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=== La lotta contro la mafia ===
[[File:Sandro pertini con la lapide di salvatore carnevale.jpg|miniatura|sinistra|[[Sandro Pertini]] a [[Sciara]] nel [[1955]] in occasione dell'erezione della lapide in memoria di [[Salvatore Carnevale]] otto giorni dopo i funerali del [[sindacalista]] [[Partito Socialista Italiano|socialista]] assassinato dalla [[mafia]].]]
Dopo la morte del figlio, Francesca ne raccolse l'[[eredità]], accusò i [[mafia|mafiosi]] di [[Cosa Nostra]] e denunciò la complicità delle forze dell'ordine e della [[magistratura (diritto)|magistratura]].
Francesca accusò della morte del figlio la mafia di Sciara capeggiata dall'amministratore del feudo della principessa [[Notarbartolo]] Giorgio Panzeca, dal soprastante Luigi Tradibuono, dal magazziniere Antonino Manigafridda e dal [[campiere]] Giovanni di Bella.
La madre di Salvatore fu la prima donna, nella Sicilia degli anni '50, con il supporto del PSI nazionale e di una grande campagna di stampa del quotidiano socialista ''[[Avanti!]]'', a rompere l'omertà mafiosa, denunciando in un [[esposto]] formale alle autorità inquirenti, i nomi e cognomi delle persone che ella sospettava autori o complici dell'omicidio del figlio, citando le precise circostanze dei fatti in cui ciascuno degli accusati aveva profferito minacce o avuto comportamenti intimidatori o violenti.
Ad accompagnare Francesca a presentare la denuncia furono gli avvocati [[Partito Socialista Italiano|socialisti]] Nino Taormina e Nino Sorgi (che molte volte difese il quotidiano ''[[L'Ora]]'' da querele di politici collusi con la [[mafia]]), assiema all'avvocato ed allora deputato [[Sandro Pertini]], che diverrà in seguito [[Presidente della Repubblica Italiana|Presidente della Repubblica]].
Le indagini sull'omicidio e sui quattro nominativi denuciati dalla madre di Carnevale furono svolte dal [[procuratore della Repubblica]] di [[Palermo]] [[Pietro Scaglione]], poi caduto anch'egli vittima della mafia: i quattro accusati furono fermati e tradotti in carcere poiché gli [[alibi]] non ressero alle verifiche e un testimone si lasciò scappare di aver visto Tardibuono sul luogo del delitto.
Sulla base di queste indagini, si aprì un lungo iter giudiziario tra assoluzioni e condanne in vari tribunali italiani, in quanto i difensori degli [[imputati]], asserendo il grande clamore mediatico esistente sul caso a Palermo, sede naturale del processo, ottennero che lo stesso venisse trasferito, per ''legitima suspicione'', alla [[Corte d'Assise]] presso il Tribunale di [[Santa Maria Capua Vetere]]. Qui il processo di primo grado iniziò il 18 marzo 1960 e si concluse il 21 dicembre 1961 con la condanna all'[[ergastolo]] di tutti e quattro gli imputati, accogliendo la ricostruzione del delitto fatta da Scaglione, Pertini, Sorgi e Taormina.<ref>{{Cita web|url=http://www.vittimemafia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=213:16-maggio-1955-a-sciara-pa-assassinio-del-sindacalista-salvatore-carnevale&catid=35:scheda&Itemid=67|titolo=16 Maggio 1955 a Sciara (PA) Assassinio del sindacalista Salvatore Carnevale|cognome=Rosanna|sito=www.vittimemafia.it|accesso=14 maggio 2016}}</ref>
Al collegio di parte civile si contrappose un altro futuro [[Presidente della Repubblica Italiana|presidente della Repubblica]], il democristiano [[Giovanni Leone]], difensore degli imputati.
Francesca, che si era costituita parte civile con i suoi avvocati Pertini, Sorgi e Taormina ed aveva assistito a tutte le udienze del processo come muta accusatrice degli assassini del figlio, si dichiarò soddisfatta della sentenza, poiché giustizia era stata fatta non solo per il figlio ma per tutti i caduti sotto i colpi della mafia. Ma al processo d'[[Appello (ordinamento penale italiano)|Appello]], svoltosi a [[Napoli]] dal 21 febbraio al 14 marzo 1963, e in quello di [[Corte di cassazione|Cassazione]], la sentenza fu ribaltata, assolvendo tutti gli imputati per insufficienza di prove.
Francesca dichiarò che quella sentenza uccise il figlio una seconda volta.<ref>Lo Bianco Giuseppe, Viviano Francesco, ''La strage degli eroi. Vita e storia dei caduti nella lotta contro la mafia'', Arbor, [[1996]], ISBN 88-86325-24-X</ref>
La madre di Salvatore per anni è stata un'icona antimafia, che aveva accusato i mafiosi di Sciara come responsabili dell'omicidio del figlio e aveva partecipato ai processi. Raccolse il lascito politico del figlio, militando nel [[Partito Socialista Italiano|PSI]]<ref>[http://www.avantidelladomenica.it/Portals/_Rainbow/images/default/Avanti_pdf_2012/Avanti_34_2012.pdf Il “Cristo socialista” venuto dai Nebrodi, di Antonio Matasso da “Avanti! della Domenica”, 30 settembre 2012]</ref>.
La sua figura tragica ispirò lo scrittore-pittore [[Carlo Levi]], che la intervistò nel suo libro ''Le parole sono pietre'' (vincitore nel [[1956]] del [[Premio Viareggio]] per la Narrativa, ex aequo con ''La sparviera'' di [[Gianna Manzini]]), in cui descrisse il dolore straziante della madre di Carnevale e la sua determinazione a continuare la lotta del figlio:
{{Citazione|''E’ una donna di cinquant’anni, ancora giovanile nel corpo snello e nell’aspetto, ancora bella nei neri occhi acuti, nel bianco-bruno colore della pelle, nei neri capelli, nelle bianche labbra sottili, nei denti minuti e taglienti, nelle lunghe mani espressive e parlanti; di una bellezza dura, asciugata, violenta, opaca come una pietra, spietata, apparentemente disumana... Niente altro esiste di lei e per lei se non questo processo che essa istruisce e svolge da sola, seduta nella sua sedia di fianco al letto; il processo del feudo, della condizione servile contadina, il processo della mafia e dello Stato. Così questa donna si è fatta in un giorno: le lacrime non sono più lacrime ma parole, '''e le parole sono pietre'''…}}
Con lo scorrere del tempo e con il mutare del quadro sociale e politico, per Francesca cominciarono gli anni dell'[[oblio]] e della solitudine. Morì il 16 luglio [[1992]] all'età di 89 anni.
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