Socializzazione dell'economia: differenze tra le versioni

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Nel ''Manifesto di Verona'' si affermava che la base della Repubblica Sociale Italiana e della dottrina economica del Partito Fascista Repubblicano è il lavoro (articolo 9); che la proprietà privata, frutto di lavoro e risparmio sarebbe stata garantita, ma non si sarebbe dovuta per ciò trasformare in entità disgregatrice della personalità altrui sfruttandone il lavoro (articolo 10). Tutto ciò che era di interesse collettivo, da un punto di vista economico si sarebbe dovuto nazionalizzare (articolo 11). Nelle aziende sarebbe stata avviata e regolata la collaborazione tra maestranze e operai per la ripartizione degli utili e per la fissazione dei salari (articolo 12). In agricoltura le terre incolte o mal gestite sarebbero state espropriate e riassegnate a favore di braccianti e cooperative agricole (articolo 13). L'Ente Nazionale per la casa del popolo avrebbe avuto l'obbiettivo di fornire una casa in proprietà a tutti (articolo 15). Si sarebbe costituito un [[Confederazione Generale del Lavoro, della Tecnica e delle Arti|sindacato dei lavoratori]], obbligatorio, e avrebbe riunito tutte le categorie (articolo 16).
 
{{quote|Troppo capitalismo non significa troppi capitalisti, ma troppo pochi capitalisti<ref> |[[G. K. Chesterton]], "The Uses of Diversity", 1921</ref>}} [Benito Mussolini]
 
===Socializzazione delle imprese===
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Gli industriali italiani erano naturalmente ostili ad una riforma così vasta e drastica, che avrebbe perlomeno sensibilmente ridotto il loro enorme potere e, sebbene ufficialmente avessero appoggiato la proposta, tentarono in ogni modo affossare la legge.
 
Il [[20 giugno]] [[1944]], ossia appena quattro mesi dopo il decreto legislativo, il dirigente della federazione fascista degli impiegati del commercio, [[Anselmo Vaccari]], in un rapporto diretto a Mussolini riportò le difficoltà di far comprendere ai lavoratori il provvedimento socializzativo a causa della perdita di ascendente del fascismo tra la popolazione a causa delle sorti belliche.<ref>"I lavoratori considerano la socializzazione come uno specchio per le allodole, e si tengono lontano da noi e dallo specchio. Le masse ripudiano di ricevere alcunché da noi. E'È questo un preconcetto ed un preconcetto malevolo, perché i lavoratori italiani furono portati da Voi su un piano di dignità prima sconosciuto. La massa ragiona, anzi "sragiona", in un modo assai strano. Addossa al fascismo e a noi il tracollo sul campo di battaglia, l'alleanza con la Germania che reputa funesta, l'invasione del territorio nazionale, la perdita dei possedimenti coloniali (dimenticando che l'Impero era stato creato da Voi); la distruzione delle città, i lutti sparsi dovunque copiosamente. Insomma, la massa dice che tutto il male che abbiamo fatto al popolo italiano dal 1940 a oggi supera il grande bene elargitole nei precedenti venti anni e attende dal compagno Togliatti, che oggi pontifica da Roma in nome di Stalin, la creazione di un nuovo Paese di Bengodi, nel quale, accanto a un comunismo annacquato, cioè mediterraneo, direi quasi solare, dovrebbe sopravvivere una democrazia di marca anglo-sassone, pronta ad agire e frenare il prevalere delle ideologie che vengono da Oriente (...). E'È certo che oggi i lavoratori affermano che la socializzazione non si farà, o, se si farà, essa contribuirà a rafforzare i ceti capitalistici e a mantenere in istato di soggezione il lavoro. Su questo terreno l'influenza germanica è da essi considerata negativa e, comunque, tale da far rimandare la soluzione del problema al dopoguerra. Il che fa dileguare ogni speranza e allontana sempre più da noi lavoratori, che ci considerano, a torto s'intende, gli sgherri del capitale; fa gravare su di noi il disprezzo, perché affermano che non siamo in buona fede, e fa ritenere l'annuncio della socializzazione come l'ennesimo espediente per attirare nella nostra orbita i pochi ingenui che ci accorderebbero ancora credito." - ''Rapporto Vaccari'' al Duce, in: Santo Peli, ''Storia della Resistenza in Italia'', Einaudi, Torino, 2006, ISBN 88-06-18092-7, p. 69; Edoardo e Duilio Susmel ''Opera Omnia di Benito Mussolini'', La Fenice, Firenze; F. Deakin, ''Storia della Repubblica di Salò'', Einaudi, Torino, 1963; Gianni Oliva, ''La Repubblica di Salò'', Giunti, 1997.</ref>
 
L'attuazione integrale della socializzazione era prevista, ironia della sorte, per il [[25 aprile]] [[1945]].<ref>[[Antonio Fede]], Appunti critici di storia recente, Ed. Coop. Quilt, Messina 1988, pag. 41</ref>