Brigantaggio postunitario italiano: differenze tra le versioni
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{{Citazione|Il brigantaggio diventa la protesta selvaggia e brutale della miseria contro secolari ingiustizie, congiunta ad altri mali che la infausta signorìa dei Borboni creò e ha lasciati nelle province napoletane: l'ignoranza, la superstizione e segnatamente, la mancanza assoluta di fede nelle leggi e nella giustizia.|[[Giuseppe Massari]]}}
Negli anni precedenti il 1860 il [[Regno delle due Sicilie]], il più vasto tra gli Stati italiani, era considerato abbastanza prosperoso dal punto di vista economico data la presenza sul suo territorio di industrie operanti in svariati settori, agricolo, cantieristico, navale, siderurgico, tessile, dell'industria cartaria, estrattiva, conciaria, e altre di minore importanza.<ref>Vedi anche: M. Topa - Così finirono i Borboni di Napoli - F.lli Fiorentino - Napoli, 1990. Pag 67 e successive</ref> Malgrado ciò parte degli abitanti di alcune province e più in particolare di quelle a connotazione prevalentemente agricola, si trovarono a vivere in condizioni particolarmente disagiate. Ciò anche per gli effetti di una distribuzione della ricchezza favorevole al [[clero]] della [[Chiesa
La diversa distribuzione dell'industria sul territorio prevalentemente accentrata nell'attuale [[Campania]], la presenza di ampi spazi coperti da [[bosco|boschi]] e foreste, l'esistenza di zone montuose di difficile transitabilità, la mancanza di strade contribuì ad alimentare le sacche di povertà e di scontento, riflettendosi negativamente anche sul commercio potenzialmente possibile. <ref>anche questo aspetto fu analizzato da parte della Commissione di inchiesta che rese nota la media delle strade esistenti nelle varie province. Infatti, sui 1848 comuni del Napoletano ben 1321 non risultarono serviti da strade (come riportato a pag. 34)</ref> Economia quindi ancora di natura prevalentemente agricola, solo in parte corretta da una serie di iniziative a carattere industriale agevolate da tariffe doganali di favore. Alle parziali riforme già avviate da [[Ferdinando II delle Due Sicilie]] per sviluppare l'industria, l'esercito e la marina,<ref>Vedi: ''Il popolo italiano nella storia della libertà e della grandezza della patria Storia Civile'' Vol. II, Milano, Vallardi editore, 1928, p. 159</ref> non ne seguirono altre atte a consentire il superamento dei resti del sistema feudale e l'abolizione dei privilegi del Clero. Infatti, il clero dotato di ingenti proprietà, oltre ad essere guida spirituale ed elemento cardine per la gestione di alcuni aspetti della convivenza civile, fu anche datore di lavoro, fornitore di istruzione e di alcuni servizi di tipo sociale. Nelle sue svariate attività sviluppò così un'indubitabile influenza sulle classi contadine, disagiate e prevalentemente analfabete, che in molte aree fu amplificata facendo degli ecclesiastici una delle poche fonti, se non l'unica, cui attingere per ottenere e scambiare notizie.<ref>Sull'influenza del clero, vedi anche: G. Massari - S. Castagnola, ''op. cit.'', p. 64</ref> Le riforme non risultarono utili ad evitare i moti popolari che, fomentati da agenti mazziniani, si svilupparono in [[Sicilia]], nelle [[Calabria|Calabrie]], in [[Basilicata]] e nella stessa [[Napoli]] facendo leva sullo scontento di molti strati della popolazione.<ref>Vedi: ''Il popolo italiano nella storia della libertà e della grandezza della patria Storia Civile'' Vol. II, Milano, Vallardi editore, 1928, p. 162 e sgg</ref>
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