Controversia dei riti cinesi: differenze tra le versioni

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{{quote|Cosa potrebbe essere più assurdo che trasferire in Cina la civiltà e gli usi della Francia, della Spagna, dell'Italia o di un'altra parte d'Europa? Non importate tutto questo, ma la fede che non respinge e non lede gli usi e le tradizioni di nessun popolo, purché non siano immorali.|''Istruzione per i vicari apostolici della Cocincina, del Tonchino e della Cina (1659)'', in ''Sacrae Congregationis de Propaganda Fide memoria rerum'', vol. III/2, Rom-Freiburg-Wien, Herder 1976, pp. 696-704; cfr. Jean Guennou, ''L'Instruction de 1659 aux vicaires apostoliques français'', in ''Les missions catholiques'', nuova serie, IX, 1959.
}}
La Questione ebbe inizio poco dopo la morte di [[Matteo Ricci]] ([[1610]]), quando già il suo successore, [[Niccolò Longobardo]], non concordava con lui sul problema del [[Nome proprio|nome]] di [[Dio]], ritenendo i termini "[[Tiān]]" e "[[Shàngdi]]" passibili di equivoci da parte dei credenti cinesi. La questione scoppiò con grande evidenza anche fuori dalla Compagnia, quando arrivarono in Cina i primi missionari [[domenicani]] e [[francescani]] nel [[1630]].
 
Nel corso del tempo si erano venuti a creare due modi diversi di agire tra i missionari, dettati da due modi diversi di intendere il rapporto tra la religione cristiano-cattolica e la cultura locale.<br />