Socialismo liberale: differenze tra le versioni

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A giudizio di Rosselli, uno dei problemi del socialismo italiano era il marxismo, perché per lui non aveva alcun senso un PSI marxista: infatti, all'epoca, i cosiddetti "riformisti" nel partito erano sostanzialmente marxisti moderati: essi non accettavano cioè di abiurare il marxismo, semmai lo conciliavano con altre idee e ne davano versioni particolari, come [[Giuseppe Saragat]] e il suo “umanesimo marxista”<ref>{{Cita pubblicazione|titolo=Marxismo e democrazia|autore=Giuseppe Saragat|città=Marsiglia|anno=1929}}</ref>. Oltre a Rosselli, pochissimi accarezzavano l'idea di un socialismo non marxista, come [[Camillo Prampolini]] e [[Henri De Man]], presidente del [[Partito Operaio Belga]] e autore di ''Psicologia del socialismo''.
 
Un altro problema era il fatto che la stessa lotta al fascismo in nome della [[libertà]] non aveva fatto breccia a sinistra. I comunisti, ad esempio, faticavano a comprendere che il fascismo dovesse essere combattuto in quanto dittatura e in alcuni casi (tra i quali lo stesso [[Lenin]]) ne salutarono positivamente l'ascesa in quanto accelerazione della crisi del capitalismo.
Dunque, porre la questione liberale alla sinistra italiana serviva, secondo Rosselli, anche per definire la necessità di una vera lotta alla dittatura fascista.
 
Rosselli ritenne poi che l'allontanamento dei giovani dal socialismo partisse essenzialmente dal fatto che il socialismo, soprattutto per colpa del marxismo, era diventato un dogma che non dava spazio all'individuo. Per questo egli proponeva la visione di una società formata da individui e non da un massa indistinta in cui l'individuo si annulla.