Pasquale Galliano Magno: differenze tra le versioni

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Perciò l'avvocato Magno contestò in giudizio, pubblicamente, quello che definì "un processo burla". In effetti, a conferma dei suoi sospetti e della sua denuncia, la Corte d'Assise con una vergognosa sentenza<ref>Il fatto che si sia trattato di un processo combinato è attestato anche dal fatto che - per un reale accertamento delle responsabilità - si rese necessaria, dopo la liberazione dell'Italia dal regime fascista, la celebrazione di un nuovo processo, a carico di tutti gli imputati: esso fu definito dalla Corte di assise di Roma con la sentenza del 4 aprile [[1947]], che condannò Dumini, Viola e Poveromo alla pena dell'ergastolo, poi commutata nella reclusione per trent'anni.</ref>, ritenne di dover condannare i soli imputati [[Amerigo Dumini|Dumini Amerigo]], [[Albino Volpi|Volpi Albino]], e [[Amleto Poveromo|Poveromo Amleto]] per il reato di [[omicidio preterintenzionale]]. Fu esclusa la [[premeditazione]] e furono concesse le [[attenuanti]] generiche. I tre assassini furono condannati alla pena di cinque anni, mesi undici e giorni venti di reclusione, nonché all'interdizione dai pubblici uffici.
 
La gratitudine della signora [[Velia Titta]] per l'opera professionale, che l'avvocato [[Pasquale Galliano Magno]] stava svolgendo nel processo, risulta attestata nella lettera che ella gli inviò in data 29 marzo 1926.
Con successiva lettera 2 aprile 1926, inviata all'avvocato Magno, la signora Velia Titta così scriveva: “Mi lusingo che la sua premura e la volontà del buon esito in un atto pietoso, arrivino a superare le difficoltà possibili, di una pratica così delicata. Le esprimo la mia riconoscenza per quanto potrà fare”. Anche in questo suo ulteriore scritto la signora Velia Titta confermava, attestava e ribadiva l'apprezzamento e la stima che provava per il professionista che, con tenace impegno, aveva cura dei suoi legittimi interessi. Va altresì ricordato che la signora Velia Titta donò, con un gesto di gratitudine e riconoscenza, la penna stilografica del defunto suo marito all'avvocato Magno, penna che suo figlio, avvocato Carlo Eugenio Magno, oggi custodisce presso un istituto bancario.