Daniel Bovet: differenze tra le versioni

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Un po' per curiosità, un po' per verificarne le effettive proprietà terapeutiche, all'Institut Pasteur due èquipe altamente qualificate (a capo delle quali c'erano da una parte [[Constantin Levaditi]], dall'altra [[Ernest François Auguste Fourneau|Ernest Fourneau]]) iniziarono a studiare il farmaco esaltato da [[Gerhard Domagk]]. Fu allora che Bovet, responsabile delle prove biologiche dei derivati chimici, in collaborazione con [[Federico Nitti]] (che invece lavorava nel reparto "vaccini" dell'istituto), si imbatté in una fortunata circostanza che riuscì a sfruttare al meglio.
 
La prima mossa dei due scienziati fu quella di infettare, usando una coltura di [[streptococcho|streptococchi]] altamente virulenti, quaranta topi disponibili in quel momento come cavie. I nuovi derivati chimici sviluppati dell'istituto tuttavia erano sufficienti solo per trentasei di essi. "Avanzava", dunque, un gruppetto formato da quattro topi. Bovet ebbe l'intuizione di sperimentare del tutto arbitrariamente su di essi la [[molecola]] comune a tutti i composti dell'esperimento, il semplice "[[Sulfanilamide|para-aminofenilsulfamideamminobenzensolfonammide]]" (nel quale, naturalmente, era assente qualsivoglia tipo di colorante, caratteristica ritenuta basilare nell'efficacia del [[prontosil rosso]] fino a quel momento).
I risultati furono sbalorditivi: i quattro topi sopravvissero<ref>Daniel Bovet, "Vittoria sui microbi, storia di una scoperta", Bollati Boringheri (editore), Torino, 1991, pag.41</ref>. Grazie a questo risultato apparve evidente che era la pura e semplice molecola [[sulfamidici|sulfamidica]] ad avere azione antibatterica all'interno dell'organismo, mentre il colorante veniva scisso ed eliminato dallo stesso (poiché sostanzialmente inutile).