Pontefice (storia romana): differenze tra le versioni
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== Storia ==
L'accostamento con la tradizione greca potrebbe essere un ulteriore indizio a sostegno dei miti relativi alla [[fondazione di Roma]], che insistono sui contatti avuti tra le popolazioni latine ed alcuni profughi provenienti dalla [[antica Grecia]]. Dalla nascita della [[Repubblica romana|Repubblica]] ([[509 a.C.]]) e fino al [[300 a.C.]], solo i [[patrizio (storia romana)|patrizi]] poterono far parte di questo collegio; da questa data, dopo un'aspra lotta politica che vide contrapposti i plebei, guidati da [[Publio Decio Mure (console 312 a.C.)|Publio Decio Mure]], ai patrizi, guidati da [[Appio Claudio Cieco]], vi ebbero accesso anche i plebei, cui furono riservati 4 pontefici del collegio sacerdotale, portato da 5 a 9 membri.<ref>[[Tito Livio]], [[Ab Urbe condita libri]], [[s:la:Ab Urbe Condita/liber X|X, 6-9]].</ref>
Molte delle pronunce pontificali sono state tramandate oralmente per molto tempo, fino ad essere inserite, in una sorta di giurisprudenza, nella [[legge delle XII tavole]] nel [[451 a.C.|451]]-[[450 a.C.]].
Secondo la ''[[Historia Augusta]]'', [[Elagabalo]], erede della dinastia dei Severi, nel 218 importò da Emesa il culto mitraico del ''[[Sol Invictus]]'' e ne fu promotore a Roma, sostituendolo alle divinità tradizionali. Tale divinità era chiamata anche "Giove e
== ''Gens Aurelia'' ==
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