Ermeneutica del Concilio Vaticano II: differenze tra le versioni

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==Interpretare il Concilio==
Come tutti gli altri Concili il Vaticano II pone un problema di interpretazione.
A differenza degli altri Concili il Vaticano II pone un problema di interpretazione. Questa particolarità può essere fatta derivare dall'intendimento stesso del Concilio che non fu di definire «un punto o l'altro di dottrina e disciplina» ma di «rimettere in valore e in splendore la sostanza del pensare e del vivere umano e cristiano».<ref>Giovanni XXIII, Allocuzione del 14 novembre 1959, L'Osservatore Romano, 15 novembre 1959, cit. da Roberto de Mattei, ''Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta'', Torino 2010, p. 127</ref>. A quest'intendimento seguì una mancanza di definizioni dogmatiche, da cui è sorto un dibattito sulla natura dei documenti e sulla loro applicazione.<ref>Roberto de Mattei, ''Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta'', Torino 2010, pp. 6, 15</ref>
 
Già [[papaPapa Paolo VI]] nel [[1966]], ad un anno dalla chiusura del Concilio, evidenziò due tendenze interpretative considerate errate:
Tutti i Concili ecumenici hanno avuto i loro storici che hanno contribuito a fornire un'interpretazione partendo dalla loro visuale<ref>Roberto de Mattei, ''Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta'', Torino 2010, p. 6</ref>, tuttavia solo per il Concilio Vaticano II si sono affrontate due ermeneutiche contrarie.<ref>Roberto de Mattei, ''Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta'', Torino 2010, p. 14</ref> Secondo alcuni critici la presenza di ermeneutiche contrapposte può essere imputata ad un'ambiguità o ambivalenza dei documenti conciliari.<ref>Roberto de Mattei, ''Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta'', Torino 2010, p. 14</ref>
 
==Ermeneutica della continuità==
Secondo l'ermeneutica della continuità il Concilio Vaticano II va interpretato alla luce e in continuità con il [[magistero della Chiesa]] precedente e successivo al Concilio ovvero alla luce della Tradizione.<ref>Secondo la dottrina cattolica per Tradizione si intende la «trasmissione viva compiuta dallo Spirito santo» della «predicazione degli Apostoli che è espressa in modo speciale nei libri ispirati»; «la Chiesa nella sua dottrina perpetua e trasmette a tutte le generazioni, tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede». [[Catechismo della Chiesa Cattolica]], 77-78</ref><ref>La costituzione ''[[Dei Verbum]]'' afferma: «È chiaro dunque che la Sacra Tradizione, la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti che non possono indipendentemente sussistere e che tutti insieme, ciascuno secondo il proprio modo, sotto l'azione di un solo Spirito Santo, contribuiscono efficacemente alla salvezza delle anime».</ref>
 
Già [[papa Paolo VI]] nel [[1966]], ad un anno dalla chiusura del Concilio, evidenziò due tendenze interpretative considerate errate:
{{quote|E [...] sembra a Noi doversi evitare due possibili errori: primo quello di supporre che il Concilio Ecumenico Vaticano Secondo rappresenti una rottura con la tradizione dottrinale e disciplinare che lo precede, quasi ch'esso sia tale novità da doversi paragonare ad una sconvolgente scoperta, ad una soggettiva emancipazione, che autorizzi il distacco, quasi una pseudo-liberazione, da quanto fino a ieri la Chiesa ha con autorità insegnato e professato [...] E altro errore, contrario alla fedeltà che dobbiamo al Concilio, sarebbe quello di disconoscere l'immensa ricchezza di insegnamenti e la provvidenziale fecondità rinnovatrice che dal Concilio stesso ci viene|Paolo VI, Omelia in occasione del I anniversario della chiusura del Concilio, [[8 dicembre]] [[1966]]<ref>{{cita web|url=http://www.vatican.va/holy_father/paul_vi/homilies/1966/documents/hf_p-vi_hom_19661208_it.html|data=8-12-1966|autore=Papa Paolo VI|titolo=Omelia in occasione del I anniversario della chiusura del Concilio}}</ref>}}
 
L'ermeneutica della continuità ha ispirato di recente i circoli lefebvriani e semilfebvriani che dopo aver sostenuto che il concilio andava rifiutato come una rottura hanno ora costruito una teoria secondo la quale Benedetto XVI' avrebbe formulato una "eremeneutica della continuità. In realtà Benedeto XVI in un discorso augurale del 22 dicembre 2005 ha contrapposto l'ermeneutica della rottura a quella della riforma:',
L'ermeneutica della continuità ha ispirato il pontificato di [[papa Giovanni Paolo II]]<ref>Roberto de Mattei, ''Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta'', Torino 2010, p. 7, che cita a supporto Giovanni Miccoli, ''In difesa della fede. La Chiesa di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI'', Milano 2007, pp. 18-30</ref> ed è stata formulata esplicitamente da [[papa Benedetto XVI]] il [[22 dicembre]] [[2005]]:
 
{{quote|Perché la recezione del Concilio, in grandi parti della Chiesa, finora si è svolta in modo così difficile? Ebbene, tutto dipende dalla giusta interpretazione del Concilio o – come diremmo oggi – dalla sua giusta ermeneutica, dalla giusta chiave di lettura e di applicazione. I problemi della recezione sono nati dal fatto che due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro. L'una ha causato confusione, l'altra, silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato frutti. Da una parte esiste un'interpretazione che vorrei chiamare "ermeneutica della discontinuità e della rottura"; essa non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della teologia moderna. Dall'altra parte c'è l'"ermeneutica della riforma", del rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino.|Benedetto XVI, [http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2005/december/documents/hf_ben_xvi_spe_20051222_roman-curia_it.html Discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005]}}
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I principali studiosi che sostengono l'ermeneutica della continuità sono i cardinali [[Walter Brandmüller]], presidente del [[Pontificio Comitato di Scienze Storiche]], [[Avery Robert Dulles]] e [[Francis Eugene George]], l'arcivescovo [[Agostino Marchetto]], il [[Ordine dei Frati Predicatori|domenicano]] [[Charles Morenod]] e il filosofo del diritto [[Russell Hittinger]].<ref>Roberto de Mattei, ''Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta'', Torino 2010, p. 8</ref>
 
UnaGli criticastorici all'ermeneuticadel dellaconcilio continuitànon neusano contestauna ermeneutica o l'impostazionealtra: [[teologia|teologica]]ma piùsostengono che [[storia|storica]], con la presunta conseguenza di togliere importanza al Concilio consideratol'evento come evento.<ref>Roberto de Matteitale, ''Ilcome Concilioin Vaticanoogni II.altro Unafatto storia mai scritta''storico, Torino 2010, pp. 22-23</ref><ref>Secondo [[Giuseppe Alberigo]] la ricostruzione dei fatti avvenuti tra il [[25 gennaio]] [[1959]] e l'[[8 dicembre]] [[1965]] è una premessa necessaria per la comprensione del Concilio. Giuseppe Alberigo, ''Transizione epocale. Studi sul Concilio Vaticano II, Bologna 2009, p. 766: cit.la "storia del concilio vaticano diretta da RobertoG. deAlberigo" Mattei,uscita ''Ilin Conciliocinquen Vaticanovolumi II.e Unasette storialingue maicon scritta'',42 Torinocolaboratori di tutti i continenti è 2010,stata p.oggetto di polemiche suscitate da gruppi ecclesiastici ostili al Vaticano II, 23</ref>
 
==Ermeneutica della discontinuità==
 
L'ermeneutica della discontinuità è stata quella di mons. Marcel Levebvre, che ha rifiutato il concilio in nome della tradizione. Per un paradosso della propaganda i suoi estimatori la imputano oggi ai difensori del Vaticano II cone una chiave di lettura che tende a dare valore al Concilio in quanto evento, anche in considerazione di alcune caratteristiche particolari del Vaticano II: l'assenza di uno scopo storico determinato, il rigetto degli schemi preparatorii, l'elaborazione assembleare dei documenti e anche la percezione del Concilio come evento cruciale da parte dell'opinione pubblica. Questa ermeneutica mira a valorizzare non soltanto i documenti approvati dal Concilio, ma anche i dibattiti interni all'assemblea e la percezione del Concilio all'esterno, da parte dei fedeli.<ref>Roberto de Mattei, ''Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta'', Torino 2010, p. 9</ref>
 
I sostenitori dell'ermeneutica della discontinuità sono rappresentati dalla cosiddetta "scuola di Bologna" diretta da [[Giuseppe Alberigo]], un allievo di [[Giuseppe Dossetti]], autore di una "Storia del Concilio Vaticano II" in cinque volumi. Alla scuola di Bologna appartengono anche [[Giuseppe Ruggieri]], [[Maria Teresa Fattori]] e [[Alberto Melloni]]. Fuori dall'[[Italia]] quest'impostazione è sostenuta da [[Yves Chiron]], [[David Berger]], [[John O'Malley]], [[Gilles Routhier]] e [[Cristoph Theobald]].<ref>Roberto de Mattei, ''Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta'', Torino 2010, pp. 7-9</ref>
 
Sostengono l'ermeneutica della discontinuità, accompagnandola ad una serrata critica al Concilio, anche molti gruppi [[cattolici tradizionalisti|tradizionalisti]], legati soprattutto alla [[Fraternità San Pio X]], e alcuni studiosi come il filosofo [[Romano Amerio]]<ref>Roberto de Mattei, ''Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta'', Torino 2010, p. 10</ref>. Lo storico [[Roberto de Mattei]] è recentemente intervenuto nel dibattito con il libro ''Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta'', in cui, senza entrare nel merito della discussione teologica, sostiene sul piano storico l'impossibilità di separare il Concilio dagli abusi postconciliari, isolando questi ultimi come una patologia sviluppatasi su un corpo sano<ref>Roberto de Mattei, ''Il Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta'', Torino 2010, p. 23</ref>.
 
Benedetto XVI, pochi mesi dopo la sua elezione a Papa, espresse una severa critica dell'ermeneutica della discontinuità:. in polemica con un saggio di Peter Huenermann che i tradizionalisti non conoscono, ma che il papa ha bene in mente.
{{quote|L'ermeneutica della discontinuità rischia di finire in una rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare. Essa asserisce che i testi del Concilio come tali non sarebbero ancora la vera espressione dello spirito del Concilio. Sarebbero il risultato di compromessi nei quali, per raggiungere l'unanimità, si è dovuto ancora trascinarsi dietro e riconfermare molte cose vecchie ormai inutili. Non in questi compromessi, però, si rivelerebbe il vero spirito del Concilio, ma invece negli slanci verso il nuovo che sono sottesi ai testi: solo essi rappresenterebbero il vero spirito del Concilio, e partendo da essi e in conformità con essi bisognerebbe andare avanti. Proprio perché i testi rispecchierebbero solo in modo imperfetto il vero spirito del Concilio e la sua novità, sarebbe necessario andare coraggiosamente al di là dei testi, facendo spazio alla novità nella quale si esprimerebbe l'intenzione più profonda, sebbene ancora indistinta, del Concilio. In una parola: occorrerebbe seguire non i testi del Concilio, ma il suo spirito. |Benedetto XVI, [http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2005/december/documents/hf_ben_xvi_spe_20051222_roman-curia_it.html Discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005]}}