Riforma del pensiero in Cina: differenze tra le versioni

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La rivista di partito "La Cina", tradotta e distribuita in 20 paesi, si esprimeva senza mezzi termini: «Per dare ai bambini un'educazione sulla lotta di classe e coltivare in loro la morale comunista non solo durante le ore di scuola ma anche al di fuori, sono state organizzate numerose attività educative [...] Queste istituzioni extra-scolastiche si servono di ogni specie di metodi vivi per educare i bambini nella lotta di classe e stimolare in loro le virtù comuniste. Vecchi combattenti rivoluzionari, operai anziani, lavoratori scelti, eroi dell'Esercito popolare di Liberazione raccontano loro la storia delle lotte rivoluzionarie, insegnano le tradizioni rivoluzionarie e dopo aver descritto lo sfruttamento e l'oppressione sofferti prima della Liberazione, raccomandano ai bambini di non dimenticare mai l'attuale lotta di classe dentro e fuori il paese.» (''La Cina, n. 3, marzo 1965'')
 
A scuola, i bambini anche giovanissimi praticavano l'educazione fisica brandendo lance o fucili. Il corrispondente Austriacoaustriaco Louis Barcata, del quotidiano ''Die Presse'', mostra alcune fotografie nel suo libro ''In the throes of the Cultural Revolution'': in una di queste gli adolescenti colpiscono un nemico immaginario gridando "Uccidi". La Cina fu tappezzata di manifesti anti-occidentali inneggianti alla rivoluzione mondiale, in cui la violenza o le armi erano sempre visibili.
 
I ragazzi potevano sviluppare la propria ''[[weltanshaung]]'' solo entro i limiti ristretti della schematizzazione marxista, essendo bombardati dalla propaganda ed essendo proibiti tutti i libri stranieri. Secondo la Guardia Rossa Dai Hsiao-ai (''Red Guard, 1972''), gli studenti ricevevano per «3 ore al giorno una qualche forma di indottrinamento politico». Si noti come quello stesso numero della rivista descrive la rivolta dei Tibetani, repressa nel sangue dall'esercito cinese: «Nel 1959, la cricca del Dalai Lama, in collusione con l'imperialismo e i reazionari indiani, tradì la patria e scatenò una ribellione armata controrivoluzionaria, che fu però rapidamente schiacciata dal nostro eroico Esercito popolare di Liberazione e dalle grandi masse popolari della nazionalità tibetana.» (''La Cina, n. 3, marzo 1965'')