Assoluzione (religione): differenze tra le versioni

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L'assoluzione vera e propria è quell'atto attraverso il quale il [[sacerdote]], nel [[Penitenza (sacramento)|Sacramento della Penitenza]], libera l'uomo dal [[peccato]]. Essa presuppone:
 
* da parte del penitente, contrizione, confessione, e, almeno, la promessa dello svolgimento della penitenza;
* da parte del ministro, il valido ricevimento dell'[[Ordine sacro]] e la [[giurisdizione]], accordata dall'autorità competente, sulla persona che riceve il [[sacramento]].
 
La Chiesa è cosciente di avere il potere di assolvere i peccati commessi dopo il [[battesimo]] perché [[Cristo]] istituì il Sacramento della Penitenza quando, dopo essere [[resurrezione|risorto]], alitò sugli [[apostolo|apostoli]] dicendo:
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==L'assoluzione nella storia==
===Gli albori dell'era cristiana===
Una cosa è asserire che la Chiesa ha il potere dell'assoluzione, un'altra è dire che la Chiesa degli inizi ne avesse piena coscienza. Il Battesimo era il primo, il grande sacramento, il sacramento dell'[[iniziazione]] al regno di Cristo. Attraverso il battesimo non si otteneva solo il perdono assoluto dal peccato, ma anche l'annullamento della punizione derivante dal peccato. Una volta nato a nuova vita, il [[Cristiano (religione)|cristiano]] ideale aborriva persino il pensiero di un ritorno al peccato. Di conseguenza, la disciplina cristiana dei primi tempi era contraria addirittura ad accordare una sola volta la riammissione ai culti attraverso il ministero della riconciliazione. Questa severità derivava dalla [[Lettera agli Ebrei]] di [[Paolo di Tarso|San Paolo]]: "È impossibile per coloro che una volta furono illuminati, che assaggiarono anche il paradiso, e che furono fatti partecipi dello Spirito Santo, che inoltre ascoltarono la parola di Dio, essere riammessi attraverso la penitenza" (VI, 4-6). La persistenza di questa convinzione è evidente nel ''[[Pastore di Erma|''Pastor di Hermas'']]'', dove l'autore disputa con una scuola rigorista sulla possibilità di dare almeno una opportunità al penitente (III Sim., VIII, 11). [[Hermas]] sostiene che si possa dare solamente una opportunità al penitente, ma ciò è già sufficiente per stabilire la credenza nel potere della Chiesa di perdonare i peccati commessi anche dopo il battesimo. [[Sant'Ignazio di Antiochia]], agli inizi del II secolo, sembra definire il potere di perdonare i peccati quando dichiara nella sua lettera ai [[Amman|Filadelfi]] che il [[vescovo]] presiede alla cerimonia della pubblica penitenza. Questa tradizione fu continuata, poi, nella [[Chiesa cattolica sira|Chiesa sira]], come si evince dagli scritti di Aphraates e di [[Sant'Efrem il Siro]]. [[San Giovanni Crisostomo]] esprime questa stessa tradizione siriaca quando scrive nel ''De Sacerdotio'' (Migne P. G., LXVII, 643), che "Cristo ha dato ai suoi sacerdoti un potere che non accordò nemmeno agli [[angelo|angeli]], dato che non ha detto loro, 'Qualsiasi cosa perdonerai, sarà perdonata'"; ed ulteriormente aggiunge, "Il Padre ha rimesso ogni giudizio nelle mani di suo Figlio, ed il Figlio a sua volta ha accordato questo potere ai suoi sacerdoti."
 
[[Clemente Alessandrino]], che forse ricevette la sua ispirazione dal ''Pastor Hermae'', narra la storia del giovane bandito a cui San Giovanni andò incontro e che riportò a Dio, e nella storia parla dell'"Angelo della Penitenza" riferendosi al vescovo o al sacerdote che sovrintendono alla penitenza pubblica. [[Origene Adamantio]] ([[230]]) fu il successore di Clemente alla [[Alessandria d'Egitto|Scuola Alessandrina]]. Nel commentare le parole della [[preghiera]], "Ci perdoni i nostri peccati", Origene allude alla pratica della penitenza nella Chiesa, richiamandosi al testo di Giovanni, XX, 21. Questi afferma che tale testo è la prova della potestà di perdonare i peccati conferita da Cristo ai sui Apostoli e ai loro successori. Vero è che nei suoi scritti fa eccezione per i peccati di [[idolatria]] e di [[adulterio]] che lui ritiene irremissibili, anche se Dionisio di [[Corinto]] ([[170]]), anni prima, sostenne che nessun peccato era escluso dal potere di remissione accordato da Cristo alla Sua Chiesa ([[Eusebio di Cesarea]], [[Storia ecclesiastica (Eusebio di Cesarea)|''Historia Ecclesiastica'']], IV, XXIII). Nella Chiesa Alessandrina c'è anche la testimonianza di [[Sant'Atanasio di Alessandria|Atanasio]] che, in un frammento contro i [[Antipapa Novaziano#I novazianisti|Novazianisti]], pungentemente afferma: "Colui che confessa i suoi peccati riceve dal sacerdote il perdono per la sua colpa, in virtù della grazia di Cristo (solo se è battezzato)." [[San Firmiano]], nella sua famosa lettera a [[San Cipriano di Cartagine]] afferma che il potere di perdonare i peccati fu dato agli Apostoli ed ai loro successori (Epistole Cipriano, LXXV), e questa tradizione viene espressa più chiaramente sia da [[San Basilio Magno]] che da [[San Gregorio Nazianzeno]] (P. G., XXXI, 1284; XXXVI, 356 357). La tradizione romana è chiara anche nel ''Pastor Hermae'', dove viene difeso il potere di perdonare i peccati commessi dopo il battesimo (Sim., VIII, 6, 5; ibidem, IX, 19). Questa stessa tradizione è manifesta nei Canoni di Ippolito, dove il prelato che consacra un vescovo prega in questo modo: "Accordagli, o Signore, il potere di perdonare i peccati" (XXII). Questo concetto è espresso ancora più chiaramente nelle ''Constitutiones Apostolicæ'' (P. G., I, 1073): "Accordagli, O Dio Eccelso, attraverso Tuo figlio Gesù Cristo, nella pienezza del Tuo spirito, che possa avere il potere di perdonare i peccati, in accordo con il Tuo volere, che possa sciogliere ogni vincolo che lega il peccatore, in ragione di quel potere che Tu hai accordato ai Tuoi Apostoli" (Vedere anche [[Louis Duchesne]], ''Adorazione Cristiana'', 439, 440.). Se questo potere sembra essere stranamente limitato per Hermas, ed Origene, [[Quinto Settimio Fiorente Tertulliano|Tertulliano]], e i novazianisti non erano disposti a credere che la Chiesa avesse il diritto di assolvere da peccati gravi come l'[[apostasia]], l'[[assassinio]], e l'adulterio, [[papa Callisto I]] risolse la questione per sempre dichiarando che in virtù del potere delle chiavi, egli avrebbe accordato il perdono a tutti coloro i quali avessero fatto penitenza. ''Ego. . . delicta pœnitentiâ functis dimitto, o di nuovo, Habet potestatem ecclesia delicta donandi'' (''De Pudicitia'', XXI). Queste affermazioni, riportate nell'opera scatenarono le ire di Tertulliano, che accusò il [[papa]] di presunzione nell'osare perdonare i peccati e specialmente i crimini più grandi quali l'assassinio, l'idolatria ecc. - ''Idcirco præsumis et ad te derivasse solvendi et alligandi potestatem, id est, ad omnem Ecclesiam Petri propinquam.'' Tertulliano stesso, però, prima di diventare un [[Montanismo|montanista]] affermava a chiare lettere che il potere di perdonare i peccati si trovava nella Chiesa. ''Collocavit Deus in vestibulo pœnitentiam januam secundam, quæ pulsantibus patefaciat [januam]; sed jam semel, quia jam secundo, sed amplius nunquam, quia proxime frustra'' (''De Pœnitentia'', VII, 9, 10). Anche se Tertulliano limita l'esercizio di questo potere, ne asserisce fortemente l'esistenza, e afferma chiaramente che il perdono così ottenuto non solo riconcilia il peccatore con la Chiesa, ma con Dio stesso ([[Adolf von Harnack|Harnack]], Dogmengeschichte, I, nota 3, 407). L'intera controversia montanista è una prova della posizione assunta dalla Chiesa e dai vescovi di [[Roma]] sulla questione dell'assoluzione. Tutti i grandi [[Dottore della Chiesa|Dottori della Chiesa]] occidentali, in seguito, affermarono in termini assoluti che il potere di assolvere era concesso ai sacerdoti della Chiesa da Cristo. ([[papa Leone I|Leone Magno]], P. L., LIV, 1011-1013; [[papa Gregorio I|Gregorio Magno]], P. L., LXVI, 1200; [[Sant'Ambrogio]], P. L., XV, 1639; XVI, 468, 477 ecc.; [[Sant'Agostino]], P. L., XXXIX 1549-59.)
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* Preghiera deprecativa. "Possa l'eccelso Dio avere misericordia di te, e perdonando i tuoi peccati, ti conduca alla vita eterna. Amen." Poi, alzando la mano destra verso il penitente, il sacerdote continua: "Possa l'eccelso e misericordioso Dio concederti il perdono, l'assoluzione, e la remissione dei peccati."
* "Possa Nostro Signore Gesù Cristo assolverti, ed io, per la Sua autorità ti assolvo da ogni obbligazione di [[scomunica]] [sospensione, solo in caso di un ecclesiastico] ed [[interdetto]] per quanto in mio potere e nel tuo bisogno."
* "Io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito Santo. Amen." (Recitando i nomi della [[Santa Trinità]], il sacerdote fa sul penitente il segno della croce.)
* "Possa la Passione di Nostro Signore Gesù Ciristo, i meriti della Beata Vergine Maria e di tutti i Santi, quello che di buono hai fatto o quello di cattivo che hai sofferto esserti favorevoli per la remissione di (tuoi) peccati, la crescita nella grazia e la ricompensa della vita eterna. Amen."
 
Nel decreto ''Pro Armenis'' del [[1439]], [[papa Eugenio IV]] spiegava che la "forma" del Sacramento è realmente in quelle parole del sacerdote: ''Ego absolvo te a peccata tua in nomine Patris'' ecc., e i teologi aggiunsero che l'assoluzione è valida ogni qualvolta il sacerdote usa le parole ''Absolvo te'', ''Absolvo te a peccata tua'', o parole che ne sono l'esatto equivalente. (Suarez, Disp., XIX, i, n. 24; Lugo, Disp., XIII, i, nn. 17, 18; Lehmkuhl, de Pœnit., 9ºª edizione, 199).
Sebbene non escludano l'idea di una decisione giudiziale da parte del ministro, nelle chiese Orientali ([[Chiesa cattolica italo-greca|greca]], [[Chiesa greco-cattolica russa|russa]], [[Chiesa siriana cattolica|siriana]], [[Chiesa armeno-cattolica|armena]] e [[Chiesa cattolica copta|copta]]) le forme attualmente in uso sono deprecative.
La forma indicativa è necessaria? Molti dotti cattolici sembrano sostenere che la forma indicativa come attualmente usata nella Chiesa romana è anche necessaria per la validità del Sacramento della Penitenza. Il grande Dottore del Sacramento, [[Sant'Alfonso Maria de' Liguori|Sant'Alfonso]] (''De Sacra Pœnitentia'', n. 430), dichiara che non esiste alcuna questione su quello che può essere il verdetto dal punto di vista storico: è fin dal Concilio di Trento che la forma indicativa è essenziale. Anche San Tommaso e [[Francisco Suárez]] dichiarano che la forma indicativa è necessaria. Altri ugualmente dotti, e forse meglio versati nella storia, affermano che, alla luce dell'istituzione Divina, la forma deprecativa non possa essere esclusa, e che il Concilio di Trento nelle sue deliberazioni non intendesse dire l'ultima parola. Essi sostengono, con Morinus (''De Pœnitentia'', Lib. VIII), che fino al XII secolo la forma deprecativa fu impiegata sia ad oriente che ad occidente e che è tuttora in uso fra i greci e fra gli orientali in genere. Perciò, alla luce della storia e delle opinioni teologiche è perfettamente corretto concludere che la forma deprecativa non è certamente nulla, purché non escluda l'idea del pronunciamento giudiziale (Palmieri, Parergon, 127; Hurter, ''de Pœnitentia''; Duchesne, opera citata; Soto, Vasquez, Estius, ed altri). Comunque, i teologi si sono interrogati se la forma deprecativa fosse oggi valida nella [[Chiesa latina]], e fanno notare che [[papa Clemente VIII]] e [[papa Benedetto XIV]] hanno prescritto ai presbiteri di [[rito bizantino]] di usare la forma indicativa quando assolvono penitenti di [[rito latino]]. Ma la questione riguarda solo la disciplina, e tali decisioni non danno la risposta definitiva alla domanda teologica, dato che nelle questioni di amministrazione dei Sacramenti coloro che debbono decidere seguono semplicemente le idee più sicure conservatrici. Secondo Morinus e Tournely, comunque, oggi nella Chiesa Latina è valida solamente la forma indicativa (Morinus, ''De pœnitentia'', Lib. VIII; Tournely, ibidem, ''de absolutionis forma''); ma molti sostengono che se la forma deprecativa non esclude la pronunciazione giudiziale del sacerdote e, di conseguenza, è realmente equivalente all<nowiki>'</nowiki>''ego te absolvo'', non è certamente nulla, sebbene tutti siano d'accordo che sarebbe illecito contravvenire all'attuale disciplina della Chiesa romana. Altri, non pronunciando giudizi in merito, pensano che la [[Santa Sede]] abbia tolto la facoltà di assolvere a coloro che non usano la forma indicativa.
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Nell'antichità non si fa alcun riferimento all'assoluzione condizionale, tuttavia, [[papa Benedetto XIV]], riferendosi a tale forma di assoluzione, nel ''De Synodo'' (Bk. VII, c. XV) allude ad un brano di Gandavensis (morto [[1293]]), ma è in dubbio se il dotto pontefice usò il passaggio nell'accezione che intendeva il teologo di [[Gand]]. Gerson nel XV secolo, sia in ''De schismate tollendo'' che in ''De unitate ecclesiæ'' si propone come promotore per l'assoluzione condizionale, anche se Cajetan, un secolo più tardi, descriveva la posizione di Gerson come mera superstizione. Ma la posizione di Gerson gradualmente si impose, e oggi tutti i teologi concordano che a certe condizioni tale assoluzione non solo è valida ma anche legittima (Lehmkuhl-Gury, ''De pœnitentia'', ''absolutione sub conditione''); valida, perché i pronunciamenti giudiziali spesso sono resi a certe condizioni, ed il Sacramento della Penitenza essenzialmente è un atto giudiziale (Concilio di Trento, Sessione XIV); anche, perché Dio assolve in cielo quando certe condizioni si verificano sulla terra. Si può eludere il giudizio di un uomo, ma Dio non può essere ingannato. Questa affermazione rende possibile l'assoluzione condizionale. Le condizioni possono essere
 
* presenti,
* passate,
* future.
 
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In virtù della dispensa di Cristo, i vescovi e i sacerdoti sono fatti giudici nel Sacramento della Penitenza. Il potere di rimettere così come il potere di non rimettere proviene da Cristo. Il ministro deve avere perciò in mente non solo i suoi poteri, ordini e giurisdizione, ma deve giudicare anche le disposizioni del penitente. Se
 
* il penitente è ben disposto, esso deve essere assolto;
* il penitente manca della giusta disposizione d'animo, il ministro deve aiutarlo a creare la corretta predisposizione, il penitente mal disposto non può essere assolto;
* il ministro ha dei dubbi sulla disposizione d'animo del penitente, egli si assume il diritto di impartire l'assoluzione condizionale.
 
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===[[Chiesa Anglicana]]===
Nel ''[[Libro della preghiera comune|''Book of Common Prayer'']]'' ci sono: una formula di Assoluzione ''in Matins'', una per il servizio di comunione e una per la visita all'ammalato. I primi due sono comuni, simili all'assoluzione liturgica in uso nella Chiesa romana; il terzo è individuale e dipende dalla natura del caso. Della terza assoluzione il libro dice: "La persona ammalata sia predisposta per fare una confessione speciale dei suoi peccati se sente la sua coscienza agitata da qualche grave problema. Dopo questa confessione, il sacerdote l'assolverà (se questi lo desidera umilmente e di cuore) dopo questa preghiera: Nostro Signore Gesù Cristo, che ha lasciato alla Sua Chiesa il potere di assolvere tutti i peccatori che veramente si pentono e credono in Lui, nella Sua grande misericordia ti perdoni per le tue offese e per la Sua autorità conferitami, io ti assolvo da ogni tuo peccato, nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo. Amen." Questa è la forma generalmente usata dagli ecclesiastici anglicani quando assolvono dopo avere ascoltato confessioni private. Le ''formulæ'' anglicane, anche l'ultima, sono molto vaghe e lasciano intendere poco più che il potere di dichiarare i peccati perdonati. (Convocation, [[1873]]; Lambeth Conference, [[1877]]; Liddon "Life of Pusey").
 
==Bibliografia==