Costanzo Chauvet: differenze tra le versioni

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Nell'estate del '77 la tipografia e le redazioni del ''Don Pirloncino'' e de ''Il'' ''Popolo romano'' furono collocate a palazzo Folchi in via delle Coppelle: all'inaugurazione della nuova sede intervennero, con un gesto che venne commentato e interpretato dalle redazioni di mezza Italia, [[Agostino Depretis]], il ministro della Marina Brin ed un rappresentante della real casa. Quando, nell'ottobre dello stesso anno, apparve imminente la rottura fra il presidente del Consiglio e lo Zanardelli, ''Il Popolo romano'' prese decisamente posizione per il primo, tanto che cominciarono a circolare insistentemente voci che il giornale fosse diventato organo personale di Depretis, il che avvenne invece circa un mese più tardi. Da allora, e fino al 1887, il giornale venne considerato il portavoce ministeriale per eccellenza, tanto che questura, prefettura, ministero dell'Interno e ''Il'' ''Popolo romano'' erano per i contemporanei proverbialmente sinonimi.
 
Il giornale fu per il Depretis uno strumento prezioso: duttile, preciso, sempre allineato alle sue necessità e alle sue opinioni; non ci fu battaglia politica, dalle convenzioni ferroviarie alla modifica della tassa sul macinato, al riarmo della marina, ai vari rimpasti ministeriali, che non lo vedesse sostenitore ed espressione del presidente del Consiglio. Durante le elezioni che si tennero in epoca depretisiana, il ''Il Popolo romano'' veniva distribuito gratuitamente dalle varie prefetture e Chauvet, non più solo giornalista ma agente del ministero, procurava, con mezzi più o meno leciti, finanziamenti ed appoggi, gestiva uomini e quattrini, trovando naturalmente modo di realizzare ingenti utili personali. Solo su due punti si può riscontrare una certa divergenza di opinioni fra lui e il Depretis: per lungo tempo, anche dopo l'inizio del loro sodalizio, ''Il'' ''Popolo romano'' - che pure fin dal 1878 riceveva un finanziamento fisso di 4.000 lire l'anno dalla Banca romana - continuò a fare una modesta fronda alle posizioni depretisiane favorevoli all'alta banca e alla finanza internazionale, in pro' degli interessi di alcuni gruppi industriali; un perfetto allineamento su base governativa si ebbe solo dopo il 1882, quando Chauvet divenne praticamente un diretto agente della Banca romana. Il secondo punto riguardò l'adozione dello scrutinio di lista, conformemente alla riforma elettorale dell'82del 1882, provvedimento che ''Il'' ''Popolo romano'' e soprattutto Chauvet, in quanto diretto gestore di elezioni, accettarono assai di malavoglia.
 
Naturalmente una simile irresistibile ascesa non poteva non provocare reazioni, anche perché Chauvet, con controproducente esibizionismo, ostentava apertamente e abusava, a proposito e a sproposito, della sua influenza. Si ebbero così, tra il 1881 ed 1885 una serie di scandali e processi che lo videro, direttamente o indirettamente, chiamato in causa. Un primo incidente, che doveva tirarsi dietro querele e controquerele, si ebbe ai primi dell'81, durante un'elezione per il secondo collegio di Roma, quando Chauvet, per meglio sostenere il suo candidato C. Palomba, da cui si era fatto lautamente pagare l'appoggio incondizionato del ''Il'' ''Popolo romano,'' non trovò di meglio che scrivere di suo pugno ai sostenitori dell'avversario del Palomba, e in particolare a O. Barberi Borghini, lettere minatorie con minacce di morte. Queste lettere andarono a finire nelle mani del direttore de ''La Capitale,'' F. Dobelli, il quale aveva da poco pubblicato sul suo foglio la complicata storia delle vicende finanziarie intercorse fra il potente giornalista ministeriale e Laura Marconi Lambertini. Di qui accuse, smentite, controsmentite, che culminarono, nel primo trimestre del 1882, in un processo da cui Chauvet uscì assolto per mancanza di prove, ma vide riconosciuta la propria capacità a delinquere. Neppure questo tuttavia riuscì a scalfirne la posizione, anzi la sua influenza permaneva così forte che tre anni più tardi, quando un altro editore poco scrupoloso, A. Sommaruga, tentò direttamente e attraverso [[Le Forche Caudine|''Le'' ''Forche caudine'']] di [[Pietro Sbarbaro]], una seria azione di disturbo nei confronti suoi e del Depretis, Chauvet riuscì ad ottenerne la clamorosa condanna.
 
Neppure la morte del Depretis lo toccò; dopo un iniziale disorientamento all'avvento di [[Francesco Crispi]], di cui temeva, come molti altri, un certo fondo di [[radicalismo]], stabilì ottimi rapporti anche con il nuovo presidente del Consiglio. Così, sempre armeggiando fra Parlamento, giornalismo, affarismo, mantenne il suo ruolo privilegiato di giornalista ministeriale per eccellenza, anche con [[Antonio Starabba, marchese di Rudinì|Antonio di Rudinì]] e [[Giovanni Giolitti]], offrendo e ritirando l'appoggio politico a banchieri, industriali e speculatori, gestendo illecite ingerenze governative, arricchendosi con l'aggiottaggio in Borsa e le tangenti di tutti i tipi (per fare un solo esempio basti ricordare che, su richiesta del governo la Banca romana gli staccò un assegno di un milione e mezzo sulla quota assegnata alla banca dal prestito per l'abolizione del corso forzoso). In verità Chauvet era l'uomo adatto ad una classe politica assai spregiudicata nella gestione del potere che, dopo il 1876, cercava collegamenti e mezzi di pressione su più ampi strati sociali, più numerosi interessi economici, e li trovava quasi sempre sul piano di appoggi personalistici, in un mercato di influenze, voti e quattrini, sicché egli può essere considerato non solo il fortunato imbroglione e il borioso giornalista, con il gusto dell'intrallazzo e dello scandalo che senz'altro fu, ma anche il necessario strumento di una determinata gestione politica.
 
Quando la corruzione si fece insopportabile per il paese e scoppiò quell'autentico processo al regime che fu lo [[Scandalo della Banca Romana|Scandalo della Banca romana]], era fatale che Chauvet ne uscisse in un modo o nell'altro professionalmente distrutto. Sul finire del 1892 il clamore suscitato dalle interrogazioni parlamentari dell'on. [[Napoleone Colajanni (1847)|Napoleone Colajanni]] dimostrò che era impossibile nascondere a lungo all'opinione pubblica le irregolarità di gestione della Banca romana. Il governo, sperando di salvare il credito e contemporaneamente di evitare un'inchiesta parlamentare che avrebbe coinvolto troppe personalità, vide una soluzione possibile nella fusione della [[Banca Romana]] con la [[Banca Nazionale Toscana]] e la [[Banca Nazionale nel Regno d'Italia|Banca Nazionale del Regno d'Italia]].