Decemviri: differenze tra le versioni

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In quel frangente, contando sulla discordia interna alla città, i [[Sabini]] devastarono le campagne romane senza trovare alcuna resistenza, come gli [[Equi]], devastarono quelle di [[Tusculum]]. Fu quindi indetta dai decemviri la leva cittadina che riuscì solo per l'inerzia del Senato, che non si oppose alle decisioni di magistrati, di fatto non più eletti, e due eserciti furono mandati incontro ai nemici, sotto il comando dei decemviri.
 
Il malumore della plebe, cui era stato tolta ogni protezione dalla mancata elezione dei tribuni, e dal divieto di appello alle decisione dei decemviri, accrebbe a causa di due episodi che videro vittime due componenti del loro ordine: [[Lucio SiccoSiccio Dentato]] e [[Verginia]], a seguito dei quali i due eserciti abbandonarono il campo, e tornarono a Roma, prima sull'[[Aventino]], poi sul [[monte Sacro]], minacciando di abbandonare Roma.
 
{{q|A Roma lo spopolamento aveva reso la città una desolazione e nel foro si vedeva solo qualche vecchio. Quando, nel corso di una seduta del senato, il foro apparve ancora più deserto ai senatori, furono in molti - oltre a Orazio e Valerio - a esprimere il proprio malcontento. «Che cosa state aspettando, padri coscritti? Se i decemviri persistono nella loro ostinazione, intendete tollerare che tutto si deteriori e vada in rovina? E che cos'è mai, decemviri, questo potere a cui vi aggrappate tanto? Volete dettar legge a tetti e muri? Non vi vergognate vedendo che nel foro i vostri littori sono più numerosi degli altri cittadini? Cosa fareste se il nemico attaccasse la città? Oppure se tra breve la plebe ci assalisse armi alla mano, rendendosi conto che anche con la secessione non riesce a ottenere gran che? Volete che il vostro potere finisca col crollo della città? Eppure bisogna, o non avere la plebe, o accettare i tribuni della plebe | Tito Livio, ''Ab urbe condita libri'', Libro III, 52}}