanuele I di Savoia|Vittorio Emanuele]], duca d'Aosta, alla di lui moglie [[Maria Teresa d'Asburgo-Este (1773-1832)|Maria Teresa d'Asburgo-Este]], Maurizio Giuseppe duca del Monferrato e Giuseppe Placido conte della Moriana, di una vera e propria "corte parallela" che si contrapponeva alla cerchia riunita attorno al Principe di Piemonte, [[Carlo Emanuele IV di Savoia|Carlo Emanuele]]<ref>A. Segre, Vittorio Emanuele I, p. 42</ref>.
 
In questo periodo, infine, Carlo Felice iniziò la compilazione del suo diario personale, importante fonte primaria sulle vicende e sui contrasti in seno alla [[casa Savoia|corte di Savoia]].
 
=== Campagna d'Italia ===
Scoppiata la guerra con la [[Francia]], pur avendo ricevuto una certa educazione militare, Carlo Felice non si distinse, tuttavia, né come soldato né come trascinatore: infatti, nel [[1792]], dopo l'occupazione francese del ducato di Savoia e del contado di Nizza, seguì le truppe a [[Saluzzo]], e nel [[1793]] accompagnò il padre (che in concomitanza con gli [[Austriaci]] del gen.generale [[J. De Vins]] dirigeva le operazioni per la riconquista di [[Nizza]] e [[Savoia (regione)|Savoia]]) nella [[Valle di Susa]], a [[Pinerolo]], a Cuneo]] e a [[Tenda]].
 
In ogni caso, il principe si mantenne assai distante dal fronte: l'8 settembre seguì il combattimento del colle di [[Rauss]], nella primavera del [[1794]], dopo aver raggiunto ad [[Aosta]] il fratello [[duca del Monferrato]], si diresse, accompagnato dal fratello, [[Conte]] di [[Moriana]], a [[Morgex]] allo scopo di riconquistare alcune posizioni di rilevante importanza strategica ma non ottenne alcun risultato<ref>S. Costa di Beauregard, Unhomme d'autrefois, Paris 1877, p. 274</ref>.
 
Minacciato all'interno dal pericolo della rivoluzione (nel [[1794]] furono scoperte due congiure [[giocobinesimo|giacobine]]) e compromesso sul piano estero dal disastroso [[trattato di Valenciennes]] (23 maggio [[1794]]), il [[Piemonte]] fu infine travolto dall'armata napoleonica.
 
Il 28 aprile del [[1796]], [[Vittorio Amedeo III di Savoia]] fu, infine, costretto a firmare l'[[armistizio di Cherasco]] e poi la [[Trattato di Parigi (1796)|pace di Parigi]] (15 maggio) sanzionante la cessione alla [[Francia]] di [[Nizza]], [[Savoia (regione)|Savoia]], [[Ginevra|Genevese]] e di alcune fortezze (di conseguenza, Carlo Felice cambiò il [[Genevese|ducato del Genevese]] con il titolo di [[marchese]] di [[Susa (Italia)|Susa]]).
 
Vittorio Amedeo III morì nell'ottobre dello stesso anno e gli succedette il [[principe di Piemonte]] come [[Carlo Emanuele IV di Savoia]].
I rapporti di Carlo Felice con il fratello, ora [[re di Sardegna|Re]], mai stati cordiali, peggiorarono ancor di più dal momento che il sovrano teneva i fratelli all'oscuro dei principali affari di Stato.
 
Dopo due anni di regno, Carlo Felice assisté agli eventi culminati nella forzata rinuncia di Carlo Emanuele IV all'esercizio dell'autorità regia sopra gli Stati sardi di terraferma. Col re e con tutta la [[famiglia reale]] la sera del 9 dicembre [[1798]] lasciò [[Torino]] e all'alba del 3 marzo [[1799]], sempre al seguito della corte, sbarcò a [[Cagliari]].
 
=== Viceré di Sardegna ===
[[File:Charles Felix as the Grand Master of the Order of the Most Holy Annunciation.jpg|thumb|upright=0.7|Carlo Felice con l'abito di gran maestro dell'[[Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro]]]]
 
Quando [[Carlo Emanuele IV di Savoia]] abdicò, non avendo avuto figli, il 4 giugno [[1802]] lasciò il trono a [[Vittorio Emanuele I di Savoia|Vittorio Emanuele]] il quale tuttavia non prese possesso dei domini in [[Sardegna]] e preferì affidarli a Carlo Felice, in qualità di viceré.
 
Il governo di Carlo Felice in Sardegna è ricordato nell'isola come alquanto rigido ed autoritario: infatti, l'isola, dopo i [[moti rivoluzionari sardi]], aveva conosciuto un periodo di disordine, acuito dalla forte povertà, che aveva generato come conseguenza un aumento della delinquenza che il viceré represse con notevole durezza tanto da scrivere al fratello, re, "Ammazza, ammazza, per il bene del genere umano"<ref name="Montanellip.344">{{Cita|Indro Montanelli|p.344}}.</ref>.
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Nella sua opera di riorganizzazione, tuttavia, spiegò una notevole energia riuscendo ad imbrigliare l'autonomia della magistratura e della burocrazia locale di cui parimenti fermò la assimilazione, che alienava non pochi consensi tra i sudditi e riuscì a correggere alcuni abusi del regime feudale<ref name= Treccani >{{cita web|url=http://www.treccani.it/enciclopedia/carlo-felice-di-savoia-re-di-sardegna_(Dizionario-Biografico)/|titolo=Carlo Felice di Savoia|accesso=22 febbraio 2015}}.</ref>
 
Infatti, quando lo [[Stamento]], il parlamento del regno, votò una contribuzione di 400.000 [[lira|lire]], il viceré esercitò non poche pressioni affinché fossero esentati i ceti più deboli, regolò le contestazioni in merito alla giurisdizione feudale tra feudatari e vassalli a vantaggio dei secondi<ref name= Treccani />; tuttavia, allo scoppio della rivolta antifeudale contro il [[duca]] dell'[[Asinara]], che pure aveva rifiutato di conformarsi agli ordini del viceré, Carlo Felice decise di punire sia il nobile, che fu privato dei beni, sia gli artefici della rivolta<ref>{{cita web|url=http://www.usini.virtuale.org/la_rivolta_antifeudale.htm|titolo=Storia di Usini, la Rivolta anti-feudale|accesso=22 febbraio 2015|urlmorto=sì|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20121216041640/http://www.usini.virtuale.org/la_rivolta_antifeudale.htm|dataarchivio=16 dicembre 2012}}</ref>.
 
Nonostante un quadro politico e sociale assai precario, il viceré fu in grado di apportare alcune migliorie allo sviluppo agricolo ed economico dell'isola: in questo periodo, infatti, fu istituita una società agraria ed un ufficio per l'amministrazione delle miniere e dei boschi appartenenti alla corona, inoltre, fu incentivata la raccolta degli olivi e stipulati trattati commerciali allo scopo di creare sbocchi alla produzione locale; infine, diede inizio a progetti di sistemazione della rete stradale<ref name= Testedistoria >{{cita web|url=https://testedistoria.blogspot.it/2011/12/carlo-felice-di-savoia-il-re-per-caso.html|titolo=Teste di storia: Carlo Felice di Savoia, il re per caso|accesso=22 febbraio 2015}}</ref>.
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=== Matrimonio e rientro a Torino ===
[[File:Portrait of Maria Cristina of Naples, queen of Sardinia (1779-1849) circa 1828-1831.jpg|thumb|upright=0.7|[[Maria Cristina di Borbone-Napoli]], moglie di Carlo Felice e regina di Sardegna]]
Il 7 marzo [[1807]], nella [[Cappella Palatina (Palermo)|Cappella Palatina]] del [[Palazzo dei Normanni|Palazzo Reale di Palermo]], sposò [[Maria Cristina di Borbone-Napoli|Maria Cristina di Napoli]] (17 gennaio [[1779]] - 11 marzo [[1849]]), figlia di [[Ferdinando I delle Due Sicilie|Ferdinando di Borbone]] [[re di Napoli]] e di [[re di Sicilia|Sicilia]] (che dopo il [[Congresso di Vienna]] assumerà il titolo [[Re delle Due Sicilie]]) e [[Maria Carolina d'Asburgo-Lorena|Maria Carolina d'Austria]].
 
Il matrimonio, che in origine aveva incontrato l'opposizione dell'interessato, era stato arrangiato per impellenti necessità dinastiche. Infatti, poiché né [[Carlo Emanuele IV di Savoia|Carlo Emanuele]][[Vittorio Emanuele I di Savoia|Vittorio Emanuele]] avevano avuto figli maschi (l'erede del secondo era morto in [[Sardegna]] per una malattia) mentre il [[Duca didel Monferrato]] ed il [[Conte]] di [[Moriana]] erano deceduti, Carlo Felice diveniva l'[[erede presuntivo]] e pertanto era necessario che avesse almeno lui dei figli maschi.
 
Tuttavia, sebbene il matrimonio con Maria Cristina fosse armonioso, la di lei sterilità impedì tali progetti ed obbligò Vittorio Emanuele a considerare la successione di [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]], [[principe di Carignano]], discendente da un [[savoia-Carignano|ramo collaterale]] di [[Casa Savoia]]<ref>{{Cita|Indro Montanelli|p.309}}.</ref>
 
Dopo la caduta di [[Napoleone]] ed il rientro di Vittorio Emanuele a [[Torino]] (20 maggio [[1814]]), Carlo Felice lo seguì per un breve periodo per poi ritornare l'anno seguente in [[Sardegna]] con la moglie mantenendo formalmente la carica di Viceré sino al [[1821]] sebbene facesse rientro alla corte di [[Torino]] dopo breve tempo.
 
=== Rivoluzione del 1821 ===
==== Premessa ====
A seguito dei moti di [[Cadice]] del [[1820]] re [[Ferdinando VII di Spagna]] fu costretto a riconcedere la [[Costituzione spagnola del 1812|costituzione del 1812]] ed in molti Stati europei si accese così la speranza di ottenere analoghe concessioni dai rispettivi sovrani. Moti insurrezionali scoppiarono a [[Napoli]] e [[Palermo]].
 
I primi segnali di crisi si verificarono l'11 gennaio del [[1821]] quando, a [[Torino]], durante una recita a teatro quattro studenti furono fermati dalla polizia poiché portavano berretti rossi con fiocco nero, simbolo della [[Carboneria]]. I giovani opposero resistenza e furono arrestati provocando un grosso tafferuglio<ref>{{Cita|Montanelli|p. 300}}.</ref>.
 
L'indomani tutti gli studenti e molti docenti, sdegnati per l'accaduto, protestarono, reclamarono la scarcerazione dei fermati e, non avendola ottenuta, si chiusero dentro l'Università ed il governo fu costretto ad inviare l'esercito. Sebbene non ci fossero morti, i feriti furono assai numerosi e gli eventi precipitarono<ref>{{Cita|Montanelli|p. 301}}.</ref>.
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==== Inizio della Rivolta ====
I congiurati però si insospettirono e diedero disposizioni per annullare l'insurrezione che doveva scoppiare il 10: lo stesso giorno [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]], completamente pentito, corse a [[Moncalieri]] da [[Vittorio Emanuele I di Savoia]] svelandogli ogni cosa e chiedendo perdono, nella notte la guarnigione di [[Alessandria]], comandata da uno dei cospiratori ([[Guglielmo Ansaldi]]), si ribellò e occupò la città. I rivoluzionari a questo punto, benché abbandonati dal Principe, decisero di agire<ref>{{Cita|Bertoldi|pp. 75-79}}.</ref>.
 
==== Abdicazione di Vittorio Emanuele e Reggenza di Carlo Alberto ====
[[File:Victor Emmanuel I of Sardinia.jpg|thumb|upright=0.7|[[Vittorio Emanuele I di Savoia|Vittorio Emanuele I]] a seguito dei moti del [[1821]] abdicò in favore di Carlo Felice]]
 
Domenica 11 marzo [[1821]] il re [[Vittorio Emanuele I di Savoia]] riunì il Consiglio della corona, del quale faceva parte anche [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]]; e tuttavia, data l'indecisione del monarca, non venne assunta alcuna decisione.
 
Il 12 la [[cittadella di Torino]] cadde nelle mani degli insorti: Vittorio Emanuele I inviò allora Carlo Alberto e [[Cesare Balbo]] a trattare con i carbonari che rifiutarono ogni contatto con i due. Così, la sera, il Re, di fronte al dilagare della sollevazione militare abdicò in favore del fratello Carlo Felice, e poiché quest'ultimo era a [[Modena]] fu nominato reggente Carlo Alberto<ref>{{Cita|Bertoldi|pp. 85-89, 98}}.</ref>.
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L'abdicazione del sovrano, cui seguirono le dimissioni dei ministri di stato, provocò il caos non solo poiché creava una crisi dinastica di cui le potenze non potevano disinteressarsi ma anche perché divise l'esercito e la burocrazia impedendo ogni possibilità di mantenere l'ordine interno.
 
Il reggente provò a reagire nominando un nuovo governo (l'avvocato [[Ferdinando Dal Pozzo]] ([[1768]]-[[1843]]) al ministero dell'Interno, il generale [[Emanuele Pes di Villamarina]] alla Guerra e [[Lodovico Sauli d'Igliano]] agli Esteri) e cercò di trattare con i ribelli ma non ottenne nulla.
 
Nell'impossibilità di prendere ogni decisione senza il consenso del nuovo re, Carlo Alberto inviò a Carlo Felice una relazione sugli avvenimenti chiedendogli istruzioni ma la lettera giunse al destinatario troppo tardi.
 
Infatti, nel timore di diventare oggetto del furore popolare, la sera del 13 marzo [[1821]], [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]] firmò il proclama che annunciava la concessione della [[Costituzione spagnola del 1812|costituzione spagnola]], con riserva dell'approvazione del Re<ref>{{Cita|Bertoldi|pp. 91-95}}.</ref>.
 
Il giorno dopo, il reggente decise di formare una Giunta che avrebbe dovuto fare le veci del parlamento, davanti alla quale, due giorni dopo giurò di osservare la costituzione di Spagna, la cui versione sabauda era stata emendata con alcune clausole pretese dalla consorte di Vittorio Emanuele I, [[Maria Teresa d'Asburgo-Este (1773-1832)|Maria Teresa d'Asburgo-Este]]<ref>{{Cita|Bertoldi|pp. 95-96}}.</ref>.
 
==== Intervento di Carlo Felice ====
A questo punto, Carlo Felice, che aveva appena ricevuto la lettera di [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]] con la notizia dell'abdicazione del fratello, decise di reagire. Sbatté la missiva in faccia al messo ingiungendogli di non chiamarlo "[[Maestà]]", poi affermò che l'abdicazione, essendo stata estorta con la violenza, era da considerarsi nulla ed infine comandò a questi: «Riferite al Principe che, se nelle sue vene c'è ancora una goccia del nostro sangue reale, parta subito per [[Novara]] e attenda là i miei ordini»<ref>{{Cita|Montanelli|p. 308}}.</ref>.
 
Quanto alla costituzione spagnola, dichiarò nullo qualunque atto di competenza sovrana fatto dopo l'abdicazione del fratello<ref>{{Cita|Bertoldi|pp. 97-99}}.</ref> e, senza muoversi da [[Modena]], emanò il seguente proclama:
 
{{Citazione|Ben lungi dall'acconsentire a qualunque cambiamento nella forma di governo preesistente alla detta abdicazione del Re, nostro amatissimo fratello, consideriamo sempre come ribelli tutti coloro dei Reali Sudditi, i quali avranno aderito o aderiscano ai sediziosi, o i quali si saranno arrogati o si arrogheranno di proclamare una costituzione.| A. Aquarone, ''La politica legislativa della Restaurazione nel regno di Sardegna'', p.159.}}
 
[[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]], soverchiato dallo scoramento, fece quanto Carlo Felice gli aveva ordinato e, giunto a Novara, emanava un proclama con cui rinunciava alla reggenza ed invitava tutti a sottomettersi a Carlo Felice che, il 29 del mese, gli fece giungere un dispaccio con cui gli ordinava di partire con la famiglia per Firenze<ref>{{Cita|Bertoldi|pp. 103-106}}.</ref>.
 
Esautorato Carlo Alberto, il re indirizzò diverse lettere a [[Francesco II d'Asburgo-Lorena|Francesco I d'Austria]] per sollecitare l'invio di un corpo di spedizione allo scopo di stroncare la rivolta<ref>Lettere del 16, 25 e 29 marzo</ref>.
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I ribelli, infatti, consci che non restavano altre vie, marciavano su Novara dove si erano radunate le truppe fedeli al Re sotto la guida del generale [[Vittorio Amedeo Sallier della Torre|Vittorio Sallier de La Tour]] e, inevitabilmente, convinsero Metternich ad intervenire.
 
L'8 aprile si arrivò allo scontro ([[Novara]]-[[Borgo Vercelli]]) con le truppe del La Tour e poi con quelle del generale austriaco F. A. [[Ferdinando Bubna]], che occuparono Vercelli e Alessandria (11 aprile), mentre il La Tour, che aveva ottenuto i pieni poteri da parte del sovrano, occupava [[Torino]] il 10 aprile.
 
Il 19 aprile, nonostante le contrarie pressioni rivoltegli per ragioni diverse dagli imperatori di Russia e d'Austria, dal Metternich, da Carlo Alberto, da Francesco IV e dallo stesso Carlo Felice (che aborriva all'idea di ritrovarsi re "grazie" a una rivoluzione), Vittorio Emanuele I ratificò la rinuncia al trono.
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==== Repressione ====
Una volta ripreso il controllo della Capitale, Carlo Felice, rimasto ancora a [[Modena]], intavolò trattative con l'[[imperatore d'Austria]] al fine di ottenere il riconoscimento, nella sede del [[Congresso di Lubiana]], del fatto che il Re sarebbe potuto rientrare nel pieno possesso dei suoi stati come monarca assoluto e che gli austriaci sarebbero stati esclusi da ogni ingerenza nell'amministrazione dei territori in cui si fossero stanziati<ref>{{Cita|Perrero|pp. 336 e seguenti}}.</ref>.
 
In vista poi del [[Congresso di Verona (1822)|congresso di Verona]], temendo pressioni per modifiche costituzionali, ribadì nelle istruzioni ai propri rappresentanti all'estero che la repressione de "l'esprit révolutionnaire" invocata dal congresso di Lubiana spettava esclusivamente a lui e che egli era fermamente convinto di tale necessità ed obbligo.<ref>{{Cita|Lemmi|pp. 184 passim}}.</ref>
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La Commissione di scrutinio, articolata in una commissione superiore e in sette giunte divisionali di scrutinio, operò numerose destituzioni e sospensioni di impiegati civili e di professori di ogni ordine di scuola che furono particolarmente colpiti<ref name= Testedistoria />.
 
Infatti, anche per le istruzioni del ministro degli Interni, conte [[Gaspard-Jerome Roget, conte di Cholex|Roget de Cholex]], fu chiusa l'[[università di Torino]] e molti professori subirono severe ammonizioni anche perché, scrisse il Sovrano in una lettera al fratello, Vittorio Emanuele (9 maggio [[1822]]): "Tutti quelli che hanno studiato all'Università sono del tutto corrotti: i professori sono da detestare, ma non c'è modo di sostituirli perché tutti coloro che sanno qualcosa non valgono più di loro. Insomma, i cattivi sono tutti istruiti e i buoni sono tutti ignoranti".<ref>Corrado Vivanti, Età Contemporanea, p. 41.</ref>.
 
In ogni caso, sebbene al clima plumbeo instaurato<ref>{{Cita|Perrero|pp. 288-293}}.</ref> si accompagnasse l'abitudine alla delazione, e la diversità di idee politiche divenne pretesto a vendette private generando forti lacerazioni sociali e familiari<ref>Rosario Romeo, ''Dal Piemonte sabaudo all'Italia liberale''. Torino, Einaudi, 1963, p.33</ref>, le autorità regie, specie il governatore di Genova, ammiraglio [[Giorgio Des Geneys]], non ostacolarono affatto la fuga nei compromessi tanto che furono solo due le condanne a morte effettivamente eseguite<ref name="Cita|Montanelli|p. 344">{{Cita|Montanelli|p. 344}}.</ref>.
 
Inoltre, da un rapporto del [[conte]] d'di [[Agliè]] risulta che Carlo Felice non smise mai di passare segretamente dei sussidi agli esuli che aveva fatto condannare in contumacia e [[Angelo Brofferio|Brofferio]] attesta che, quando il re seppe che uno di questi sussidi andava ai congiunti di uno dei due patrioti che il tribunale aveva fatto giustiziare nel [[1821]], raddoppiò la somma<ref>{{Cita|Montanelli|p. 351}}.</ref>.
 
La repressione ebbe finalmente termine il 30 settembre del [[1821]] quando Carlo Felice emanò un indulto in favore di quanti erano stati implicati nei moti escludendo, però, da tale beneficio capi e promotori, fiancheggiatori e quanti si fossero resi colpevoli di omicidio o estorsione; pochi giorni dopo, il sovrano rientrava a [[Torino]].
 
=== Regno ===
==== Politica interna ====
[[File:Carlo Felice 1 lira genova.jpg|thumb|upright=0.7|Carlo Felice ritratto su una moneta da 1 [[Lira sarda|lira]] del [[1828]]]]
Non avendo mai aspirato al trono e non amando particolarmente i torinesi che, ai suoi occhi, si erano macchiati di tradimento verso la dinastia appoggiando prima [[Napoleone]] e poi i moti costituzionali<ref>{{Cita|Montanelli|p. 350}}.</ref>, Carlo Felice non fu molto presente come re né partecipò alla vita sociale della capitale.
 
In effetti, risiedeva a [[Torino]] solo quando era aperta la stagione teatrale<ref name="Cita|Montanelli|p. 344"/> ed il resto del tempo lo trascorreva in continui soggiorni in [[Savoia (regione)|Savoia]], nel [[Nizza|nizzardo]], a [[Genova]], una delle sue residenze favorite, e nei castelli di [[Castello di Govone|Govone]] e [[Castello ducale di Agliè|Agliè]], che aveva ricevuto in eredità dalla sorella Maria Anna.
 
A causa di ciò, il re preferiva delegare ampi compiti ai suoi ministri, in particolar modo al conte [[Roget de Cholex]], ministro degli interni, riservandosi un compito di supervisione; quanto al suo governo, questo è il giudizio che diede [[Massimo d'Azeglio]]:
 
{{Citazione|Un dispotismo pieno di rette ed oneste intenzioni ma del quale erano rappresentanti ed arbitri quattro vecchi ciambellani, quattro vecchie dame d'onore con un formicaio di frati, preti, monache, gesuiti|Massimo d'Azeglio, citato in Montanelli, ''L'Italia Giacobina e Carbonara'', p. 344.}}
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Ciononostante, il re non fu del tutto insensibile alle esigenze di riforme e certamente si distinse nella difesa dello stato piemontese dalle ingerenze pontificie o straniere.
 
Infatti, limitò i privilegi e le esenzioni della [[Chiesa]] che apparivano lesivi dell'autorità dello Stato: abolì (quasi completamente) il diritto d'asilo nei luoghi sacri, ammise la citazione degli ecclesiastici come testimoni davanti ai tribunali laici ed impose il visto civile per catechismi, pastorali, libri sacri.
 
Quanto al problema dei beni ecclesiastici secolarizzati nel [[1792]] (con il consenso del [[Papa]]) e poi dai [[Francesi]] (con iniziativa unilaterale), il re affidò il compito ad una consulta straordinaria composta da funzionari ed esponenti del clero.
Le proposte, recate nel dicembre [[1827]] a [[papa Leone XII]] dall'ambasciatore straordinario [[Filiberto Avogadro di Collobiano]], furono esaminate da una congregazione di cardinali che, però, respinse alcuni aspetti finanziari ed il principio della disponibilità da parte dello stato dei beni. Pertanto, il 1º aprile del [[1828]], il re convocò un nuovo congresso al quale raccomandò flessibilità sulle questioni finanziarie e rigidità sulle proposte di principio; l'accordo raggiunto venne approvato il 14 maggio [[1828]] dalla [[Santa Sede]]<ref>F Lemmi, Carlo Felice, Torino, 1931, p. 221.</ref>.
 
Importante fu, inoltre, l'attività di riforma legislativa che ebbe le sue origini con l'Editto del 16 luglio [[1822]] per il riordino delle ipoteche, del 27 agosto 1822, che unificò il diritto penale militare, e del 27 settembre 1822 per la riforma del sistema giudiziario e che si concluse con le ''Leggi civili e criminali pel Regno di Sardegna'', 16 gennaio [[1827]], che sostituivano le normative per il [[regno di Sardegna]] ormai datate alla [[Carta de Logu]].
 
{{Citazione|Carlo Felice, come ogni uomo della Restaurazione, che comprende a un tempo sia i reazionari sia gli innovatori, ha maturato molteplici esperienze e appare oscillante tra l'aperto richiamo al dispotismo settecentesco, il cui sbocco era lo stato napoleonico, e suggestioni storicistiche, peraltro, in [[Italia]], scarsamente fortunate... Da un lato si è in presenza di un tipico sforzo di aggiornamento dell'[[assolutismo]] dinastico, dall'altro, si attua una recezione sostanziale della normativa francese, seppure con eccezioni e modificazioni”|E. Genta, Eclettismo giuridico della Restaurazione, pp.357-362.}}
 
Infatti, se Vittorio Emanuele aveva attuato una rigida controrivoluzione abrogando acriticamente tutte le disposizioni compiute dai francesi dopo la abdicazione di [[Carlo Emanuele IV di Savoia|Carlo Emanuele IV]], lo stato, tuttavia, non poteva rimanere sordo alle voci della maggioranza dei suoi sudditi i quali chiedevano leggi conformi alla ragione e alle esigenze dei tempi. Si poneva, quindi, la necessità di una qualche riforma che colmasse le lacune<ref>F. Sclopis, ''Storia della legislazione italiana dall'epoca della [[Rivoluzione francese]], [[1789]], a quella delle Riforme italiane, 1847'', p.206.</ref>.
 
Così il 27 settembre [[1822]] Carlo Felice, dopo aver ristabilito la pubblicità delle ipoteche e codificato il diritto penale militare, promulgò l'Editto sulla riforma dell'ordinamento giudiziario civile che, però, escluse la [[Sardegna]].
 
L'editto aboliva gran parte delle giurisdizioni speciali (come quella per i delitti di gioco d'azzardo o quella portuale), istituiva 40 tribunali collegiali di prefettura (da cui dipendevano 416 ''giudicature di mandamento''), competenti in primo grado, divisi in quattro classi, secondo l'importanza dei luoghi e affidando a speciali membri di questi tribunali l'istruzione dei processi; veniva mantenuta la giurisdizione penale e civile del [[Senato]] di [[Torino]] e quella fiscale della [[Corte dei Conti]]<ref>. Piola Caselli, ''La Magistratura. Studio sull'ordinamento giudiziario nella storia, nelle leggi straniere, nella legge italiana e nei progetti di riforma'', pp. 226-227.</ref>.
 
Inoltre, si adottava il doppio grado di giurisdizione eliminando la pluralità degli appelli e fu istituita la figura dell'avvocato fiscale con funzioni di pubblico ministero<ref>M. Taruffo, ''La giustizia civile in Italia dal ‘700 ad oggi'', p.94</ref>.
Line 208 ⟶ 209:
Infine, rese gratuito il diritto di azione, almeno tendenzialmente: sostituiva all'antico sistema delle sportule, tasse giudiziarie assai gravose, computate al valore della causa, che costituivano la retribuzione dei magistrati, con un regolare sistema di stipendi a carico del bilancio dello Stato.<ref>P. Saraceno, ''Storia della magistratura italiana. Le origini – la magistratura nel Regno di Sardegna'', pp.40-41.</ref>.
 
Altra importante innovazione fu il Corpo delle leggi civili e criminali del [[Regno di Sardegna]] promulgato il 16 gennaio [[1827]] e che è dovuto principalmente all'azione del conte de Cholex; preparato a Torino dal Consiglio supremo di Sardegna, il progetto fu poi esaminato da un'apposita commissione sarda e poi dalla Reale Udienza di Sardegna e fu il risultato di una selezione delle fonti insulari e delle continentali, tanto nazionali quanto straniere.<ref>. G. Manno, ''Biografia di S. A. R. il duca del Genevese poscia re C. F., in Note sarde e ricordi'', Torino 1868, p. 288</ref>.
 
Gli aspetti più nuovi riguardavano il campo del diritto penale con l'abolizione del "guidatico" (impunità a delinquenti che avessero catturati altri delinquenti) e delle "esemplarità" (atroci esacerbazioni della pena capitale, come lo squartamento dei cadaveri e la dispersione delle ceneri), con le restrizioni nella comminazione della pena di morte, con l'affermazione del concetto di proporzionalità della pena al reato e la distinzione tra reato tentato e reato commesso<ref>C. Sole,''La Sardegna di Carlo Felice e il problema della terra'', Cagliari 1967 p.65</ref>.
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Pur afflitto da difficoltà economico-finanziarie e caratterizzato da un rigido protezionismo, il regno di Carlo Felice non fu privo di iniziative nel campo dei servizi e delle opere pubbliche.
 
Infatti, fu potenziata la rete delle infrastrutture grazie alla costruzione della strada tra [[Cagliari]] e [[Porto Torres]], oggi [[Strada statale 131 Carlo Felice]] e della [[Genova]]-[[Nizza]] oltre che ai ponti sul [[Bormida]] e sul [[Ticino]] (quest'ultimo completato nel [[1828]]).
 
Importanti furono gli interventi edilizi cittadini: il porto di Nizza fu ampiamente restaurato, Genova ottenne il teatro, intitolato a [[Teatro Carlo Felice|Carlo Felice]], mentre [[Torino]] poté vantare un imponente progetto di sistemazione urbanistica di cui è esempio il ponte sulla [[Dora]], piazza Carlo Felice, canali sotterranei, i portici di piazza Castello e diversi sobborghi.
 
Inoltre, Carlo Felice non trascurò il settore siderurgico di cui si era già occupato in qualità di viceré e neppure quello creditizio e assicurativo il cui sviluppo fu assicurato con la creazione nel [[1827]] della [[Cassa di Risparmio di Torino]] e con la costituzione nel giugno del [[1829]] della [[Società Reale Mutua d'assicurazioni]].
 
Infine, non mancarono interventi nel settore agricolo e manifatturiero che furono incoraggiati con la concessione di diverse esenzioni e benefici fiscali e con la creazione di mostre espositive come quella del [[1829]] che vide la partecipazione di 500 espositori.
 
==== Politica estera ====
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In politica estera, Carlo Felice, benché prendesse in considerazione l'ipotesi di ingrandimenti territoriali, di fatto, non coltivò alcuna mira espansionistica e preferì dedicarsi agli interessi economici e commerciali dei suoi stati<ref>F. Lemmi, ''La politica estera di Carlo Alberto nei suoi primi anni di regno'', Firenze 1928, p. 93.</ref><ref>Bianchi, Storia della Diplomazia, II, p.77.</ref>.
 
Infatti, nel [[1821]], mediatrici l'[[Austria]] e l'[[Inghilterra]], stipulò con la [[Sublime porta]] un vantaggioso trattato di commercio.
 
Nel settembre del [[1825]], per indurre il baldanzoso [[bey (carica)|bey]] di [[Tripoli]] all'osservanza del trattato firmato nel [[1816]] sotto gli auspici dell'Inghilterra, e al rispetto della bandiera sarda lungo le coste dell'[[Africa]] settentrionale, non rifuggì neppure da una dimostrazione di forza. Verso la fine del mese due fregate, "Commercio" e "Cristina", una corvetta, "Tritone", e un brigantino, "Nereide", al comando del capitano di vascello [[Francesco Sivori]], comparvero davanti a Tripoli. Fallito un estremo tentativo di pressione sul bey, nella notte del 27 settembre 10 scialuppe sarde penetrarono nel porto e, incendiati un brick e due golette tripoline e sbaragliate o massacrate le truppe accorse in aiuto, costrinsero il nemico a venire a più miti consigli<ref>Relazione stesa dall'amm. Des Geneys, Arch. di Stato di Torino</ref>.
 
Nel [[1828]] terminò la costruzione di un ponte sul [[Ticino (fiume)|fiume Ticino]] all'altezza di [[Boffalora sopra Ticino|Boffalora]], opera iniziata dal fratello Vittorio Emanuele I qualche anno prima sulla base di un trattato con l'[[imperatore d'Austria]], che regnava sull'altra sponda del fiume nel [[Regno Lombardo-Veneto]].
 
==== Mecenatismo ====
Innamorato dell'arte e della cultura, nel [[1824]] acquistò l'[[abbazia di Altacomba]], dove erano sepolti molti dei suoi antenati e ne curò il progetto di restauro che affidò all'architetto [[Ernesto Melano]].
 
Sarà sempre lui poi, nello stesso anno, ad acquistare buona parte della collezione che attualmente costituisce il [[Museo egizio (Torino)|Museo Egizio di Torino]], ricevendo i reperti direttamente dal barbaniese [[Bernardino Drovetti]], in quegli anni Console Generale di Francia in [[Egitto]]. La collezione venne poi destinata al [[palazzo dell'Accademia delle Scienze]], ancora oggi sede del museo. Infine, nel [[1827]] istituì anche la camera di commercio e la Scuola di Paleografia e Diplomatica, affiliata all'accademia di pittura e scultura.
 
=== Morte e successione ===
[[File:Carlo Felice Savoy Sardinia Hautecombe.jpg|thumb|upright=0.7|TombaLa tomba di Carlo Felice, nell'[[Abbazia di Altacomba]]. Particolare]]
Carlo Felice morì il 27 aprile [[1831]] a [[Torino]], presso [[Palazzo Chiablese]] e volle essere sepolto nell'[[abbazia di Altacomba]] in [[Savoia (regione)|Savoia]], dove nel [[1849]] verrà sepolta anche la moglie. Con Carlo Felice, senza eredi dal proprio matrimonio, si estingue il ramo principale dei [[Casa Savoia|Savoia]]. La corona reale passerà al ramo dei [[Savoia-Carignano]] con [[Carlo Alberto di Savoia|Carlo Alberto]], suo successore.
 
La scelta di Carlo Alberto quale suo successore fu per Carlo Felice una scelta non facile, soprattutto perché il cugino si era dimostrato particolarmente incline al [[liberalismo]] e ad amicizie filo-carbonare; tuttavia detta successione al ramo dei Savoia-Carignano fu passaggio obbligato.