Umberto II di Savoia: differenze tra le versioni

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Nell'aprile del [[1938]] la crisi tra corona e regime toccò il suo punto più alto, con il colpo di mano della creazione del grado di [[primo maresciallo dell'Impero]]: Starace e Ciano fecero approvare di sorpresa prima alla Camera, per acclamazione, poi al Senato, questo nuovo grado, attribuito sia al Re sia al Duce, il che li equiparava di fatto, e violava gravemente i Poteri Regi. Le rimostranze di [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]] furono veementi, tanto da dire a [[Mussolini]] che gli portava la legge da firmare: «Questa legge è un altro colpo mortale contro le mie prerogative sovrane. [...] questa equiparazione mi crea una posizione insostenibile perché è un'altra patente violazione dello [[Statuto Albertino|statuto del Regno]]» e che avrebbe preferito abdicare, se l'[[Italia]] non fosse in quel mentre attiva sul [[guerra civile spagnola|fronte spagnolo]], pur di non indossare quella doppia greca<ref>B. Mussolini, ''Storia di un anno'', p. 180.</ref>. Un possibile motivo di arrendevolezza del sovrano in questo frangente è desumile da quanto riportato il 2 aprile da Ciano nel suo diario: «Mussolini [...] mi ha detto: "Basta. Ne ho le scatole piene. Io lavoro e lui firma. [...] Ho risposto che potremo andare più in là alla prima occasione. Questa sarà certamente quando alla firma rispettabile del Re si dovesse sostituire quella meno rispettabile del principe. Il Duce ha annuito e, a mezza voce, ha detto: "Finita la Spagna, ne riparleremo"».<ref>G. Ciano, ''op. cit.'', p. 120.</ref>: pare realistico pensare che Vittorio Emanuele III allora, e altre volte in futuro, evitasse di coinvolgere il figlio negli affari di Stato o cedergli qualsiasi scampolo di potere effettivo per proteggerlo da queste oscure manovre del regime<ref>Luciano Regolo, ''Il re Signore'', Simonelli Editore, p. 354.</ref>.
 
[[File:Hitler a Roma.jpg|thumb|upright=2.2|Visita ufficiale di [[Hitler]] a [[Roma]] nel [[1938]]; sul palco in prima fila da sinistra: [[Benito Mussolini]], [[Adolf Hitler]], [[Vittorio Emanuele III d'Italia]], [[Elena del Montenegro]]; in seconda fila, da sinistra: [[Joachim von Ribbentrop]], [[Joseph Goebbels]], [[Rudolf Hess]], [[Heinrich Himmler]]]]
Di lì a poco si ebbe la visita di [[Hitler]] e del suo seguito a [[Roma]]: la corte si dimostrò palesemente antinazista, e i capi del nazismo avversi alla monarchia, con uno scambio di battute di scherno dall'una e dall'altra parte<ref>[[Himmler]] fu sentito dire del [[Quirinale]] "Qui si respira un'aria da catacomba" e [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]] definì [[Hitler]] un "degenerato psicofisico".</ref>. Umberto era antinazista per più motivi: come cattolico ([[Pio XI]] aveva già condannato il [[nazismo]] con l'[[enciclica]] ''[[Mit brennender Sorge]]'', e in quei giorni andò a [[Castel Gandolfo]] ordinando di lasciare al buio le chiese come segno di protesta), come uomo di una certa preparazione culturale, come figlio di [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele]], la cui avversione alla [[Germania]] durava dalla fine dell'[[Ottocento]], e come principe ereditario davanti a un regime chiaramente antimonarchico. [[Maria José del Belgio|Maria José]] considerava l'espansionismo nazista un'ovvia minaccia al suo [[Belgio]] e detestava i fascisti (il 7 settembre [[1938]] andò al concerto di [[Lucerna]] di [[Arturo Toscanini]], di fatto esule, perché gli era stato appena ritirato il [[passaporto]]). Queste ragioni, unite al sempre più forte legame che [[Mussolini]] stava creando tra [[fascismo]] e [[nazismo]], li spinsero a complottare per un ''golpe''.