Finzione: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Ultima modifica. Vedasi descrizioni dei miei precedenti contributi in codesta pagina
Etichette: Annullato Modifica visuale Modifica da mobile Modifica da web per mobile
m Annullate le modifiche di 93.71.138.86 (discussione), riportata alla versione precedente di SenoritaGomez
Etichetta: Rollback
Riga 1:
{{nd}}[[File:Hans Vaihinger.jpg|upright=0.7|thumb|[[Hans Vaihinger]]]]
Il concetto di '''finzione''' si trova alla base della [[Filosofia|corrente filosofica]] del [[finzionalismo]] dove la finzione assume il valore utilitario e pratico di voler credere che a fronte di certe idee o principi astratti vi sia una corrispondenza con la realtà. Per questo si sostiene che la finzione non sia qualcosa di totalmente diverso dalla realtà ma che sia piuttosto un risvolto, una delle forme attraverso cui il reale si mostra.
 
Il termine "finzione" (dal [[lingua latina|latino]] ''fictio'') nel linguaggio comune si usa come sinonimo di falsità, menzogna, inganno, sotterfugio, ma in termini positivi, si riferisce anche all’attività del costruire, formare, strutturare, elaborare e, inoltre, pensare, immaginare, supporre, ideare, inventare: tutti termini che esaltano la creatività. È quest'ultimo valore di dare forma alla realtà che assume il concetto di finzione elaborato dal filosofo tedesco neokantiano [[Hans Vaihinger]] (1852-1933) nell'opera ''Die Philosophie des Als Ob'' ("La filosofia del come se"-1911). <ref>''Dizionario di filosofia Treccani'' (2009) alla voce "come se, filosofia del (ted. Als Ob Philosophie)"</ref>.
 
Nella storia della filosofia si sono alternate interpretazioni filosofiche per le quali si ritiene come la scuola sociologica del [[Costruttivismo (filosofia)|costruttivismo]], che ogni visione della realtà è fondamentalmente una costruzione di se stessa e che una sicura distinzione tra fatti e finzione è impossibile e, al contrario, come la [[Naturalismo (filosofia)|filosofia del naturalismo]] che sostiene che la realtà può essere rintracciata sotto il ''[[velo di Maia]]'' della finzione fenomenica o che la [[verità]] può essere accertata dall'utilità che accompagna la finzione.
 
Il dibattito tra realtà e finzione <ref>Ove non indicato diversamente, le informazioni contenute nel testo della voce hanno come fonte [http://www.filosofia.rai.it/articoli/zettel-3-filosofia-in-movimento-finzione/21113/default.aspx ''Zettel.3 Filosofia in movimento - Finzione - Rai Filosofia'']</ref> si è avvalso di esempi che dimostravano come addirittura attraverso la finzione si potesse arrivare a dimostrare una verità indiscutibile. Questo è stato il caso di [[Cartesio]] che fingerà di credere che esista un genio maligno capace d'ingannarlo su tutto ma che non potrà togliergli la certezza che egli pensa di essere ingannato e se pensa allora esiste.
 
Il [[dibattito]] filosofico si è chiesto se dalla finzione può derivare una realtà quando come pensano i realisti tutto può essere considerato come reale. Certo nella narrazione letteraria, ad esempio, alcuni personaggi possono essere considerati come frutto di fantasia ma questo vuol dire che [[Madame Bovary]], descritta realisticamente da [[Gustave Flaubert]] sia meno reale della contemporanea figura storica di [[Luigi Filippo]]? Secondo Kendall Lewis Walton fingere non sempre vuol dire ingannare: nel leggere la [[Madame Bovary|storia di Madame Bovary]] mettiamo in atto un "coinvolgimento immaginativo" nel senso che facciamo finta che il personaggio sia reale senza voler ingannare alcuno.
[[File:Meinong.jpg|upright=0.7|thumb|[[Alexius Meinong]]]]
Nella sua ''Über Gegenstandstheorie'' ("Sulla Teoria degli Oggetti", (1904) e nei i suoi studi di [[logica deontica]], basati sulla teoria degli oggetti inesistenti [[Alexius Meinong]] (1853-1920) sostiene che sia possibile pensare ad un oggetto, quale la montagna d'oro, che pure non esiste come un oggetto reale nel mondo esterno ma ciò che può essere oggetto del conoscere non ha affatto bisogno di esistere: le figure di cui tratta la geometria ovviamente non esistono e tuttavia si possono verificare le loro proprietà (il loro essere in quel modo).
 
A questa tesi si oppongono gli [[antirealismo|antirealisti]] o eliminativisti che sostengono invece che noi fingiamo che esistano gli enti, le metodologie o i concetti di qualsiasi scienza che invece debbono essere eliminati completamente su tutti i livelli (ontologico, epistemologico e concettuale), e di fatto accettati e studiati solo da una scienza "più fondamentale", mettendo da parte però ogni previa ipotesi. Dobbiamo quindi distinguere la [[semantica]], che tratta di oggetti di finzione parafrasati, dall'[[ontologia]] che deve stabilire l'essere, la realtà.
 
Con [[Benedetto Croce]] ci si domanda se in fondo anche la storia, che dovrebbe essere narrazione di fatti reali, non sia un fondo una finta rappresentazione della realtà tanto che questa disciplina potrebbe essere ricondotta ''sotto il concetto generale dell'arte''. <ref>B.Croce, ''La storia sotto il concetto generale dell'arte'', Bari 1919</ref>. Non c'è dubbio, ad esempio, che gli storici romani della parte senatoria e quelli della parte imperiale descrissero gli stessi avvenimenti storici reali interpretandoli però secondo un loro mondo fittizio di valori politici e morali contrastanti.
[[File:Luigi Pirandello2.jpg|thumb|[[Luigi Pirandello]]]]
Nell'[[Teatro|arte teatrale]] può essere considerato Luigi Pirandello il maggiore rappresentante di quella finzione che maschera e sovrasta in ogni individuo la reale personalità al punto che questa non esiste più poiché continuamente mutevole a seconda degli interlocutori con cui ci si confronta. <ref>[https://www.unipi.it/index.php/studenti/item/7062-il-riflesso-della-finzione-studi-su-filosofia-e-letteratura-tra-settecento-e-novecento ''Il riflesso della finzione. Studi su filosofia e letteratura'']</ref>
 
Il mondo dell'arte scenica dimostra chiaramente il valore della finzione da cui paradossalmente nascono sentimenti reali. Di fronte ai finti eventi rappresentati dalla [[tragedia]] o dalla [[commedia]] i [[Antica Grecia|greci antichi]] si posero la questione se anche il pianto o il riso che provavano gli spettatori fossero finti o reali. [[Aristotele]] non dubita della realtà dei sentimenti che nella sua ''Poetica'' spiega con la [[catarsi]] intesa come reale liberatorio distacco dalle passioni tramite le forti vicende rappresentate sulla scena dalla tragedia.
«''Noi proviamo piacere a vedere le immagini le più precise delle cose la vista delle quali è dolorosa nella realtà, come gli aspetti di animali i più ripugnanti e dei cadaveri''».<ref>Aristotele, ''Poetica'', 1448b 10</ref> Per esempio lo spettatore sarà terrorizzato nel vedere una madre che massacra i propri figli, come fa [[Medea]] nell'omonima tragedia, ma egli vedrà lo spettacolo con piacere poiché sa di provare emozioni reali determinate dalla finzione della stessa rappresentazione teatrale.
 
Infine secondo il filosofo [[Australia|australiano]] [[John Leslie Mackie]] (1917-1981) <ref>J.L. Mackie, ''Ethics: Inventing Right and Wrong'', Penguin UK, 1990</ref> nell'ambito della finzione vanno riportate anche le proprietà morali. Non esiste bene o male in natura, i concetti di bontà e cattiveria non si formano attraverso la sensibilità ma sono inventati da noi che li adottiamo perché sono utili a distinguere una materialità che non presenta mai una netta separazione tra vero e falso, tra finzione e realtà.
 
==Note==