Silvio Pasi: differenze tra le versioni

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=== Il dopoguerra ===
Attivo membro del [[Partito Comunista Italiano|PCI]], nell'immediato dopoguerra divenne dirigente della Camera del Lavoro di [[Faenza]]. Nel [[1948]] Silvio Pasi fu accusato assieme ad altri 12 ex partigiani delle uccisioni avvenute nella tenuta della famiglia [[Eccidio dei conti Manzoni|Manzoni-Ansidei]] in località "La Frascata" a [[Lugo (Italia)|Lugo]] nella notte tra il 7 e 8 luglio [[1945]], in cui trovarono la morte la contessa Beatrice ed i suoi figli Luigi, Reginaldo e Giacomo, - noti possidenti locali già legati a vario titolo al regime fascista<ref>M. Dondi, ''La lunga liberazione. Giustizia e violenza nel dopoguerra italiano'', Editori Riuniti, Milano, 2008, p. 156.</ref> - oltre alla domestica Francesca Anconelli ed al loro cane, inizialmente dati per scomparsi, i cui corpi vennero seppelliti in aperta campagna e ritrovati tre anni dopo. L'accusa era di omicidio a scopo di rapina<ref>Lo scopo di rapina faceva decadere i diritti di cui all'[[Amnistia Togliatti]] e successivi provvedimenti legislativi di condono per fatti legati alla guerra.</ref>.
 
Pasi sostenne sempre «nel modo più assoluto» la sua innocenza. Durante il primo interrogatorio affermò: «Ritengo la soppressione, se tale è stata, della famiglia Manzoni un atto non compatibile allora con quella che doveva essere la azione di chiunque che per motivi politici volesse procedere nei confronti di chiunque, poiché la magistratura aveva lei sola la competenza di giudicare»<ref>[[Processo verbale]] d'interrogatorio di Pasi Silvio del 2 agosto 1948, cit. in G. Stella, ''L'eccidio dei conti Manzoni di Lugo di Romagna'', Grafiche Nanni, Rimini, 1991, p. 152.</ref>. Nel [[1951]] il processo si tenne in prima istanza presso la [[Corte d'Assise]] di [[Macerata]] - anziché nella naturale sede di Ravenna, invocando da parte dell'accusa la [[legittimo sospetto|legittima suspicione]] - per essere infine trasferito ad [[Ancona]].