Papa Gregorio VII: differenze tra le versioni
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[[File:Leon_IX.jpg|miniatura|sinistra|verticale|[[Papa Leone IX]]]]
Fu proprio in seguito
Poco dopo l'elezione, Ildebrando venne nominato [[suddiacono]] ricevendo l'incarico di amministrare le finanze della Santa Sede, in quel momento cadute in una situazione disastrosa.<ref name=Balard176>{{cita|Balard, Genet e Rouche, 2003|p. 176}}.</ref> Ildebrando esercitò un notevole influsso sul Papa, tanto che gli storici hanno spesso sottolineato di come gli atti più importanti del pontificato di Leone IX furono compiuti a seguito del suo parere.<ref name=Rapp/> L'influenza di Ildebrando non terminò con la morte di Leone ma egli poté continuare ad essere un autorevole consigliere anche dei successori che si susseguirono. Ildebrando fu dunque uno dei protagonisti di quella che in seguito sarebbe stata chiamata la "[[riforma gregoriana]]" (o, più correttamente, "riforma del XI secolo"), venticinque anni prima che diventasse egli stesso papa. Grazie anche a lui gli organi di governo pontificio vengono riorganizzati sul modello imperiale e ai cardinali vennero affidati numerosi ed importanti incarichi; inoltre, il [[collegio cardinalizio]], una volta riservato esclusivamente agli appartenenti alle famiglie nobiliari romane, venne aperto anche agli "stranieri" a dimostrazione del carattere universale della Chiesa e del fatto che tali nomina non sarebbero più state oggetto di compravendite.<ref name=Rapp>{{fr}} Francis Rapp, ''Léon IX, un grand pape''.</ref>
Nel 1054 Ildebrando venne inviato come [[legato papale]] in Francia per indagare sull'[[eresia]] di [[Berengario di Tours]] il quale affermava che vi fosse solamente una presenza spirituale di [[Cristo]] nell'[[Eucarestia]]. Berengario venne deferito al [[Concilio di Tours (1055)|Concilio di Tours]] del 1055, presieduto dallo stesso Ildebrando, in occasione del quale decise di compiere una [[professione di fede]] dove riconobbe la [[transustanziazione]] del pane e del vino nel corpo e il sangue di Cristo.<ref>{{cita|Chélin, 1991|pp. 253-254}}.</ref>
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Leone IX morì nel 1054 e una delegazione romana a cui appartenne anche Ildebrando si recò alla corte imperiale tedesca per condurre i negoziati per la successione riuscendo, stante il ''[[Privilegium Othonis]]'', a convincere [[Enrico III del Sacro Romano Impero]] a scegliere Gebhard dei Conti di Calw, poi conosciuto come [[papa Vittore II]] come successore. In questo modo il partito riformatore rimase quindi al potere nella Santa Sede, sebbene il Papa continuasse ad essere nominato dall'imperatore. A seguito della morte di Enrico, venne eletto imperatore il giovane figlio di 6 anni con il nome di [[Enrico IV di Franconia]] imponendo, tuttavia la reggenza di [[Agnese di Poitou]] vedova del defunto.<ref>{{cita|Rapp, 2000|p. 134}}.</ref> Nonostante che quest'ultima fosse vicina al movimento cluniacense, la sua debolezza causò delle difficoltà alla causa riformista dovendo ella subire l'influenza dei nobili che la costrinsero a nominare come prelati persone da loro indicate.
Morto Vittore II, nel 1057 venne eletto papa [[Papa Stefano IX|Federico dei duchi di Lorena]] (Stefano IX) senza previa consultazione della corte imperiale tedesca, Ildebrando e il [[Arcidiocesi di Lucca|vescovo di Lucca]] [[Papa Alessandro II|Anselmo
[[File:155-Nicholas II.jpg|miniatura|sinistra|verticale|[[Papa Niccolò II]], sotto di lui venne promulgata la [[bolla pontificia|bolla]] ''[[In nomine Domini]]'' con cui si stabilì che l'elezione del papa fosse esclusiva del [[collegio cardinalizio]]]]
Tra i primi atti del nuovo papa fece promulgare la [[bolla pontificia]] ''[[In nomine Domini]]'' che trasferiva l'elezione del Papa al [[Collegio dei cardinali]], sottraendola quindi ai nobili e al popolo di Roma e diminuendo l'influenza tedesca sull'elezione.<ref name="milza209"/><ref name="temps">{{fr}} ''L'histoire du Christianisme. XI: la réforme grégorienne'', [http://www.letemps.ch/dossiers/christianisme/historique/siecles/siecle11.htm le Temps].</ref> In questo modo, anche se veniva mantenuto il diritto di conferma da parte dell'Imperatore, il papato non poteva essere più considerato un suo vassallo ma un'istituzione indipendente. Gli storici ipotizzano che l'effettivo autore di tale decreto fosse stato lo stesso Ildebrando.<ref>{{cita|Congar, 1997|p. 98}}.</ref> Sempre in questo periodo Ildebrando fu nominato [[abate]] di [[Abbazia di San Paolo fuori le mura|San Paolo fuori le mura]], titolo che manterrà anche dopo l'elezione al pontificato.<ref>{{cita|Blumenthal, 1990|p. 163}}.</ref> Gli storici concordano sulla forte personalità che mise in luce Ildebrando, descritto come uno per cui "non esistevano sfumature, ma solo degli ''aut-aut'', bianco o nero, e il suo carattere brusco gli procurò pochi amici" ma senza dimenticare il suo fervore e passione verso la religione e la sua piena adesione alla riforma a cui dedicò la sua vita.<ref>{{cita|Blumenthal, 1990|p. 164}}.</ref> Le sue capacità di influenzare l'ambiente circostante furono ben riconosciute anche dai suoi contemporanei, il [[teologo]] [[Pier Damiani]] lo descrisse come "un ferro senza valore, però, come un magnete, in grado di trascinare dietro di sé tutto ciò che incontra" o, ancora come "una tigre che si appresta a spiccare un salto, o ad un rigido vento del nord".<ref>{{cita|Blumenthal, 1990|pp. 164-165}}.</ref>
Quando Niccolò II morì e gli successe [[Papa Alessandro II|Alessandro II]] (1061-1073), Ildebrando apparve sempre più come l'anima della politica della Curia agli occhi dei suoi contemporanei. Le condizioni politiche generali, specialmente in Germania, erano all'epoca molto favorevoli alla [[Curia Romana|Curia]], ma utilizzarle con la saggezza che il pontefice dimostrò fu nondimeno un grande successo, e la posizione di Alessandro alla fine del pontificato fu una brillante giustificazione dell'impostazione Ildebrandina.<ref>{{cita|Rapp, 2011|p. 131}}.</ref>
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|titolo=Il sacrilego attentato alla persona di<br />papa Gregorio VII<br />in Roma nell'anno 1075
|contenuto=
«Ne fu autore il romano Cencio, padrone di una torre sul [[Tevere]] dinanzi a [[Castel Sant'Angelo]] e antico fautore dell'antipapa [[Cadalo]]<ref group=N>Fu eletto [[antipapa]] col nome di [[Antipapa Onorio II|Onorio II]] con l'appoggio dell'imperatore.</ref>. Uomo violento e senza scrupoli, Cencio era uno di quei ''capitanei''<ref group=N>Titolo feudale spettante ai signori proprietari di castelli nell'[[Agro romano]].</ref> della Campagna romana che per le sue malefatte era stato condannato a morte da papa Gregorio VII ma sfuggito alla pena per intercessione della contessa [[Matilde di Canossa]] non poté comunque evitare che la sua torre sul Tevere venisse abbattuta per ordine del papa. Cencio colse l'occasione per vendicarsi nella notte di Natale del 1075. Papa Gregorio aveva celebrato messa nella chiesa ''ad nivem'', l'odierna [[Basilica di Santa Maria Maggiore|Santa Maria Maggiore]], e mentre stava distribuendo la comunione, Cencio con i suoi sgherri armati si slanciò contro il papa e, spogliatolo dei sacri paramenti, lo caricò di peso su un cavallo e fuggì nella notte. Ma il popolo romano che amava il suo pontefice si mobilitò all'istante. Si chiusero subito tutte le porte della città affinché il rapitore non potesse rifugiarsi in qualche suo castello nella Campagna romana. Mentre il popolo si riuniva sul [[Campidoglio]] per decidere il da farsi, si sparse la voce che il papa era prigioniero in una torre vicino al [[Pantheon (Roma)|Pantheon]]. Lì accorse il popolo tumultuante circondando la fortezza. Cencio, che invano con minacce di morte aveva tentato di farsi donare dal papa una somma di denaro, si vide perso e in ginocchio chiese perdono del suo delitto. Il papa con grande magnanimità placò il popolo, coprì con la sua stessa persona il criminale salvandolo dalla furia della folla. Ancora sanguinante per le percosse, il papa poi tornò nella basilica e riprese serenamente il rito interrotto».<hr>Sintesi da [[Raffaello Morghen (storico)|Raffaello Morghen]], ''Gregorio VII'', Torino, 1942.<ref>{{cita|Cantarella, 2005|pp. 150-151}}.</ref>
}}
Il giorno successivo alla morte di [[Papa Alessandro II|Alessandro II]], avvenuta il 21 aprile 1073, mentre aveva luogo il funerale del pontefice nella [[Basilica di San Giovanni in Laterano]], si alzò un grido dal clero e dal popolo: «Ildebrando vescovo!». Più tardi, lo stesso giorno, Ildebrando viene portato a [[Basilica di San Pietro in Vincoli|San Pietro in Vincoli]] e legalmente eletto
Ildebrando accettò la nomina con riluttanza in quanto ben conosceva le pesanti responsabilità e aveva già sessant'anni. Nel 1075 scrisse all'amico [[Ugo di Cluny]]: "Tu sei il mio testimone, beato Pietro, questo nonostante me la tua santa Chiesa mi abbia messo al timone".<ref>Lettera a Ugo di Cluny del 22 gennaio 1075.</ref> Questa elezione spaventò i vescovi che ne temettero la gravità in quanto non era stato dato il consenso imperiale e i vescovi francesi, ben consci del suo zelo riformatore da quando si presentò a loro come legato, tentarono di convincere l'imperatore Enrico IV a non riconoscerlo. Tuttavia Ildebrando si rivelò prudente cercando e ottenendo la conferma imperiale prima di prendere possesso della sede apostolica. Così salì al soglio pontificio con il nome di Gregorio VII.
Inizialmente, in virtù della cosiddetta [[donazione di Costantino]], ritenne che la [[Corsica]], la [[Sardegna]] e persino la [[Spagna]] dovessero far parte della Santa Sede arrivando a sostenere che anche la [[Sassonia]] dovesse appartenergli in quanto donata da [[Carlo Magno]] mentre l'[[Ungheria]] dal re [[Stefano]]. Queste affermazioni vennero accolte alquanto malamente e conscio di un rifiuto generale e della possibilità di attirarsi ben troppo nemici, Ildebrando scelse di
== Il pontificato ==
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Tra le sue prime iniziative, Gregorio VII, lottò contro il [[nicolaismo]], ovvero la frequente pratica del clero, in particolare i preti, di sposarsi o di praticare il [[concubinato]]. Per Ildebrando, che era anzitutto un monaco, il [[celibato ecclesiastico]] era indissolubilmente parte dell'ideale sacerdotale e lo riteneva essenziale anche affinché gli appartenenti al clero si occupassero unicamente della chiesa, senza avere una famiglia che li distraesse dalla loro funzione e che fossero indipendenti dai legami sociali ; successivamente si pose anche l'accento sul fatto che il celibato scongiurasse la possibilità che i preti tramandassero per via ereditaria i beni appartenenti alla Chiesa.<ref name="fargues">Paul Fargues, ''Histoire du Christianisme - Tome III - De Charlemagne à la Renaissance'', ''De Grégoire VII au Concordat de Worms'', Fischbacher 1934: [http://www.regard.eu.org/Livres.6/Histoire.du.christianisme/Tome.3/07.html regard].</ref> Pertanto, in occasione del Concilio di Quaresima del 1074 si decise di escludere i sacerdoti che risultavano sposati o conviventi.<ref name="temps">''L'histoire du Christianisme. XI: la réforme grégorienne'', [http://www.letemps.ch/dossiers/christianisme/historique/siecles/siecle11.htm le Temps].</ref>.
Tali disposizione ricevettero contestazioni da parte di molti preti tedeschi e i vescovi imbarazzati, soprattutto in Germania, non mostrarono alcuna tempestività a mettere in pratica le decisioni conciliari. Pertanto, il papa, dubitando del loro zelo, ordinò ai duchi di [[Svevia]] e [[Carinzia]] di impedire con la forza ai sacerdoti ribelli di officiare. Fu poi rimproverato dai vescovi Teodorico di Verdun ed Enrico di Spira di aver indebolito con tale decisione l'autorità episcopale davanti al potere secolare. In un primo momento, l'imperatore Enrico IV, già occupato a fronteggiare la rivolta dei suoi grandi feudatari, cercò di placare il conflitto proponendosi di fare il conciliatore tra i legati pontifici e i vescovi tedeschi.<ref>{{cita|Mayeur et al., 1995|p. 70}}.</ref> Gregorio VII tuttavia colse
A proposito della sua lotta contro i vescovi immorali, Gregorio rivolse a [[Lanfranco di Canterbury]], queste parole:
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Lo scontro personale tra Gregorio ed Enrico IV impedì al pontefice di dare corso al decreto. La sua applicazione fu abbandonata dai suoi successori. Il decreto contro le investiture fu definitivamente superato dal [[Concordato di Worms]] (1122).
La battaglia di Gregorio VII per la fondazione della supremazia papale fu strettamente connessa al suo forte appoggio all'obbligatorietà del [[celibato ecclesiastico]] e al suo attacco contro la [[simonia]]. Gregorio VII non modificò le norme canoniche sul celibato dei chierici, ma agì con maggiore energia e ottenne migliori risultati dei suoi predecessori. Nel 1073 introdusse nel [[diritto canonico]] la pena dell'[[interdetto]] (peraltro già inflitto per la prima volta nel [[VI secolo]] alla città di [[Rouen
=== Lotta per le investiture ===
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Nei rapporti con i sovrani e i grandi feudatari, Gregorio VII intese tutelare l'indipendenza della Chiesa dal potere laico e per perseguire questo obiettivo intraprese trattative sostenute anche da alcuni vescovi dell'Impero. L'obiettivo di Gregorio fu quello di "imporre alla chiesa un modello organizzativo di stampo monarchico e sulla desacralizzazione della carica imperiale".<ref name=Montanari-140>{{cita|Montanari, 2006|p. 140}}.</ref> Quanto alle relazioni con il [[Sacro romano impero]], dopo la morte di Enrico III (1056), la monarchia tedesca si era seriamente indebolita, e il figlio Enrico IV aveva dovuto affrontare grandi difficoltà interne, tra cui la [[ribellione dei Sassoni]]. Questa situazione inizialmente favorì il Papa. Il suo vantaggio fu ulteriormente accentuato dalla differenza di età: Enrico IV, nato nel 1050, aveva 20-25 anni in meno del pontefice.<ref>{{Treccani|/enrico-iv-imperatore/|Enrico IV imperatore}}</ref>
Gregorio decise di regolare subito una questione di diritto canonico con re Enrico prima di procedere alla sua incoronazione a imperatore: cinque dei suoi consiglieri erano scomunicati, ma continuavano ad essere presenti alla sua corte. Il primo atto di Enrico fu sciogliere i rapporti con essi. Nel maggio 1074 (dopo la [[Pasqua]]), per espiare la colpa della precedente amicizia con tali membri, fece atto di penitenza a [[Norimberga]] alla presenza dei [[legato pontificio|legati papali]].<ref name="ReferenceA"/> Inoltre prestò un giuramento di obbedienza al papa e promise di appoggiare l'opera di riforma della Chiesa. Questo atteggiamento, che all'inizio gli fece ottenere la fiducia del Papa, venne abbandonato non appena riuscì a sconfiggere i sassoni con la vittoria nella [[Battaglia di Langensalza (1075)|battaglia Langensalza]] combattuta il 9 giugno 1075.<ref>{{cita|Cantarella, 2005|p. 144}}.</ref> Enrico infatti cercò subito di riaffermare il suo potere come re dei Romani nonché re d'Italia (egli rivestiva entrambe le cariche). Nel settembre dello stesso anno, a seguito dell'omicidio di [[Erlembaldo Cotta]], investì (contrariamente agli impegni presi) il chierico [[Tedaldo (arcivescovo di Milano)|Tedaldo]], [[
In dicembre
{{quote|Il vescovo Gregorio, servo dei servi di Dio, al re Enrico, manda il saluto la benedizione apostolica, a patto tuttavia che obbedisca, come si conviene a un re cristiano, alla Sede Apostolica.<ref>{{cita|Stiegemann e Wemhoff, 2006|p. 72}}.</ref><ref>{{cita|Cantarella, 2005|p. 148}}.</ref>}}
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{{Vedi anche|Sinodo di Worms}}
[[File:Gregory VII saying Mass.JPG|miniatura|sinistra|Gregorio VII dice messa]]
Nel 1075 Enrico IV continuò
Nel 1074 sia il papa
Gregorio VII replicò con una dura lettera (datata 8 dicembre 1075) nella quale protestò contro la nomina di Tedaldo ed accusò il re dei Romani di aver continuato ad ascoltare i cinque consiglieri scomunicati. Chiese al re che riconoscesse i suoi peccati e se ne pentisse. Si mostrò tuttavia disposto ad emendare insieme con Enrico il testo del decreto contro le investiture dei laici.<ref>{{cita|Salvatorelli, 1940|p. 91}}.</ref>
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{{quote|Enrico, re, non per usurpazione, ma per giusta ordinanza di Dio, a Ildebrando, che non è più il papa, ma ora è un falso monaco [...] Tu che tutti i vescovi ed io colpiamo con la nostra maledizione e la nostra condanna, dimettetevi, lasciate questa sede apostolica che vi siete arrogati. […] Io, Enrico, re per grazia di Dio, vi dichiaro con tutti i miei vescovi: discendi, discendi!<ref>{{cita|Cantarella, 2005|p. 139}}.</ref>}}
Nella
==== Il Sinodo quaresimale del 1076 e la scomunica di Enrico IV ====
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{{quote|Che Dio mi ha dato il potere di legare e sciogliere, sulla Terra come in Cielo. Fiducioso in questo potere, [...] sfido il re Enrico, figlio dell'Imperatore Enrico, insorto con sconfinato orgoglio contro la Chiesa, la sua sovranità sulla Germania e l'Italia, e io libera tutti i cristiani dal giuramento che hanno nei suoi confronti o che potrebbero ancora prestargli, e proibisce loro di continuare a servirlo come re. E poiché vive nella comunità degli esiliati, poiché fa il male in mille modi, poiché disprezza le esortazioni che gli rivolgo per la sua salvezza, [...] poiché si separa dalla Chiesa e che cerca di dividerla, per tutti questi motivi, io, tuo luogotenente, lo lego al vincolo della maledizione.<ref>Citazione da ''Sources pour l'histoire de l'empereur Henri IV'', p. 289.</ref>}}
Tale sentenza aveva l'intento di espellere il re dalla comunità cristiana e di vietargli il governo di tutta la Germania e dell'Italia. Per la prima volta un papa non solo scomunicava un sovrano, ma lo inibiva dall'esercizio del suo potere regio. A differenza di Enrico, peraltro, Gregorio non sancì formalmente la deposizione del monarca, bensì lo considerò sospeso fino a quando non si fosse pentito.<ref name="ReferenceB"/> Che producesse realmente questo effetto, o che rimanesse una vana minaccia, non dipendeva tanto da Gregorio, quanto dai sudditi di Enrico, e soprattutto, dai principi tedeschi. I documenti dell'epoca suggeriscono che la scomunica del re creò profonda impressione e divisione sia in Germania sia in Italia, in quanto la società era
Il decreto di scomunica raggiunse Enrico ad Utrecht nella vigilia di Pasqua (26 marzo). La sua reazione fu immediata: in quello stesso giorno gli rispose con una lettera durissima. Definì Gregorio «non papa, ma falso frate», lo dichiarò deposto e, rivolgendosi ai romani nella sua qualità di patrizio, chiese loro di abbandonare Gregorio ed eleggere un nuovo Papa.<ref>{{en}} [https://sourcebooks.fordham.edu/source/henry4-to-g7a.asp Medieval Sourcebook: Henry IV: Letter to Gregory VII, Jan 24 1076]</ref>
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Dopo questa scomunica, molti principi tedeschi in precedenza sostenitori di Enrico, volsero le spalle all'imperatore; il 16 ottobre si riunì a [[Trebur]], cittadina sul [[Reno]] in [[Assia]], una [[dieta]] di principi e vescovi per esaminare la posizione del re. Era presente anche il [[legato pontificio]], [[Altmann di Passavia]]. I principi dichiararono che Enrico doveva chiedere perdono al Papa e impegnarsi all'obbedienza; decisero inoltre che, se entro un anno e un giorno dalla sua scomunica (ovvero entro il 2 febbraio dell'anno seguente) la condanna fosse rimasta ancora in vigore, il trono sarebbe stato considerato vacante. Enrico IV ritenne opportuno trattare. Rilasciò promessa scritta di obbedire alla Santa Sede e di conformarsi alla sua volontà. I principi stabilirono che si sarebbe tenuta nel febbraio 1077 ad [[Augusta (Germania)|Augusta]], in [[Baviera]], una dieta generale del regno presieduta del pontefice in persona. In quell'occasione sarebbe stata pronunciata la sentenza definitiva su Enrico.<ref name=Blumenthal170-171/><ref name="ReferenceC"/><ref>{{cita|Cantarella, 2005|pp. 167-168}}.</ref>
Gregorio VII ratificò l'accordo e progettò il viaggio in Germania. La situazione diventava ora estremamente critica per Enrico. Per il re era imperativo, in qualsiasi circostanza e a qualsiasi prezzo, assicurarsi l'assoluzione di Gregorio prima della scadenza del periodo, altrimenti sarebbe stato quasi impossibile impedire ai suoi avversari di perseguire le loro intenzioni, di attaccarlo giustificando le loro misure appellandosi alla scomunica. Enrico decise quindi di recarsi incontro
Il Papa era nel frattempo già partito da Roma e l'8 gennaio 1077 giunse a Mantova, nei possedimenti della contessa Matilde. Da qui la contessa lo avrebbe dovuto accompagnare fino alle [[Chiusa di Ceraino|Chiuse di Verona]], da dove dovevano accompagnarlo i principi tedeschi sino ad Augusta. Ma, per il grande gelo di quell'anno, essi erano impossibilitati di varcare le Alpi, mentre gli giunse la notizia che Enrico era in marcia per incontrarlo, accompagnato dalla moglie [[Berta di Savoia|Berta]] e dal figlio Corrado, ancora infante. Enrico, che aveva viaggiato attraverso la [[Borgogna]], venne accolto con entusiasmo dai lombardi, che gli fornirono anche una scorta armata. Il papa, che invece non aveva una scorta e non si sentiva al sicuro in Lombardia, decise di arretrare e, tornando sui suoi passi, si fermò a Canossa, nel Reggiano, ospite di Matilde.<ref name=Blumenthal171>{{cita|Blumenthal, 1990|p. 171}}.</ref><ref name=Cantarella=167-168>{{cita|Cantarella, 2005|pp. 167-168}}.</ref>
Grazie all'intercessione della contessa e del padrino di Enrico [[Ugo di Cluny]], Gregorio accettò di incontrare l'imperatore il 25 gennaio 1077, festa della conversione di [[San Paolo]]. Le cronache raccontano che Enrico fosse comparso davanti al castello in abito da penitente e dopo tre giorni Gregorio gli revocò la scomunica, solamente cinque giorni prima del termine fissato dai principi oppositori.
L'immagine di Enrico che si reca a Canossa in atteggiamento di umile penitenza si basa essenzialmente su
[[File:Canossa-three.jpg|miniatura|Enrico IV in penitenza di fronte a Gregorio VII a Canossa, in presenza di Matilde, in un dipinto di Carlo Emanuelle.]]
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Saputo ciò, Enrico entrò nuovamente in Roma il 21 marzo 1084. Tutta la città era in mano sua tranne Castel Sant'Angelo, dove continuò a resistere papa Gregorio. Gran parte dei cardinali voltarono le spalle al pontefice. Seguì la convocazione di un concilio in San Pietro il 24 marzo per giudicare il papa. Gregorio VII fu scomunicato e deposto; venne insediato in [[Basilica di San Giovanni in Laterano|San Giovanni in Laterano]] Guiberto di Ravenna, che prese il nome di [[Antipapa Clemente III|Clemente III]].<ref>{{cita|Salvatorelli, 1940|p. 105}}.</ref> Il 31 marzo Clemente III incoronò Enrico IV imperatore in [[Basilica di San Pietro in Vaticano|San Pietro]].
Dopo alcuni mesi di assedio e di trattative infruttuose, Gregorio VII mandò a chiamare in soccorso [[Roberto d'Altavilla]], [[Conti e duchi di Puglia e Calabria|Duca di Puglia e Calabria]]. Avutane notizia, l'antipapa Clemente III ed Enrico IV si allontanarono da Roma (21 maggio). Gli storici divergono sulle tempistiche esatte dei giorni seguenti, secondo alcuni le truppe normanne entrarono in Roma dopo soli tre giorni,<ref name=":7">{{cita|Salvatorelli, 1940|p. 107}}.</ref> secondo altri giunsero senza particolare fretta quando oramai Enrico era ben lontano, nei dintorni di [[Siena]], a dimostrare che non ci fosse l'intenzione di arrivare ad uno scontro tra i due eserciti.<ref>{{cita|Cantarella, 2005|p. 283}}.</ref> In ogni caso i normanni, dopo un breve assedio, liberarono papa Gregorio, ma poi si dettero
La catastrofe che si era abbattuta sulla Città eterna fu il colpo definitivo che affossò definitivamente il legame tra Gregorio VII e Roma.<ref name=":7" /> Agli occhi dei romani egli non rappresentò altro se non l'uomo che aveva attirato una serie di sventure sulla città. Gregorio capì che quando le truppe normanne fossero ritornate nei loro territori, i romani avrebbero ordito la loro vendetta contro di lui.<ref group=N>[[Guido da Ferrara]] scrisse: "Offeso da questi oltraggi, il popolo romano concepì un odio inesorabile nei confronti di Ildebrando, e riversò tutto il proprio favore su Enrico, legandosi a lui con tali vincoli d'affetto che per il sovrano l'offesa subita dai Romani divenne più importante di centomila monete d'oro". In {{cita|Cantarella, 2005|p. 285}}.</ref><ref>{{cita|Cantarella, 2005|p. 285}}.</ref> Decise quindi, nel giugno del 1084, di lasciare Roma con le truppe dell'Altavilla e di partire verso il Mezzogiorno. Durante il viaggio fece una tappa presso l'[[Abbazia di Montecassino]], dove fu ospite dell'abate [[Desiderio di Montecassino|Desiderio]]. Roma era stata lasciata sguarnita: fu facile per Clemente III, che aveva atteso lo sviluppo degli eventi nella vicina [[Tivoli]], riprendere possesso della città.
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