Il Lavoratore: differenze tra le versioni

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Con l'entrata dell'Italia nella [[prima guerra mondiale]], gli irredentisti triestini vennero perseguitati e i redattori del principale quotidiano triestino ''[[Il Piccolo]]'' rimasero per lo più disoccupati; una parte venne generosamente assunta dal ''Lavoratore'' (tra cui questi [[Silvio Benco]] e [[Riccardo Guerreschi]]), senza imporre a nessuno di cambiare linea<ref>Claudio Tonel, in ''Trieste&oltre'', n. 11-12, pag.1108-9</ref>. Durante il conflitto divenne il giornale più importante e più letto nelle provincie adriatiche, raggiungendo una diffusione di 70.000 copie<ref>Claudio Tonel, in ''Trieste&oltre'', n. 11-12, pag.1109</ref>.
 
A partire dalla seconda metà del [[1920]], con la comparsa dello [[squadrismo]] [[fascismo|fascista]] a Trieste, la redazione e la tipografia del ''Lavoratore'', tra i cui redattori figurava anche [[Ignazio Silone]]<ref>Ignazio Silone, ''Il segreto di Luca'', Milano 1973, p. 5</ref>, subirono due violente devastazioni ad opera delle camicie nere. La prima venne compiuta il [[14 novembre|14]] ottobre 1920. La seconda devastazione, perpetrata dai fascisti col supporto determinante delle forze dell'ordine<ref>[https://bora.la/2013/09/09/scampoli-di-storia-la-difesa-della-sede-de-il-lavoratore-e-del-cantiere-san-marco/ Paolo Geri - Scampoli di storia: la difesa della sede de “Il lavoratore” e del Cantiere San Marco]</ref>, avvenne invece il [[9 febbraio]] dell'anno successivo. In quest'occasione la sede del giornale venne difesa da un nucleo di [[Arditi del Popolo]] guidato da [[Vittorio Vidali]]<ref>[https://bora.la/2013/09/09/scampoli-di-storia-la-difesa-della-sede-de-il-lavoratore-e-del-cantiere-san-marco/ Paolo Geri - Scampoli di storia: la difesa della sede de “Il lavoratore” e del Cantiere San Marco]</ref>. Subito dopo la [[marcia su Roma]], con la soppressione de ''[[L'Ordine Nuovo]]'', il giornale si trovò ad essere l'unico quotidiano nazionale del [[Partito Comunista d'Italia]], con una tiratura giornaliera di 17.000 copie, di cui 7.000 vendute nella sola Trieste<ref>Sergio Ranchi, Marina Rossi, ''Il Lavoratore. Ricerche e testimonianze su novant'anni di storia di un giornale'', Trieste 1986, p. 50</ref>. In questo periodo la sede del giornale - - fu ripetutamente incendiata dagli squadristi. Nel luglio [[1923]] per ordine prefettizio dovette interrompere le pubblicazioni, accusato di "attività antinazionale". Riprese le pubblicazioni nel marzo 1924, con il sottotitolo di "Settimanale dell'Unità Proletaria". Cessò le pubblicazioni il [[14 novembre]] [[1925]], a causa della soppressione d'autorità di tutta la stampa d'opposizione, ultimo giornale in Italia a cedere alle imposizioni del fascismo<ref>Claudio Tonel, in ''Trieste&oltre'', n. 11-12, pag.1110</ref>.
 
Il giornale tuttavia continuò ad operare in clandestinità, fino al gennaio [[1927]]. Riprese ad essere pubblicato nel [[1930]], su iniziativa di [[Luigi Frausin]] e dopo la scoperta della tipografia, venne scritto a mano e duplicato con carta copiativa. Dopo il [[25 luglio]] [[1943]] riprese le pubblicazioni, ad opera di [[Giordano Pratolongo]], [[Natale Colarich]], Luigi Frausin, [[Zeffirino Pisoni]] e [[Paolo Morgan]], fino a qualche mese dalla fine della [[seconda guerra mondiale]].