Processo formulare romano: differenze tra le versioni
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Provocata così la presenza in giudizio del convenuto, le parti illustravano informalmente le proprie ragioni al magistrato giusdicente, e sotto la sua direzione trasfondevano i termini della controversia nella ''formula'', in base alla quale poi il giudice privato avrebbe dovuto giudicare nella seconda fase del processo. Raggiunto l'accordo sulla redazione della formula, si aveva la ''litis contestatio'', con cui si chiudeva la fase ''in iure'', e si poteva passare alla fase ''apud iudicem''. Il compimento della ''litis contestatio'' aveva effetti estintivi ed effetti cosiddetti conservativi, perché una volta compiuta impediva che la stessa controversia potesse riproporsi sullo stesso oggetto fra le medesime parti (anche a ruoli processuali invertiti) sulla scorta del principio ''"bis de eadem re ne sit actio"'', a meno che non fosse stata concessa ''praescriptio''. La ''litis contestatio'' constava della ''iudicium dabat, iudicium dictabat'' e della ''iudicium accipiebat''. Il pretore concedeva formalmente la formula quindi formalmente comunicava l'assegnazione di quella formula, l'attore doveva leggere ad alta voce e lentamente- appunto dettare- la formula al convenuto (''iudicium dictabat'') il quale l'accettava (''iudicium accipiebat'').
Come si accennava, questa seconda fase si svolgeva innanzi a un giudice privato, che era scelto di comune accordo dalle parti da alcune liste periodicamente aggiornate. Il giudice poteva essere unico (''iudex unus'') o collegiale. Giudici collegiali erano i ''recuperatores'', che solitamente in numero di tre giudicavano in talune
Va ricordato che a fronte dell'oralità delle ''[[legis actiones]]'' il processo formulare si caratterizzava per l'uso della scrittura, perché si fondava appunto su un programma di giudizio scritto, la ''formula''.<br />
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