Ludovico il Moro: differenze tra le versioni
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[[File:Gian Galeazzo e Ludovico testone 681662.jpg|miniatura|[[Testone]] d'argento della seconda metà del Quattrocento che mostra sul diritto (a sinistra) il ritratto del duca [[Gian Galeazzo Maria Sforza]] e sul rovescio (a destra) quello dello zio Ludovico il Moro, suo tutore]]
Ottenuto il potere, il Moro richiamò a Milano il fratello [[Ascanio Sforza]] e [[Roberto Sanseverino]] poi inviò oratori per stringere o risaldare alleanze con [[Lorenzo de' Medici]] e [[Ferdinando I di Napoli]] nonché con
Nel frattempo la nobiltà ghibellina, pur avendo aiutato il Moro nella sua scalata al potere, gli era divenuta sempre più invisa e aveva trovato in Ascanio Sforza il difensore dei suoi interessi. Il Moro, persuaso dal Sanseverino, ordinò l'arresto del fratello e il suo esilio a [[Ferrara]]. Furono esiliati anche [[Pietro Pusterla]], [[Giovanni Borromeo]], [[Antonio Marliani]] e molti altri illustri esponenti della fazione ghibellina. In aprile si ruppe l'alleanza stipulata pochi mesi prima dal momento che Sisto IV si alleò con i veneziani attaccando Costanzo Sforza a [[Pesaro]]; il Moro inviò Roberto Sanseverino in aiuto dei fiorentini mentre Ferdinando di Napoli inviò truppe a supporto di Costanzo e il figlio [[Alfonso II di Napoli|Alfonso]], [[duca di Calabria]], riuscì a catturare [[Siena]] con l'aiuto dei ghibellini senesi scacciando i guelfi ma fu poi richiamato in patria a causa della brutale conquista di [[Battaglia di Otranto|Otranto]] da parte dell'[[Impero Ottomano]]. La minaccia turca pose fine alle ostilità in [[Toscana]] e il 1º ottobre il Sanseverino tornò a Milano. Il Moro richiamò il fratello e i nobili milanesi esiliati pochi mesi prima che lo convinsero a giustiziare il Simonetta. Il Moro affidò l'istituzione del processo a [[Giovanni Antonio Aliprandi]], che in passato era stato torturato dal Simonetta, nonché il capitano di giustizia [[Borrino Colla]], il giureconsulto [[Teodoro Piatti]] e l'avvocato [[Francesco Bolla]], tutti notoriamente avversi all'ex-segretario ducale, in modo da assicurarsene la colpevolezza. Al Simonetta fu chiesto di pagare 50.000 ducati per sottrarsi alla condanna a morte ma questi rifiutò adducendo di averle accumulate nel tempo per garantire un futuro ai figli. Dopo essere stato torturato, il 29 ottobre il Simonetta fu processato, dichiarato colpevole e il giorno successivo decapitato presso il rivellino del castello di Pavia prospiciente il Parco Visconteo. Fu poi onorevolmente tumulato nel chiostro della chiesa di Sant'Apollinare, andata distrutta nel 1525 durante la [[battaglia di Pavia (1525)|battaglia di Pavia]]. Il fratello [[Giovanni Simonetta|Giovanni]] fu trasferito in una cella a [[Vercelli]]. La morte del Simonetta tolse di mezzo il principale avversario di [[Antonio Tassino]] che divenne sempre più arrogante. Il Corio racconta che quando il Moro o altri nobili milanesi andavano a fargli visita era solito farli aspettare a lungo fuori dalla porta finché non aveva finito di pettinarsi. Il Tassino riuscì a convincere Bona, ormai succube dell'uomo, a sostituire [[Filippo Eustachi]], prefetto del [[castello sforzesco|castello di Porta Giovia]] con suo padre Gabriello ricorrendo all'intermediazione di Giovanni Botta. Il prefetto non si fece corrompere e mantenne il giuramento fatto al defunto duca [[Galeazzo Maria Sforza]] di mantenere il castello fino al raggiungimento dell'età di 24 anni da parte del figlio [[Gian Galeazzo Maria Sforza|Gian Galeazzo Maria]]. Il Tassino fu fatto arrestare dal Moro per mano di [[Ermes Sforza]] ed esiliato a [[Venezia]] in cambio di una grossa somma di denaro. Quando Bona di Savoia fu informata dell'esilio del favorito andò su tutte le furie e cercò di fuggire in [[Francia]] ma il Moro la costrinse ad una prigionia dorata nel [[Castello Visconteo (Abbiategrasso)|castello di Abbiategrasso]]. Il 3 novembre [[1480]] Ludovico il Moro fu nominato reggente del ducato nonché tutore del giovane duca Gian Galeazzo Maria dai giuristi Francesco Bolla e Candido Porro.<ref>B. Corio, ''Storia di Milano'', Milano, 1856, vol III, pp. 351-355</ref>
Nel settembre del 1480 Ludovico aveva avviato una trattativa con [[Ercole d'Este]] per ottenere la mano della figlia primogenita [[Isabella d'Este|Isabella]]. Il fidanzamento non fu possibile perché pochi mesi prima il padre l'aveva già promessa in sposa, all'età di soli cinque anni, a [[Francesco II Gonzaga|Francesco Gonzaga]], marchese di Mantova. Al Moro fu dunque proposta Beatrice ed egli non esitò ad accettarla.
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=== Alleanze e matrimoni ===
Temendo soprattutto la potenza della confinante [[Venezia]], il Moro mantenne alleanze proficue con la [[Firenze]] di [[Lorenzo il Magnifico]], con [[Ferdinando I di Napoli|Ferdinando I]] [[Regno di Napoli|re di Napoli]] e con
Il 24 novembre 1488 il Moro inviò [[Ermes Sforza]] accompagnato da un gran seguito di nobili milanesi a Napoli per prelevare [[Isabella d'Aragona]] in vista del suo matrimonio con il nipote [[Gian Galeazzo Maria Sforza]], duca di Milano. Isabella giunse via nave a Genova il 17 gennaio 1489 dove restò per una settimana, poi partì alla volta di [[Vigevano]], fece tappa ad [[Abbiategrasso]] dove si ricongiunse con la quindi percorse il [[Naviglio Grande]] su di una galea giungendo a Milano il 1º febbraio. La coppia si sposò il giorno successivo nel [[Duomo di Milano]].
Il 31 dicembre 1489 [[Galeazzo Sanseverino]] si sposò con [[Bianca Giovanna Sforza]], figlia naturale e prediletta del Moro avuta dall'amante [[Bernardina de' Corradis]].
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