Velia Titta: differenze tra le versioni

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Il 10 giugno 1924 Giacomo Matteotti venne sequestrato e ucciso da tre fascisti: inizialmente non si capiva bene che cosa fosse successo (il suo corpo venne ritrovato soltanto due mesi dopo), ma la ricerca della verità il 15 giugno 1924 indusse Velia a recarsi dall'allora capo del governo [[Benito Mussolini]], con cui ebbe un brevissimo colloquio, del quale rimangono testimonianze controverse. La stessa Velia ne parla in una lettera a [[Gaetano Salvemini]] con datazione incerta (1926/1927)<ref>{{Cita libro|autore=Velia Titta Matteotti|curatore=Stefano Caretti|titolo=Lettere a Giacomo|anno=2000|editore=Nistri Lischi|città=Pisa|p=316}}</ref>: scrive che si trattò di poche parole, improntate alla speranza di ritrovare Matteotti in vita.
 
Dopo il ritrovamento del corpo di Giacomo, il 16 agosto 1924, Velia pretese che nessun fascista presenziasse alla partenza del feretro dalla stazione e che nessuna autorità accompagnasse la salma fino al luogo della sepoltura, nel cimitero di Fratta Polesine (Rovigo), paese natale del marito.<ref>{{Cita libro|autore=Velia Titta Matteotti|curatore=Stefano Caretti|titolo=Lettere a Giacomo|anno=2000|editore=Nistri Lischi|città=Pisa|p=29}}</ref>: il presidente della Camera dei deputati [[Alfredo Rocco]] ed il vice presidente del Senato [[Vittorio Italico Zupelli]] dovettero limitarsi a salutare la salma del parlamentare sul binario della stazione di [[Monterotondo]]<ref>[https://www.casamuseogiacomomatteotti.it/wp-content/uploads/pdf/corriere-della-sera/corriere-della-sera-1924-08-20.pdf ''La salma dell'onorevole Matteotti verso l'ultima dimora'', Corriere della sera, 20 agosto 1924].</ref>.
 
{{quote|Chiedo perciò mi sia concesso di estraniarmi dall’andamento di un processo che ha cessato di riguardarmi. […] Mi parrebbe, accedendo all’invito, di offendere la memoria stessa di Giacomo Matteotti, per il quale la vita era cosa terribilmente seria. Quella memoria nella quale e per la quale, e solo per educare i figli all’esempio ed alla fermezza paterna, vivo ancora appartata e straziata|[https://www.citta-nostra.it/2016/01/19/un-documento-originale-del-delitto-matteotti/ Velia Matteotti al Presidente della Corte di Assise di Chieti]}}
Velia Titta, pur facendo le più ampie riserve per l'esercizio delle azioni civili a lei spettanti nei confronti di tutti gli imputati, non intese avallare il depistaggio con cui le indagini sul delitto finirono a Chieti con un rinvio a giudizio compiacente e circoscritto agli autori materiali dell'omicidio del marito: perciò revocò la costituzione di parte civile a [[Giuseppe Emanuele Modigliani]].

{{quote|Chiedo perciò mi sia concesso di estraniarmi dall’andamento di un processo che ha cessato di riguardarmi. […] Mi parrebbe, accedendo all’invito, di offendere la memoria stessa di Giacomo Matteotti, per il quale la vita era cosa terribilmente seria. Quella memoria nella quale e inper la quale, e solo per educare i figli all’esempio ed alla fermezza paterna, vivo ancora appartata e straziata|[https://www.citta-nostra.it/2016/01/19/un-documento-originale-del-delitto-matteotti/ Velia Matteotti al Presidente della Corte di Assise di Chieti]}} data

Il 29 marzo 1926 incaricò [[Pasquale Galliano Magno]] di seguire le pratiche per la restituzione delle cose sequestrate nel corso dell'istruttoria. Vi si legge: “confermo fin d'ora la mia riconoscenza per quanto potrà fare in materia che tanto mi sta a cuore“. E si legge ancora: “Colgo l'occasione di ringraziarla per ciò che ella ha fatto in questo doloroso frangente, convinta che le venga resa tanta stima e considerazione da tutti coloro che ancora hanno e possono apprezzare la bontà d'animo e la dirittura della coscienza”. All'uopo va detto che con l'istanza, scritta di suo pugno e datata 29 marzo 1926, Velia Matteotti faceva presente e lamentava che non le era stato ancora restituito “ciò che apparteneva al suo defunto marito” e che “si trattava di altissimo valore morale specialmente per la vedova e gli orfani del defunto”. E più oltre scriveva: ”Salvo errore le cose da restituire sono le seguenti: -lettera ferroviaria - una ciocca di capelli - falangetta - giacca e pantaloni (compresa la manica staccata)”. A conclusione dell'istanza dichiarava: “ la sottoscritta delega per il ritiro di quanto sopra l'avv. Pasquale Galliano Magno di Chieti”. Seguiva la firma “Velia Matteotti” e la data “Roma 29 marzo 1926”.
 
Successivamente il controllo delle autorità fasciste sulla famiglia Matteotti fu sempre strettissimo, provocando una dura protesta di Velia, che chiedeva libertà e rispetto. Rimasta sola, Velia subì le malversazioni dell'amministratore delle tenute di famiglia: risolse quindi di vendere le proprietà e di acquistare una grossa proprietà agricola, indebitandosi tanto che non sarebbe riuscita a far fronte al pagamento, senza la concessione di un grosso prestito a tasso agevolato, per il quale sembra certo che sia intervenuto lo stesso Mussolini.<ref>{{Cita libro|autore=Stefano Caretti|titolo=Il delitto Matteotti - Storia e memoria|anno=2004|editore=Lacaita|città=Manduria - Bari - Roma|p=120, 121, 122}}</ref> Come emerge dai rapporti di polizia, nel 1936 la vedova vendette tutte le sue proprietà e fu in grado di estinguere il mutuo contratto con un istituto di Torino.