Ragazza afgana: differenze tra le versioni

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Nel gennaio del 2002 giunse con una troupe della National Geographic nel campo profughi di Nasir Bagh, in procinto di essere demolito. Lieto di esservi arrivato appena in tempo, McCurry iniziò a chiedere informazioni sulla ragazza, mostrandone la fotografia a vari anziani e abitanti del luogo. La ricerca, tuttavia, fu complicata dal fatto che varie donne, allettate dalla possibilità di qualche vantaggio economico, finsero di essere la ragazza. È lo stesso McCurry a ricordarlo: «Trovammo una donna che sembrava a tutti quella giusta. Ma io non ne ero convinto. Aveva gli occhi marrone scuro, mentre quelli della ragazza erano verdi. Poi mi sono ricordato di una piccola cicatrice sul naso dritto della ''Ragazza afgana'', visibile anche dalla fotografia. Il naso dell'altra era più corto e piatto ed era privo di cicatrici».
 
Quando ormai tutto sembrava perduto - molti ipotizzavano persino che la ragazza fosse morta - McCurry riuscì a rintracciare suo fratello, Kashar Khan, che si mise in contatto con la sorella. La donna, ormai sposata e divenuta madre di 3 figlie: Robina nata nel 1989, vivevaZahida nata nel 1999 e Alia nata nel 2001. Viveva in un'area particolarmente pericolosa dell'Afghanistan, interessata da intensi bombardamenti aerei, ma ciononostante si dichiarò disposta a raggiungere McCurry. Quando il fotografo vide i suoi occhi verdi, comprese immediatamente che si trattava dell'agognata «ragazza afgana»: il suo nome era Sharbat Gula, che in lingua pashto significa «ragazza fiore d'acqua dolce».<ref>{{cita|McCurry|p. 77|SMC}}.</ref> Il loro colloquio, tuttavia, fu di breve durata:
{{citazione|La nostra conversazione fu breve e piuttosto formale. Si ricordava ancora di me, perché quella era stata l'unica volta in tutta la sua vita in cui qualcuno l'aveva fotografata, e perché forse ero l'unico straniero con cui fosse entrata in contatto. Quando vide la foto per la prima volta, provò un certo imbarazzo a causa dello scialle bucato. Mi disse che le si era bruciato mentre stava cucinando. Le spiegai, pensando di compiacerla, che la sua immagine aveva commosso moltissime persone, ma non sono sicuro che la fotografia o il potere della sua immagine significassero davvero qualcosa per lei, o che fosse in grado di capirli fino in fondo. Riviste, giornali, televisione non appartenevano al suo mondo. I suoi genitori erano stati uccisi e lei aveva vissuto una vita da reclusa; non aveva contatti con altre persone al di fuori del marito e dei figli, dei parenti acquisiti e di qualche amico di famiglia. Le sue reazioni mi sembrarono un misto di indifferenza e di imbarazzo, con un pizzico di curiosità e di sconcerto|Steve McCurry<ref name=F>{{cita|McCurry|pp. 77-78|SMC}}.</ref>}}
Sharbat Gula, in ogni caso, acconsentì a farsi fotografare di nuovo, e le sue immagini furono riprodotte nel numero dell'aprile 2002 del ''National Geographic'', simbolicamente intitolato «Ritrovata» (''Found''). Mosso da un istintivo senso di amicizia, inoltre, McCurry riuscì a garantire a Sharbat un servizio medico adeguato, le donò persino una macchina da cucire (in modo da offrire alla figlia la possibilità di un lavoro sicuro) e le diede i mezzi necessari per effettuare il pellegrinaggio a La Mecca, atavico sogno sempre bramato dalla donna. L'eco di Sharbat Gula, tuttavia, è stata ancora più vasta, ed ha concorso all'istituzione dell'Afghan Children's Fund, ente che si occupa di garantire ai bambini afgani il diritto di andare a scuola e di ricevere un'istruzione. Sempre McCurry commentò: