Tombe dei Glossatori della Scuola bolognese: differenze tra le versioni

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==Tomba di Rolandino dei Romanzi==
Il secondo monumento in ordine di tempo ad esserci pervenuto (1285) è quello di [[Rolandino de' Romanzi]]. «Fino al 1803 – la sua [[arca]] – reggevasi ancora, cadente, sgretolata ma senza danno di mutilazioni. Nicchiata dietro il portico della [[Seliciata]], lanciava ancora la sua [[guglia]] più in alto del tetto di esso, e lì accanto era la pesa pubblica del fieno <ref>A. Rubbiani, 1890, p. 135</ref>».Nel 1769 l'arca era già nascosta da un muro, eretto forse per rafforzare la struttura barcollante o per impedire che «in quell'angolo deserto e buio la tomba di [[Rolandino de' Romanzi]] giovasse ai malfattori per agguati notturni<ref>A. Rubbiani, 1890, p. 135</ref>»; il [[Sarti]], nel medesimo anno, la descriveva in questo modo: «Obiit Rolandinus Bononiae anno MCCLXXXIV, III idus Septembris, ornatus ipse quoque magnifico et splendido sepulcro, quod Guidestus filius erigendum curavit […] Ejus iconographiam damus. Ac moles ipsa sepulcri satis integra adhuc superest, undequaque cospicua […]<ref>M. Sarti, 1888-1896, p. 182</ref>»
Il modello tombale esplicitato nel testamento del giurista specificava di far riferimento alla [[Odofredo Denari|tomba di Odofredo]]: «et faciendo scripneum arche predicte de marmore altitudinis et magnitudinis in omni quadra prout est scripneum dicte arche dicti domini Odofredi…<ref>citato in A. Rubbiani, 1890, pp. 144-145</ref>»; ma, nonostante la sostanziale aderenza all'esempio della tomba precedente (aderenza ideologica e non solo formale), sono stati riscontrati nel monumento più recente elementi di grande pregio dal punto di vista stilistico, che, in alcuni casi, rappresentano un'evoluzione verso forme gotiche.
 
Nelle pagine che [[Bruno Breveglieri]] dedica alla scrittura a [[Bologna]] nel [[Duecento]], le iscrizioni del monumento di [[Rolandino]] sono citate come esempi di pregio nell'esito dell'elaborazione della [[scrittura gotica|maiuscola gotica]], «con l'adozione di un sistema completamente bilineare, senza più giochi di lettere di altezza variabile, incluse o sovrapposte [...] una scrittura molto tipizzata, di ariosa impaginazione, con sottili, leziosi filetti di coronamento dei tratti e una particolare forma della I. Una vera moda grafica, di successo sia nelle [[scrittura esposta|scritture esposte]] di committenza pubblica [...] sia in [[epigrafia|epigrafi]] assolutamente private<ref>B. Breveglieri, 2000, pp. 65-67</ref>». Nuova è anche la presenza dei quattro [[leone stiloforo|leoni stilofori]], uno dei quali sostituito nell'[[Ottocento]] in una prima approssimativa sistemazione , ed estremamente più articolati sono i [[capitello|capitelli]] e la decorazione della cornice di marmo, che, rispetto alla semplicità assoluta del modello, presentano motivi vegetali piuttosto elaborati; o meglio, nelle parole del restauratore, «l'artista ha poetizzato tutto un tralcio serpeggiante di una [[cucurbitacea]] nostrana<ref>A. Rubbiani, 1890, p.142</ref>».
 
I maestri che lavorarono al monumento, [[Alberto di Guidobono]] e [[Albertino di Enrico]], ingaggiati dal figlio di [[Rolandino]], [[Guidesto]], alla morte del padre, avvenuta nel 1284, mostrarono, in effetti, di voler superare l'arca di Odofredo, proponendo «melius intaglatum et alio intaglo<ref>citato in A. Rubbiani, 1890, pp. 143-146</ref>». Il contratto, stipulato tra il discendente e gli artisti di fronte al notaio «Tomaxio quondam Ursolini», ci è pervenuto, e offre informazioni preziose rispetto all'uso dei [[marmo veronese|marmi veronesi]], sia bianchi che vermigli, al loro pagamento (255 lire di bolognini solo per il materiale), ad alcune decorazioni (croce, [[acroterio|acroterii]], cornice, leoni, scudo di marmo con incisione) e misure (ceppo di 9 piedi e mezzo per lato e altezza di 10 piedi) che hanno facilitato il compito di [[Rubbiani]]. Per l'interno della [[piramide]], il restauratore aveva preferito la tecnica a intonaco e pittura, considerando questa semplificazione più tardiva e perciò più consona al monumento.
 
Nonostante le ottime condizioni – almeno rispetto allo ''status'' degli altri monumenti – in cui il [[mausoleo]] si trovava a fine [[Settecento]], esso venne fatto distruggere dal governo francese nel 1804, con l'argomento che serviva «di nascondiglio alle birbe e agli assassini». «Fu strana rappresaglia della fortuna» – commenta ancora [[Rubbiani]] – «che ciò potesse allegarsi per giustificare la demolizione di chi scrisse ''De ordine maleficiorum…''<ref>A. Rubbiani, 1890, p. 135</ref>», ovvero uno dei primi trattati di [[criminologia]]. Nel 1814, a seguito della [[Restaurazione]], [[Giambattista Grilli]], poeta bolognese, pubblicò un poema, tenuto clandestino fino a quel momento, in cui sfogava le sue ire contro i francesi, e immaginava di aver assistito in una notte di dieci anni prima, durante una passeggiata al chiar di luna, ad una processione di spettri, tra cui il povero [[Rolandino]] rimasto senza tomba, con tanto di [[Digesto]] sottobraccio, che si avviavano in [[Certosa]], dove, al tempo, frammenti di sepolcro, e presumibilmente anche di ossa, erano stati trasportati con poco garbo. Qui, il poeta [[Grilli]] si era affaticato a cercare i resti illustri, ed era riuscito nel suo compito. Anche grazie alle invettive antifrancesi del poeta, gli «avanzi» del monumento, trasportati in [[Certosa]], furono malamente riassemblati – «a testimonio di grettezza moderna<ref>A. Rubbiani, 1890, p. 136</ref>», commenta [[Rubbiani]], disgustato dall'intervento – e soltanto nel 1888 furono recuperati dallo stesso architetto e ricomposti sulla base delle indicazioni del contratto e, per la [[piramide]], grazie allo studio dell'inclinazione dei mattoni a spigolo pervenuti.