Eversione dell'asse ecclesiastico: differenze tra le versioni

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Spostamento in Regno di Sardegna (1720-1861), chè riguarda la storia del Regno di Sardegna
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==Il contesto storico==
Un secondoprimo provvedimento restrittivo si ebbe con la legge 21 agosto 1862, n. 794, che tolse alla [[Cassa ecclesiastica]] il possesso materiale dei beni incamerati, passandolo al Demanio dello Stato. Gran parte del denaro ricavato da questa confisca venne utilizzata dal governo del nuovo stato per le spese connesse con la pubblica educazione, come votato dal parlamento<ref>{{cita libro|autore=Frederick Martin |titolo=The Statesman's Yeak-Book|url=|data= 1866|editore= Macmillan And Co.|isbn= |pagina= 316 }}</ref>.
La politica [[anticlericalismo|anticlericale]] del [[Regno di Sardegna]] fu inaugurata con la legge del 29 maggio [[1855]], n. 878, che abrogò il riconoscimento civile a numerosi [[Ordine religioso|ordini religiosi]] incamerandone i beni.<ref>{{cita|Orlandi|p. 229|Orlandi-Achille}}.</ref> Si trattava di procedimenti già messi in pratica in altri Stati, ad esempio nel [[Granducato di Toscana]] già dal [[1786]], e nella [[Francia napoleonica]] e nei territori da essa controllati (Italia compresa) nel [[1808]]. I beni patrimoniali degli ordini soppressi passarono in blocco sotto l'amministrazione di una Cassa Ecclesiastica. Con questo provvedimento il Regno di Sardegna cominciò ad incidere sull'assetto della [[proprietà (diritto)|proprietà privata]].
 
Nel [[1866]] il giovane Regno d'Italia affrontò una difficile e dispendiosa guerra contro l'Austria ([[Terza guerra di indipendenza italiana|terza guerra d'indipendenza]]). A causa delle spese ingenti dovute al conflitto, il disavanzo pubblico salì a 721 milioni, cifra mai toccata prima. La risposta dello Stato alla grave crisi finanziaria e alla necessità di ulteriori prestiti dai banchieri inglesi fu l'incameramento dei beni ecclesiastici.<ref>La legge 2087 fu approvata quattro giorni dopo la sconfitta di [[Battaglia di Custoza (1866)|Custoza]] (24 giugno 1866) e il Regio Decreto attuativo fu promulgato dopo appena altri dieci giorni.</ref>
 
Le confische accentuarono il dissidio politico con la [[Santa Sede]], originatosi con la [[questione romana]], che sarà ricomposto solo con la firma dei [[Patti lateranensi]] nel [[1929]]. Per compensare in qualche modo la [[liquidazione]] dei [[Bene immobile|beni immobili]] che la [[Chiesa cattolica]] aveva subito a partire dal [[1810]] (con le leggi [[Napoleone Bonaparte|napoleoniche]]) e fino a tutto il [[1871]], il [[Regno d'Italia]] si impegnò a "stipendiare" con la "[[Assegno di congrua|congrua]]" i [[Presbiterio (collegio)|presbiteri]] titolari di un beneficio ecclesiastico.
 
L'incameramento dei beni operato nel 1866/1867 non era isolato: lo Stato aveva cominciato ad incidere sull'assetto della [[proprietà (diritto)|proprietà]] nel [[1861]] con la cosiddetta ''quotizzazione'' dei demani comunali, e nel 1862 con una legge di alienazione del [[demanio]] dello Stato.
 
== Analisi ==
Ispirate a un'ideologia [[giurisdizionalismo|giurisdizionalista]] (la teoria giurisdizionalistica considerava il sovrano quale proprietario sostanziale anche di tutti i beni ecclesiastici), le leggi di eversione dell'asse ecclesiastico rimasero in vigore fino al [[1929]], anno di stupula dei [[Patti lateranensi]].<ref>Danilo Breschi, ''Le leggi di liquidazione dell’asse ecclesiastico nel biennio 1866-1867: un iter complesso e una soluzione traumatica'', pag. 29 ([https://www.academia.edu/10308673/Le_leggi_di_liquidazione_dell_asse_ecclesiastico_nel_biennio_1866-1867_un_iter_complesso_e_una_soluzione_traumatica versione digitalizzata]).</ref>
 
L'espressione qualificava la confisca dei beni degli enti religiosi come un abbattimento del potere economico della chiesa cattolica. Essa venne utilizzata sia nei disegni preparatori che nella legge stessa del 1866, ma in leggi successive il concetto fu edulcorato con l'espressione "liquidazione dell'asse ecclesiastico", terminologia che sottace la natura confiscatoria, ma che trova una corrispondenza in una maggiore moderazione delle leggi stesse. La nuova terminologia intese indicare come obiettivo della legislazione quello di imporre alla Chiesa la vendita dei propri beni immobili, attraverso, ad esempio, la conversione in titoli di stato. Obiettivo di fondo dell'azione del legislatore fu, quindi, l'estensione del controllo dello Stato sulla Chiesa.
 
== Il contenuto delle norme ==
Le due leggi di liquidazione dell'asse ecclesiastico furono approvate nel 1866 e nel 1867:
 
# Con il Regio decreto n. 3036 del 7 luglio 1866 fu tolto il riconoscimento (e di conseguenza la capacità patrimoniale) a tutti gli ordini, le corporazioni, e le [[Congregazione religiosa|congregazioni religiose]] regolari, ai conservatori ed i ritiri che comportassero vita in comune ed avessero carattere ecclesiastico. I beni di proprietà degli enti soppressi furono incamerati dal [[demanio]] statale. Per la gestione del patrimonio immobiliare fu creato il Fondo per il culto (oggi [[Fondo Edifici di Culto]]). Anche i beni immobili degli enti non colpiti dal provvedimento dovettero essere iscritti nel libro del [[debito pubblico]] e convertiti in rendita, al tasso del 5%. Gli introiti erano gestiti dal Fondo per il Culto. Fu inoltre sancita l'incapacità per ogni ente morale ecclesiastico di possedere immobili, fatte salve le [[parrocchia|parrocchie]], le sedi episcopali, i [[seminario|seminari]] e gli edifici destinati al culto. In questo modo, «una grande quantità di fondi rurali fu messa all'asta pubblica in tutt'Italia; moltissime chiese non parrocchiali furono chiuse al culto e convertite in usi civili; monasteri e conventi furono convertiti in scuole e carceri»<ref>D. Massè, ''Cattolici e Risorgimento'', Ed. Paoline, 1961, p. 154.</ref>. Ogni forma di opposizione all'incameramento dei beni e ogni inventario consegnato incompleto poteva essere punita dalla legge<ref>{{Cita|Scaraffia|p. 223}}.</ref>. Secondo Gianpaolo Romanato questi articoli «capovolgono la realtà, facendo della vittima un potenziale colpevole» e rivelano «il carattere sostanzialmente vessatorio della legge»<ref>Gianpaolo Romanato, ''Le leggi antiecclesiastiche negli anni dell'unificazione italiana'', in ''Studi storici dell'Ordine dei Servi di Maria'', LVI-LVII (2006-2007), p. 13</ref>.
# Con la Legge n. 3848 del 15 agosto [[1867]] vennero soppressi indistintamente tutti gli enti ecclesiastici, sia quelli morali sia quelli per scopo di culto: diocesi e [[Istituto religioso|istituti di vita consacrata]], ed anche i capitoli delle chiese cattedrali e di quelle collegiate. Furono soppressi in quanto ritenuti superflui dallo Stato per la vita religiosa del Paese. Da tale provvedimento restarono esclusi solamente i seminari, le [[cattedrale|cattedrali]], le parrocchie, i [[canonicato|canonicati]], le [[fabbriceria|fabbricerie]] e gli ordinariati. Agli enti sopravvissuti venne imposta una tassa straordinaria del 30%, che aggravò pesantemente la loro condizione finanziaria.
 
Dopo la [[Presa di Roma]] (20 settembre 1870), il primo ministro [[Giovanni Lanza]] estese l'esproprio dei beni ecclesiastici anche ai territori appartenenti all'ex [[Stato Pontificio]] e, quindi, anche a [[Roma]], la nuova capitale dello Stato unitario (legge 1402 del 19 giugno [[1873]]).
 
I fabbricati [[Convento|conventuali]] incamerati dallo Stato furono alienati oppure concessi ai [[Comune|Comuni]] e alle [[Provincia|Province]] (con la legge del [[1866]], art. 20), previa richiesta di utilizzo per pubblica utilità entro il termine di un anno dalla presa di possesso. Complessivamente, furono immessi sul [[mercato]] e ceduti alla grande borghesia terriera a prezzi stracciati oltre 3 milioni di [[ettaro|ettari]] (2,5 soltanto nel Sud) con modalità che sono state criticate sia dagli storici che dai giuristi.
 
==Le conseguenze finanziarie==
{| class="wikitable sortable" style="text-align:center"
! colspan="5" |Proprietà confiscate nel Regno di Sardegna nel 1855
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|}
 
In totale furono confiscati 2099 beni ecclesiastici, coinvolgendo 7871 religiosi che sommati davano una rendita annuale di {{formatnum:3641000}} lire.
 
Tale disposizione venne estesa nel 1859 all'ex Legazione delle Romagne, ai Ducati, poi successivamente agli altri territori che furono annessi allo Stato sabaudo.
 
Un secondo provvedimento restrittivo si ebbe con la legge 21 agosto 1862, n. 794, che tolse alla [[Cassa ecclesiastica]] il possesso materiale dei beni incamerati, passandolo al Demanio dello Stato. Gran parte del denaro ricavato da questa confisca venne utilizzata dal governo del nuovo stato per le spese connesse con la pubblica educazione, come votato dal parlamento<ref>{{cita libro|autore=Frederick Martin |titolo=The Statesman's Yeak-Book|url=|data= 1866|editore= Macmillan And Co.|isbn= |pagina= 316 }}</ref>.
 
Nel [[1866]] il giovane Regno d'Italia affrontò una difficile e dispendiosa guerra contro l'Austria ([[Terza guerra di indipendenza italiana|terza guerra d'indipendenza]]). A causa delle spese ingenti dovute al conflitto, il disavanzo pubblico salì a 721 milioni, cifra mai toccata prima. La risposta dello Stato alla grave crisi finanziaria e alla necessità di ulteriori prestiti dai banchieri inglesi fu l'incameramento dei beni ecclesiastici.<ref>La legge 2087 fu approvata quattro giorni dopo la sconfitta di [[Battaglia di Custoza (1866)|Custoza]] (24 giugno 1866) e il Regio Decreto attuativo fu promulgato dopo appena altri dieci giorni.</ref>
 
Le confische accentuarono il dissidio politico con la [[Santa Sede]], originatosi con la [[questione romana]], che sarà ricomposto solo con la firma dei [[Patti lateranensi]] nel [[1929]].
Per compensare in qualche modo la [[liquidazione]] dei [[Bene immobile|beni immobili]] che la [[Chiesa cattolica]] aveva subito a partire dal [[1810]] (con le leggi [[Napoleone Bonaparte|napoleoniche]]) e fino a tutto il [[1871]], il [[Regno d'Italia]] si impegnò a "stipendiare" con la "[[Assegno di congrua|congrua]]" i [[Presbiterio (collegio)|presbiteri]] titolari di un beneficio ecclesiastico.
 
L'incameramento dei beni operato nel 1866/1867 non era isolato: lo Stato aveva cominciato ad incidere sull'assetto della [[proprietà (diritto)|proprietà]] nel [[1861]] con la cosiddetta ''quotizzazione'' dei demani comunali, e nel 1862 con una legge di alienazione del [[demanio]] dello Stato.
 
== Analisi ==
Ispirate a un'ideologia [[giurisdizionalismo|giurisdizionalista]] (la teoria giurisdizionalistica considerava il sovrano quale proprietario sostanziale anche di tutti i beni ecclesiastici), le leggi di eversione dell'asse ecclesiastico rimasero in vigore fino al [[1929]], anno di stupula dei [[Patti lateranensi]].<ref>Danilo Breschi, ''Le leggi di liquidazione dell’asse ecclesiastico nel biennio 1866-1867: un iter complesso e una soluzione traumatica'', pag. 29 ([https://www.academia.edu/10308673/Le_leggi_di_liquidazione_dell_asse_ecclesiastico_nel_biennio_1866-1867_un_iter_complesso_e_una_soluzione_traumatica versione digitalizzata]).</ref>
 
L'espressione qualificava la confisca dei beni degli enti religiosi come un abbattimento del potere economico della chiesa cattolica. Essa venne utilizzata sia nei disegni preparatori che nella legge stessa del 1866, ma in leggi successive il concetto fu edulcorato con l'espressione "liquidazione dell'asse ecclesiastico", terminologia che sottace la natura confiscatoria, ma che trova una corrispondenza in una maggiore moderazione delle leggi stesse. La nuova terminologia intese indicare come obiettivo della legislazione quello di imporre alla Chiesa la vendita dei propri beni immobili, attraverso, ad esempio, la conversione in titoli di stato. Obiettivo di fondo dell'azione del legislatore fu, quindi, l'estensione del controllo dello Stato sulla Chiesa.
 
== Il contenuto delle norme ==
Le due leggi di liquidazione dell'asse ecclesiastico furono approvate nel 1866 e nel 1867:
 
# Con il Regio decreto n. 3036 del 7 luglio 1866 fu tolto il riconoscimento (e di conseguenza la capacità patrimoniale) a tutti gli ordini, le corporazioni, e le [[Congregazione religiosa|congregazioni religiose]] regolari, ai conservatori ed i ritiri che comportassero vita in comune ed avessero carattere ecclesiastico. I beni di proprietà degli enti soppressi furono incamerati dal [[demanio]] statale. Per la gestione del patrimonio immobiliare fu creato il Fondo per il culto (oggi [[Fondo Edifici di Culto]]). Anche i beni immobili degli enti non colpiti dal provvedimento dovettero essere iscritti nel libro del [[debito pubblico]] e convertiti in rendita, al tasso del 5%. Gli introiti erano gestiti dal Fondo per il Culto. Fu inoltre sancita l'incapacità per ogni ente morale ecclesiastico di possedere immobili, fatte salve le [[parrocchia|parrocchie]], le sedi episcopali, i [[seminario|seminari]] e gli edifici destinati al culto. In questo modo, «una grande quantità di fondi rurali fu messa all'asta pubblica in tutt'Italia; moltissime chiese non parrocchiali furono chiuse al culto e convertite in usi civili; monasteri e conventi furono convertiti in scuole e carceri»<ref>D. Massè, ''Cattolici e Risorgimento'', Ed. Paoline, 1961, p. 154.</ref>. Ogni forma di opposizione all'incameramento dei beni e ogni inventario consegnato incompleto poteva essere punita dalla legge<ref>{{Cita|Scaraffia|p. 223}}.</ref>. Secondo Gianpaolo Romanato questi articoli «capovolgono la realtà, facendo della vittima un potenziale colpevole» e rivelano «il carattere sostanzialmente vessatorio della legge»<ref>Gianpaolo Romanato, ''Le leggi antiecclesiastiche negli anni dell'unificazione italiana'', in ''Studi storici dell'Ordine dei Servi di Maria'', LVI-LVII (2006-2007), p. 13</ref>.
# Con la Legge n. 3848 del 15 agosto [[1867]] vennero soppressi indistintamente tutti gli enti ecclesiastici, sia quelli morali sia quelli per scopo di culto: diocesi e [[Istituto religioso|istituti di vita consacrata]], ed anche i capitoli delle chiese cattedrali e di quelle collegiate. Furono soppressi in quanto ritenuti superflui dallo Stato per la vita religiosa del Paese. Da tale provvedimento restarono esclusi solamente i seminari, le [[cattedrale|cattedrali]], le parrocchie, i [[canonicato|canonicati]], le [[fabbriceria|fabbricerie]] e gli ordinariati. Agli enti sopravvissuti venne imposta una tassa straordinaria del 30%, che aggravò pesantemente la loro condizione finanziaria.
 
Dopo la [[Presa di Roma]] (20 settembre 1870), il primo ministro [[Giovanni Lanza]] estese l'esproprio dei beni ecclesiastici anche ai territori appartenenti all'ex [[Stato Pontificio]] e, quindi, anche a [[Roma]], la nuova capitale dello Stato unitario (legge 1402 del 19 giugno [[1873]]).
 
I fabbricati [[Convento|conventuali]] incamerati dallo Stato furono alienati oppure concessi ai [[Comune|Comuni]] e alle [[Provincia|Province]] (con la legge del [[1866]], art. 20), previa richiesta di utilizzo per pubblica utilità entro il termine di un anno dalla presa di possesso. Complessivamente, furono immessi sul [[mercato]] e ceduti alla grande borghesia terriera a prezzi stracciati oltre 3 milioni di [[ettaro|ettari]] (2,5 soltanto nel Sud) con modalità che sono state criticate sia dagli storici che dai giuristi.
 
==Le conseguenze finanziarie==
{| class="wikitable sortable" style="text-align:center"
! colspan="4" |Proprietà confiscate alla Chiesa cattolica in data 31/12/1877