Biblioteca di Alessandria: differenze tra le versioni

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;La conquista araba dell'Egitto
Fonti più tarde narrano che il generale [[Amr ibn al-As|ʿAmr ibn al-ʿĀṣ]], nel [[642]], alla guida dell'esercito arabo lanciato alla conquista dell'Egitto, dopo la battaglia di Heliopolis, saccheggiò Alessandria e chiese al [[califfo]] [['Omar ibn al-Khattāb|ʿOmar]] che cosa doveva fare della biblioteca. Il califfo rispose: «In quei libri o ci sono cose già presenti nel [[Corano]], o ci sono cose che del Corano non fanno parte: se sono presenti nel Corano sono inutili, se non sono presenti allora sono dannose e vanno distrutte». Gli Arabi perciò bruciarono i libri per alimentare le caldaie dei bagni per i soldati ed essi bastarono per sostenere il fuoco per sei mesi. Questo racconto, tuttavia, è stato giudicato non veridico: le prime attestazioni occidentali risalgono alla traduzione della ''Storia delle dinastie'' di [[Bar-Hebraeus]] (XIII secolo) effettuata da [[Edward Pococke]] nel [[1663]]; già nel [[1713]] il monaco Eusèbe Renaudot lo giudicò mera propaganda. <br/>
Nei secoli, altri studiosi condivisero le conclusioni di Renaudot: Alfred J. Butler, Victor Chauvin, Paul Casanova and Eugenio Griffini. Recentemente, nel [[1990]], l'[[orientalista]] [[Bernard Lewis]] ha suggerito che il racconto non sia autentico, ma che la sua sopravvivenza sia dipesa dalla sua utilità per la propaganda del condottiero islamico [[Saladino]] (vissuto nel XII secolo), il quale avrebbe a suo dire distrutto la collezione [[Fatimidi|fatimide]] di libri eretici [[ismailiti]] al [[Cairo]] nel quadro della restaurazione del [[sunnismo]]. Perciò Lewis ritenne che la storia del califfo [[Omar ibn al-Khattab]] che approvava la distruzione della biblioteca poteva rendere il gesto di Saladino più accettabile per la sua popolazione.<br/>
AdA avvallarecontraddire decisamente questa versione esiste però l'autorevole testimonianza dello storico arabo [[al-Maqrizi|al-Maqrīzī]] (1365-1442) che, nel suo ''Khiṭaṭ'',<ref>''al-Mawāʿiẓ wal-iʿtibār fī dhikr al-khiṭaṭ wal-athār'' ed. Ayman Fuʾād Sayyid, 6 voll., Londra, al-Furqān Islamic Heritage Foundation, 2002-2004.</ref> ricordava come il barbarico svuotamento dei 100.000 volumi della ''Dār al-hikma'' e della sua ''Khizānat al-kutub'', "Tesoro dei libri", fosse cominciato già poco dopo la morte di [[Al-Afdal Shahanshah]], ultimo autorevole esponente della cosiddetto "[[vizir]]ato militare". I soldati turchi dell'[[Imam]] [[Fatimidi|fatimide]], in mancanza del loro soldo, andarono infatti ad asportare nel [[1068]] libri per rivenderli sul florido mercato dei bibliofili, strappando in vari casi il cuoio delle rilegature per rattoppare le suole dei loro stivali.<ref>[[Claudio Lo Jacono]], ''Storia del mondo islamico (VII-XVI secolo) - Il Vicino Oriente'', Torino, Einaudi, 2003, p. 292.</ref> <br/>
Anche secondo Luciano Canfora <ref>Luciano Canfora, ''La biblioteca scomparsa'', 1986.</ref> gli [[arabi]] avrebbero cagionato seri danni alla biblioteca. <br/>
Franco Cardini <ref>Franco Cardini, ''[[Avvenire]]'', 26 luglio 2009.</ref> concorda con Luciano Canfora e afferma che gli studiosi di oggi tendono ad eliminare le fonti che non godono di buona stampa nel mondo musulmano (ma non va dimenticato che, per converso, le accuse nei confronti del mondo arabo-islamico trovano regolare eco nel mondo occidentale malgrado esso, per lo più, non sia in grado di accedere direttamente alle fonti primarie in [[lingua araba]] al fine di condurvi un serio e doveroso studio critico). Secondo Cardini, le distruzioni della biblioteca accertate storicamente sarebbero due: nel III e nel VII secolo.<br/>
«il corso più probabile degli avvenimenti secondo la critica storica, filologica e archeologica recente è questo: (…)
* 48-47 a.C.: primi danni, collaterali a un incendio che vide Giulio Cesare come corresponsabile;