Francesca Serio: differenze tra le versioni

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=== La lotta contro la mafia ===
[[File:Sandro pertini con la lapide di salvatore carnevale.jpg|miniatura|sinistra|[[Sandro Pertini]] a [[Sciara]] nel [[1955]] in occasione dell'erezione della lapide in memoria di [[Salvatore Carnevale]] otto giorni dopo i funerali del [[sindacalista]] [[Partito Socialista Italiano|socialista]] assassinato dalla [[mafia]].]]
Dopo la morte del figlio, Francesca ne raccolse l'[[eredità]], accusò i [[mafia|mafiosi]] di [[Cosa Nostra]] e denunciò la complicità delle forze dell'ordine e della [[magistratura (diritto)|magistratura]]. Francesca accusò della morte del figlio la mafia di Sciara capeggiata dall'amministratore del feudo della principessa [[Notarbartolo]] Giorgio Panzeca, dal soprastante Luigi Tradibuono, dal magazziniere Antonino Manigafridda e dal [[campiere]] Giovanni di Bella, che ella denunciò in un [[esposto]] alle autorità inquirenti. Ad accompagnare Francesca a presentare la denuncia fu [[Sandro Pertini]], che diverrà in seguito [[Presidente della Repubblica Italiana|presidente della Repubblica]]. I quattro furono fermati e tradotti in carcere poiché gli [[alibi]] non ressero alle verifiche e un testimone si lasciò scappare di aver visto Tardibuono sul luogo del delitto. Il processo di primo grado si svolse a [[S. Maria Capua Vetere]], iniziò il 18 marzo 1960 e si concluse il 21 dicembre 1961 con la condanna all'[[ergastolo]] di tutti e quattro gli [[imputati]]. Francesca si dichiarò soddisfatta poiché giustizia era stata fatta non solo per il figlio ma per tutti i caduti sotto i colpi della mafia. Ma al processo d'[[Appello (ordinamento penale italiano)|Appello]], svoltosi a [[Napoli]] dal 21 febbraio al 14 marzo 1963, e in quello di [[Corte di cassazione|Cassazione]], la sentenza fu ribaltata, assolvendo tutti gli imputati per insufficienza di prove. Francesca dichiarò che quella sentenza uccise il figlio una seconda volta.
Dopo la morte del figlio, Francesca ne raccolse l'[[eredità]], accusò i [[mafia|mafiosi]] di [[Cosa Nostra]] e denunciò la complicità delle forze dell'ordine e della [[magistratura (diritto)|magistratura]].
 
Francesca accusò della morte del figlio la mafia di Sciara capeggiata dall'amministratore del feudo della principessa [[Notarbartolo]] Giorgio Panzeca, dal soprastante Luigi Tradibuono, dal magazziniere Antonino Manigafridda e dal [[campiere]] Giovanni di Bella.
La madre di Salvatore fu la prima donna, nella Sicilia degli anni '50, con il supporto del PSI nazionale e di una grande campagna di stampa del quotidiano socialista ''[[Avanti!]]'', a rompere l'omertà mafiosa, denunciando in un [[esposto]] formale alle autorità inquirenti, i nomi e cognomi delle persone che ella sospettava autori o complici dell'omicidio del figlio, citando le precise circostanze dei fatti in cui ciascuno degli accusati aveva profferito minacce o avuto comportamenti intimidatori o violenti.
Ad accompagnare Francesca a presentare la denuncia furono gli avvocati [[Partito Socialista Italiano|socialisti]] Nino Taormina e Nino Sorgi (che molte volte difese il quotidiano ''[[L'Ora]]'' da querele di politici collusi con la [[mafia]]), assiema all'avvocato ed allora deputato [[Sandro Pertini]], che diverrà in seguito [[Presidente della Repubblica Italiana|Presidente della Repubblica]].
Le indagini sull'omicidio e sui quattro nominativi denuciati dalla madre di Carnevale furono svolte dal [[procuratore della Repubblica]] di [[Palermo]] [[Pietro Scaglione]], poi caduto anch'egli vittima della mafia: i quattro accusati furono fermati e tradotti in carcere poiché gli [[alibi]] non ressero alle verifiche e un testimone si lasciò scappare di aver visto Tardibuono sul luogo del delitto.
Sulla base di queste indagini, si aprì un lungo iter giudiziario tra assoluzioni e condanne in vari tribunali italiani, in quanto i difensori degli [[imputati]], asserendo il grande clamore mediatico esistente sul caso a Palermo, sede naturale del processo, ottennero che lo stesso venisse trasferito, per ''legitima suspicione'', alla [[Corte d'Assise]] presso il Tribunale di [[Santa Maria Capua Vetere]]. Qui il processo di primo grado iniziò il 18 marzo 1960 e si concluse il 21 dicembre 1961 con la condanna all'[[ergastolo]] di tutti e quattro gli imputati, accogliendo la ricostruzione del delitto fatta da Scaglione, Pertini, Sorgi e Taormina.<ref>{{Cita web|url=http://www.vittimemafia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=213:16-maggio-1955-a-sciara-pa-assassinio-del-sindacalista-salvatore-carnevale&catid=35:scheda&Itemid=67|titolo=16 Maggio 1955 a Sciara (PA) Assassinio del sindacalista Salvatore Carnevale|cognome=Rosanna|sito=www.vittimemafia.it|accesso=14 maggio 2016}}</ref>
Al collegio di parte civile si contrappose un altro futuro [[Presidente della Repubblica Italiana|presidente della Repubblica]], il democristiano [[Giovanni Leone]], difensore degli imputati.
 
Francesca, che si era costituita parte civile con i suoi avvocati Pertini, Sorgi e Taormina ed aveva assistito a tutte le udienze del processo come muta accusatrice degli assassini del figlio, si dichiarò soddisfatta della sentenza, poiché giustizia era stata fatta non solo per il figlio ma per tutti i caduti sotto i colpi della mafia. Ma al processo d'[[Appello (ordinamento penale italiano)|Appello]], svoltosi a [[Napoli]] dal 21 febbraio al 14 marzo 1963, e in quello di [[Corte di cassazione|Cassazione]], la sentenza fu ribaltata, assolvendo tutti gli imputati per insufficienza di prove.
Francesca dichiarò che quella sentenza uccise il figlio una seconda volta.<ref>Lo Bianco Giuseppe, Viviano Francesco, ''La strage degli eroi. Vita e storia dei caduti nella lotta contro la mafia'', Arbor, [[1996]], ISBN 88-86325-24-X</ref>
 
La madre di Salvatore per anni è stata un'icona antimafia, che aveva accusato i mafiosi di Sciara come responsabili dell'omicidio del figlio e aveva partecipato ai processi. Raccolse il lascito politico del figlio, militando nel [[Partito Socialista Italiano|PSI]]<ref>[http://www.avantidelladomenica.it/Portals/_Rainbow/images/default/Avanti_pdf_2012/Avanti_34_2012.pdf Il “Cristo socialista” venuto dai Nebrodi, di Antonio Matasso da “Avanti! della Domenica”, 30 settembre 2012]</ref>.
 
La sua figura tragica ispirò lo scrittore-pittore [[Carlo Levi]], che la intervistò nel suo libro ''Le parole sono pietre'' (vincitore nel [[1956]] del [[Premio Viareggio]] per la Narrativa, ex aequo con ''La sparviera'' di [[Gianna Manzini]]), in cui descrisse il dolore straziante della madre di Carnevale e la sua determinazione a continuare la lotta del figlio:
 
{{Citazione|''E’ una donna di cinquant’anni, ancora giovanile nel corpo snello e nell’aspetto, ancora bella nei neri occhi acuti, nel bianco-bruno colore della pelle, nei neri capelli, nelle bianche labbra sottili, nei denti minuti e taglienti, nelle lunghe mani espressive e parlanti; di una bellezza dura, asciugata, violenta, opaca come una pietra, spietata, apparentemente disumana... Niente altro esiste di lei e per lei se non questo processo che essa istruisce e svolge da sola, seduta nella sua sedia di fianco al letto; il processo del feudo, della condizione servile contadina, il processo della mafia e dello Stato. Così questa donna si è fatta in un giorno: le lacrime non sono più lacrime ma parole, '''e le parole sono pietre'''…}}
 
Con lo scorrere del tempo e con il mutare del quadro sociale e politico, per Francesca cominciarono gli anni dell'[[oblio]] e della solitudine. Morì il 16 luglio [[1992]] all'età di 89 anni.