Don Ferrante (personaggio): differenze tra le versioni

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Manzoni lo ritrae con i tipici caratteri dell'erudito secentesco, immerso nello studio morboso di qualsiasi disciplina, dalla [[storia]] alla [[scienza]], alla [[medicina]], alla [[filosofia]]. Tuttavia, vengono ironicamente sottolineati la sua profonda passione per studiosi oggi dimenticati e i pungenti giudizi verso quelli che oggi sono considerati i grandi capostipiti della filosofia; nella descrizione della sua grande biblioteca, appare più volte il nome del Cardano, e il nobiluomo considera [[Aristotele]] semplicemente "il filosofo" e il Machiavelli un "mariolo".
 
È l'eroe e il martire della dottrina inutile e della logica formale; è l'uomo della biblioteca vissuto nel secolo delle biblioteche e delle accademie; e ha la dottrina grossa dell'età sua. Non ragiona, ma ritiene a memoria, è un paralitico della volontà e dell'intelligenza. Comico per la serietà con cui parla di corbellerie, è però rispettabile ed onesto per la sua fede nel sapere. Lo studio è, per lui, il riempitivo dell'ozio, la necessità di fare o di apparire qualche cosa semplicemente.<ref>[[Eugenio Donadoni]], ''Dizionario letterario Bompiani'', VIII, pp. 253-254.</ref>.
 
Le sue principali passioni sono comunque l'[[astrologia]] e la [[cavalleria]]; per ciò che riguarda la prima disciplina, possiede soltanto nozioni generiche ma ne sa parlare a proposito: infatti, pensa che tutti gli eventi sul mondo terreno siano causati dall'influenza degli [[Astro (astronomia)|astri]] e, quando si scatena il contagio della [[peste]], non vi crede, formulando strane antitesi astrologiche e soprattutto filosofiche. Alla fine, però, morirà proprio per questa causa, maledicendo le stelle "come un eroe di [[Pietro Metastasio|Metastasio]]".