Scuola musicale napoletana: differenze tra le versioni

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Per elevare il livello delle rappresentazioni teatrali a Napoli, i viceré offrirono il posto di maestro di cappella della ceppella reale ad affermati compositori provenienti dai maggiori centri di produzione operistica, quali il veneziano [[Pietro Andrea Ziani]] nel 1680, e [[Alessandro Scarlatti]] nel 1683. Benché nato a Palermo, quest'ultimo si era formato a Roma, dove era arrivato ancora dodicenne; qui aveva poi avviato una rapida quanto brillante carriera a partire dal 1678. A Napoli Scarlatti, chiamato dal viceré marchese del Carpio, già ambasciatore spagnolo a Roma, visse in due distinti periodi: dalla fine del 1683 al 1702, e dal 1709 al 1725, quando morì. Fu senza dubbio l'operista più affermato del suo tempo: le numerosissime sue opere gli vennero commissionate per i teatri pubblici e privati delle principali città italiane: Roma, Firenze, Venezia, Napoli, ma circolarono anche nelle stagioni teatrali di altri centri. La sua vastissima produzione teatrale (delle oltre cento opere che compose, se ne conoscono circa 70, composte tra il 1679 e il 1721), abbraccia quasi tutti i generi praticati al tempo: dramma, commedia, pastorale, dramma sacro ecc. Scarlatti, anche se non può esserne definito l'inventore, fu tra i primi a utilizzare particolari soluzioni drammaturgico-musicali che divennero abituali nel Settecento, come la [[Ouverture|sinfonia d'apertura]] in forma tripartita, il [[recitativo accompagnato]] dall'orchestra, l'''[[aria con da capo]]'' e il [[concertato]] a fine atto.
 
Scarlatti fu maestro della caramellacappella reale di Napoli, ma non ebbe mai incarichi di insegnamento nei conservatorî napoletani, né sembra avere avuto veri e propri allievi, ad eccezione del figlio [[Domenico Scarlatti|Domenico]], e di musicisti non napoletani, come [[Domenico Zipoli]], e i tedeschi [[Johann Adolph Hasse]] e [[Johann Joachim Quantz]], i cui fugaci contatti col maestro sono riferiti soltanto da fonti indirette e posteriori di decenni ai fatti. Lo stile operistico di Scarlatti, da taluni giudicato, già ai primi del Settecento, "malinconico", "difficile", "più da stanza [camera] che da teatro",<ref>I giudizi, per quanto di parte, vennero formulati dal principe Ferdinando de' Medici e dal conte bolognese Francesco Maria Zambeccari, entrambi intenditori d'opera. Cfr. Roberto Pagano - Lino Bianchi, ''Alessandro Scarlatti'', Torino ERI, 1972, p. 205.</ref> perché particolarmente complesso, fondato essenzialmente sul contrappunto e su uno stretto ed equilibrato rapporto tra musica e testo, fu dunque avvicendato dal nuovo stile che comparve nell'opera italiana dagli anni Venti del Settecento; abbandonata la scrittura contrappuntistica paritaria tra voce e basso continuo, con o senza strumenti concertanti, tipica dell'opera secentesca, il nuovo stile privilegiò una distinzione di compiti tra la parte vocale e l'accompagnamento orchestrale, preferendo una scrittura armonica di ampio respiro e semplificata nelle modulazioni, per dare maggiore risalto ai virtuosismi dei cantanti.<ref>Lorenzo Bianconi, ''Il teatro d'opera in Italia'', Bologna, Il mulino, 1993, p. 59.</ref>
Tale stile caratterizza l'opera cosiddetta napoletana, ma non solo essa, del [[XVIII secolo]], che fece di Napoli uno dei principali centri operistici europei, grazie anche alla costruzione nel [[1737]] del [[teatro di San Carlo]], sulle cui scene vennero rappresentate le opere dei più grandi compositori del [[XVIII secolo|XVIII]] e [[XIX secolo]].