I racconti di Kolyma: differenze tra le versioni

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{{quote|''Ricordo il viso di Varlam Tichonovič, solcato da rughe profonde, la fronte alta, i capelli gettati all'indietro, gli occhi azzurro-chiari e uno sguardo intenso, penetrante... eterno cavaliere, Don Chisciotte che voleva salvare gli uomini, le loro anime deboli e i loro deboli corpi.''|Irina P. Sirotinskaja, nella ''Prefazione'' ai ''Racconti di Kolyma''}}
 
Nella prefazione del libro, Irina P. Sirotinskaja racconta la storia della parola di ''orrore e verità'' di Varlam Šalamov attraverso il buio sentiero dei lager [[Stalin|staliniani]] della [[Kolyma]]. S. rivela la tremenda "... facilità con cui l’uomo si dimentica di essere uomo" (p. IX), anche se, perfino nell’oscurità più impenetrabile, continua a desiderare e sognare ancora uno spiraglio di luce. L'unica maniera di non tradire se stesso dopo questa esperienza, era quello di dire agli altri quest'orrore, senza però farlo diventare "oggetto d'arte", o come se potesse essere paragonato ad altre esperienze umane (''ibidem'').<br>
Ma, nonostante egli rifiuti qualunque tipo di "letterarietà" per queste ragioni, Irina non può fare a meno di rilevare la profondità del complesso "flusso lirico-emozionale" dell'opera, che S. compone nello spazio di vent'anni, subito dopo la scarcerazione definitiva del [[1953]].
 
==Ricordi==