Ludovico il Moro: differenze tra le versioni

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Ottenuto il potere, il Moro richiamò a Milano il fratello [[Ascanio Sforza]] e [[Roberto Sanseverino]] poi inviò oratori per stringere o risaldare alleanze con [[Lorenzo de' Medici]] e [[Ferdinando I di Napoli]] nonché con papa [[Sisto IV]] e prevenne un'alleanza tra gli svizzeri e la [[Repubblica di Venezia]] ai suoi danni. La pace tra [[Milano]], [[Firenze]], [[Roma]] e [[Napoli]], conclusa a dicembre, fu possibile grazie all'abilità politica dimostrata da Lorenzo nel suo viaggio a Napoli (suggerito dal Moro) e all'intermediazione [[Ippolita Maria Sforza]] che fece in modo da una parte di mantenere l'alleanza tra Milano e Firenze e dall'altra di evitare la caduta di Lorenzo, trattenuto per tre mesi dal re di Napoli. Alla fine di febbraio del 1480 giunsero a Milano gli ambasciatori di [[Sigismondo d'Austria]] per chiedere la liberazione del Simonetta ma non poterono essere accontentati.
Nel frattempo la nobiltà ghibellina, pur avendo aiutato il Moro nella sua scalata al potere, gli era divenuta sempre più invisa e aveva trovato in Ascanio Sforza il difensore dei suoi interessi. Il Moro, persuaso dal Sanseverino, ordinò l'arresto del fratello e il suo esilio a [[Ferrara]]. Furono esiliati anche [[Pietro Pusterla]], [[Giovanni Borromeo]], [[Antonio Marliani]] e molti altri illustri esponenti della fazione ghibellina. In aprile si ruppe l'alleanza stipulata pochi mesi prima dal momento che Sisto IV si alleò con i veneziani attaccando Costanzo Sforza a [[Pesaro]]; il Moro inviò Roberto Sanseverino in aiuto dei fiorentini mentre Ferdinando di Napoli inviò truppe a supporto di Costanzo e il figlio [[Alfonso II di Napoli|Alfonso]], [[duca di Calabria]], riuscì a catturare [[Siena]] con l'aiuto dei ghibellini senesi scacciando i guelfi ma fu poi richiamato in patria a causa della brutale conquista di [[Battaglia di Otranto|Otranto]] da parte dell'[[Impero Ottomano]]. La minaccia turca pose fine alle ostilità in [[Toscana]] e il 1 ottobre il Sanseverino tornò a Milano. Il Moro richiamò il fratello e i nobili milanesi esiliati pochi mesi prima che lo convinsero a giustiziare il Simonetta. Il Moro affidò l'istituzione del processo a [[Giovanni Antonio Aliprandi]], che in passato era stato torturato dal Simonetta, nonché il capitano di giustizia [[Borrino Colla]], il giureconsulto [[Teodoro Piatti]] e l'avvocato [[Francesco Bolla]], tutti notoriamente avversi all'ex-segretario ducale, in modo da assicurarsene la colpevolezza. Al Simonetta fu chiesto di pagare 50.000 ducati per sottrarsi alla condanna a morte ma questi rifiutò adducendo di averle accumulate nel tempo per garantire un futuro ai figli. Dopo essere stato torturato, il 29 ottobre il Simonetta fu processato, dichiarato colpevole e il giorno successivo decapitato presso il rivellino del castello di Pavia prospiciente il Parco Visconteo. Fu poi onorevolmente tumulato nel chiostro della chiesa di Sant'Apollinare, andata distrutta nel 1525 durante la [[battaglia di Pavia (1525)|battaglia di Pavia]]. Il fratello [[Giovanni Simonetta|Giovanni]] fu trasferito in una cella a [[Vercelli]]. La morte del Simonetta tolse di mezzo il principale avversario di [[Antonio Tassino]] che divenne sempre più arrogante. Il Corio racconta che quando il Moro o altri nobili milanesi andavano a fargli visita era solito farli aspettare a lungo fuori dalla porta finché non aveva finito di pettinarsi. Il Tassino riuscì a convincere Bona, ormai succube dell'uomo, a sostituire [[Filippo Eustachi]], prefetto del [[castello sforzesco|castello di Porta Giovia]] con suo padre Gabriello ricorrendo all'intermediazione di Giovanni Botta. Il prefetto non si fece corrompere e mantenne il giuramento fatto al defunto duca [[Galeazzo Maria Sforza]] di mantenere il castello fino al raggiungimento dell'età di 24 anni da parte del figlio [[Gian Galeazzo Maria Sforza|Gian Galeazzo Maria]]. Il Tassino fu fatto arrestare dal Moro per mano di [[Ermes Sforza]] ed esiliato a [[Venezia]] in cambio di una grossa somma di denaro. Quando Bona di Savoia fu informata dell'esilio del favorito andò su tutte le furie e cercò di fuggire in [[Francia]] ma il Moro la costrinse ad una prigionia dorata nel [[Castello Visconteo (Abbiategrasso)|castello di Abbiategrasso]]. Il 3 novembre [[1480]] Ludovico il Moro fu nominato reggente del ducato nonché tutore del giovane duca Gian Galeazzo Maria dai giuristi Francesco Bolla e Candido Porro.<ref>B. Corio, ''Storia di Milano'', Milano, 1856, vol III, pp. 351-355</ref>
Nel settembre del 1480 Ludovico aveva avviato una trattativa con [[Ercole d'Este]] per ottenere la mano della figlia primogenita [[Isabella d'Este|Isabella]]. Il fidanzamento non fu possibile perché pochi mesi prima il padre l'aveva già promessa in sposa, all'età di soli cinque anni, a [[Francesco II Gonzaga|Francesco Gonzaga]], marchese di Mantova. Al Moro fu dunque proposta Beatrice ed egli non esitò ad accettarla.
 
=== Guerra dei Rossi ===