Teologia cristiana: differenze tra le versioni
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===La teologia nel pensiero moderno===
[[File:Cozza Tommaso Campanella.jpg|120px|thumb|[[Tommaso Campanella|Campanella]]]]
L'opera di Pascal rappresentò un modo nuovo di concepire la teologia dopo che la Riforma aveva messo in crisi i sistemi di pensiero scolastici e [[pensiero rinascimentale|rinascimentali]]. Questi avevano comunque trovato un ultimo rappresentante in [[Tommaso Campanella|Campanella]]
Conclusasi la stagione rinascimentale, in filosofia e in teologia tornò a prevalere un indirizzo di pensiero [[nominalismo|nominalista]], esplicitamente rilanciato da autori come [[Thomas Hobbes]]. Si tornò a negare valore alle essenze universali, assimilate a semplici parole arbitrarie prive di fondamento ontologico, secondo una visione radicalmente meccanicistica. Anche [[Galileo Galilei]], che pure accolse da Aristotele e Platone il modello [[deduzione|deduttivo-matematico]], progettò un'analisi dell'esperienza limitata agli aspetti [[quantità (filosofia)|quantitativi]] della realtà, rinunciando alla conoscenza delle [[qualità]] e delle essenze.<ref>«...e stimo che, tolti via gli orecchi le lingue e i nasi, restino bene le figure i numeri e i moti, ma non già gli odori né i sapori né i suoni, li quali fuor dell'animale vivente non credo che sieno altro che nomi, come a punto altro che nome non è il solletico e la titillazione, rimosse l'ascelle e la pelle intorno al naso» (G. Galilei, ''Il Saggiatore'', cap. XLVIII).</ref> Galilei sostenne inoltre che l'autorità religiosa andava separata da quella in ambito scientifico, attestandosi su posizioni oggi sostanzialmente condivise dai teologi cattolici, sin da allora tuttavia preoccupati che l'autonomia del [[metodo scientifico]] potesse sconfinare in una presunzione di superiorità sulla religione stessa.
[[File:Bundesarchiv Bild 183-W1230-0011, Leipzig, Leibniz-Denkmal.jpg|180px|thumb|[[Gottfried Leibniz|Leibniz]]]]
Il compito di fondare un'autonomia della ragione fu assunto tra gli altri da [[Cartesio]], il quale si fece portatore di una visione meccanicistica della natura ancora più radicale. Andando alla ricerca di un metodo a cui sottomettere ogni verità, egli si basò sul ''[[Cogito ergo sum]]'' per giungere alla dimostrazione di Dio come garante del metodo. La sua concezione, a cui [[Blaise Pascal|Pascal]] rimproverò di strumentalizzare Dio per «dare un tocco al mondo», inaugurò il modo di pensare tipico del [[deismo]], cioè di una religiosità che basandosi sulla ragione prescinde completamente da ogni rivelazione positiva. Anche [[John Locke|Locke]], pur contrapponendosi a Cartesio, vi aderì; convinto nominalista, egli giudicò infondate le idee di essenza e di sostanza, perché non ricavabili direttamente dall'esperienza. Ai vari tentativi di abolire in tal modo la metafisica tradizionale reagì [[Gottfried Leibniz|Leibniz]], che rifacendosi alla teologia neoplatonica e aristotelica decretò il fallimento del meccanicismo; cercando al contempo di superare la visione deistica religiosa di [[Baruch Spinoza|Spinoza]], egli l'accolse in un'ottica più propriamente cristiana, capace di conciliare l'[[Uno (filosofia)|unità]] spinoziana con una realtà pluralistica che salvaguardasse la [[libertà]] degli individui. L'Essere è per Leibniz suddiviso in un numero infinito di [[monadi]], ossia ''"centri di forza"'' simili alle ''[[entelechia|entelechie]]'' aristoteliche, le quali sono però tutte coordinate da Dio secondo un'''[[armonia|armonia prestabilita]]'', termine ripreso dalla teologia scolastica.
{{q|Ora questa forza è qualcosa di diverso dalla grandezza, dalla figura e dal movimento; e da ciò si può giudicare che tutto quanto si sa dei corpi non consiste solo nell'estensione, come sostengono i moderni. Questo ci costringe a reintrodurre quelle forme che essi hanno bandito.|Leibniz, ''Discorso di Metafisica'', XVIII}}
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Dio è la monade suprema e riassume in sé, nella propria [[appercezione]], le singole visuali di tutte le altre monadi. Fondando la [[Teodicea]], ossia quella branca della teologia volta a studiare la giustizia divina in rapporto alla presenza del male nel mondo, Leibniz sostenne che Dio è assolutamente libero nel suo agire, eppure la Sua opera creatrice non è il risultato di un atto arbitrario; Dio ha scelto di creare il migliore dei mondi possibili per un'esigenza di moralità. Si tratta quindi di una razionalità superiore a quella meramente meccanica, che dà luogo a un [[finalismo]] nel quale anche il [[male]] trova la sua giustificazione: come elemento che nonostante tutto concorre al [[bene (etica)|bene]] e che ''all'infinito'' si risolve in quest'ultimo.
[[File:GiambattistaVico.jpg|120px|left|thumb|Giambattista Vico|Vico]]
Alla tradizione neoplatonico-aristotelica si rifece anche [[Giambattista Vico|Vico]], secondo il quale il passaggio dal pensiero all'essere non può avvenire attraverso un metodo razionale come era in Cartesio, ma solo per via immediata, con la [[metessi|partecipazione]] e l'[[mimesi|imitazione]] della mente divina, in cui si trovano quelle [[idee]] eterne che si sviluppano in divenire nella [[storia]]. Questa è guidata dalla [[Provvidenza]], che in Vico sembra ricalcare quella di [[Plotino]]: essa infatti, per via del [[libero arbitrio]] degli uomini, non può impedire talora la regressione nella barbarie. Se guidata dalla Provvidenza, la ragione può aspirare alla scienza e alla verità su Dio, ''primus Factor'', «comprensione di tutte le cause»: «Da tutto ciò che si è in quest'opera ragionato, è da finalmente conchiudersi che questa Scienza porta indivisibilmente seco lo studio della [[pietà (teologia)|pietà]],<ref>Vico intende "pietà" nel senso di ''[[pietà (teologia)|pietas]]'', sentimento religioso.</ref> e che, se non siesi pio, non si può daddovero esser saggio».<ref>Giambattista Vico, ''Scienza Nuova'', Conclusione.</ref>
[[File:George Berkeley.jpg|100px|thumb|[[George Berkeley|Berkeley]]]]
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[[File:Immanuel Kant (painted portrait).jpg|110px|left|thumb|Kant]]
Di fronte all'esito scettico a cui giungerà l'empirismo anglosassone con [[David Hume|Hume]], [[Kant]] ritenne, sulla scia di Galilei, che l'ambito della fede andasse slegato da quello della scienza. Concependo l'[[essere]] come un semplice [[quantificatore]] e non un predicato, nella ''[[Critica della ragion pura]]'' egli interpretava il cosmo alla stregua di un meccanismo sottomesso alle leggi dell'''[[io penso]]'', per il quale ogni realtà per poter essere conosciuta doveva prima entrare a far parte della nostra esperienza. Dio pertanto, non potendo essere sperimentato, venne assimilato a un puro ideale regolativo, che nella ''[[Critica della ragion pratica]]'' diventò un'esigenza psicologica da porre come [[postulato]] dell'agire [[etico]], con il ruolo di dare compensazione alle ingiustizie terrene. Kant era sostanzialmente un [[deismo|deista]] che cercò di spiegare razionalmente i dogmi del cristianesimo, da lui ritenuta l'unica religione che potesse rientrare nell'alveo di quella [[naturalismo (filosofia)|naturale]].<ref>Cfr. Kant, ''La religione nei limiti della pura ragione''.</ref> Egli ad esempio assimilò il [[peccato originale]] all'inclinazione umana ad agire volontariamente contro la [[legge morale]] (''[[male radicale]]'').
[[File:Johann gottlieb fichte.jpg|thumb|[[Fichte]]]]
Se durante l'[[illuminismo]] si assistette a una generale adesione al desimo sul modello kantiano, il [[romanticismo]] si aprì invece nel segno di una forte reazione a questa concezione. [[Johann Georg Hamann|Hamann]] sostenne l'esigenza di un rapporto intimo e personale con Dio, che si esprime nei linguaggi come la poesia. Per [[Goethe]] la natura, lungi dall'essere un meccanismo, era piuttosto l'«abito vivente della divinità». [[Fichte]], primo esponente dell'[[idealismo tedesco]], pur aderendo all'impianto del [[criticismo]] kantiano, si accosterà sempre più ad una visione mistico-religiosa, fino a interpretare il proprio [[idealismo]] alla luce del ''[[Prologo di Giovanni]]'': l'[[io (filosofia)|Io assoluto]], che a differenza di Kant era per lui il fondamento non solo della conoscenza, ma anche dell'Essere, fu da Fichte assimilato a [[Dio Padre]] che si rivela attraverso il ''[[Logos]]'', ossia la Sapienza di cui dispone l'uomo. Questo sapere, però, non fa cogliere l'[[Assoluto]] stesso, così da poterne dedurre ogni altra realtà, altrimenti l'idealismo stesso sarebbe creatore, poiché coinciderebbe con l'atto creativo di Dio. La filosofia invece si limita a ricostruire per via teorica le condizioni del prodursi della realtà. Il ''Logos'' di cui parla [[Vangelo di Giovanni|Giovanni]] è solo la manifestazione fenomenica di Dio, come del resto insegnava la [[teologia negativa]] dei [[neoplatonismo|neoplatonici]]; solo nell'agire morale, e quindi nella [[fede]], l'idealismo trova il proprio fondamento rivelando la sua superiorità rispetto al [[realismo (filosofia)|realismo]], ma proprio per questo esso deve naufragrare, oltre se stesso, nell'[[Uno (filosofia)|Uno]] assoluto, [[trascendente|situato al di là]] di ogni sapere.
Seguendo Fichte, e respingendo gli approdi di [[Friedrich Heinrich Jacobi|Jacobi]] e [[Friedrich Schleiermacher|Schleiermacher]] basati su una pura fede che rifiutava la ragione, [[Friedrich Schelling]] cercò di approfondire la struttura [[ontologia|ontologica]] dell'Assoluto. Richiamandosi al [[neoplatonismo]], Schelling vedeva nella Natura lo «specchio finito dell'infinito», dunque come un organismo vivente che si evolve dai gradi inferiori fino ad acquisire [[autocoscienza]] nell'uomo. Una concezione agli antipodi del [[meccanicismo]], ripresa in parte dalla kantiana ''[[Critica del Giudizio]]''.
{{q|Io non ho mai avuto intenzione di sapere cosa propriamente Kant abbia voluto dire con la sua filosofia, ma solo ciò che avrebbe dovuto dire secondo il mio punto di vista, se voleva dare intima coerenza alla sua filosofia.|Schelling, ''Panorama della più recente letteratura filosofica''}}
[[File:Schelling 1848.jpg|left|thumb|[[Friedrich Schelling|Schelling]]]]
Conciliando [[criticismo]] e [[dogmatismo]], Schelling vedeva inizialmente Dio come ''Indifferenza'' di [[Spirito (filosofia)|Spirito]] e [[Natura]], permeato da una [[polarità]] che ce lo presenta ora come trascendente, ora come immanente. L'Assoluto può essere colto solo al di sopra di una mediazione razionale, tramite [[intuizione intellettuale]], o nel momento estetico dell'[[arte]]: concezione antitetica a quella [[hegel]]iana secondo cui invece la ragione stessa era Assoluta, attribuendosi il diritto di stabilire cosa è reale e cosa non lo è, sulla base dell'interazione logico-[[dialettica]] fra tesi antitesi e sintesi.
Schelling reagì al [[panlogismo]] [[panenteismo|panenteista]] di Hegel riaffermando i valori della [[trascendenza]] e della [[libertà]]. Ricollegandosi ai mistici cristiani come [[Jacob Böhme|Böhme]], giunse a imprimere una svolta decisiva alla teologia sostenendo che Dio non è un Essere statico ma in divenire, che in Lui è presente un aspetto oscuro e [[inconscio]], e che il [[male]] non è semplice negatività o privazione come affermava l'[[agostinismo]], ma possiede una sua positività: una positività che però non è neppure da intendersi in forma [[manicheismo|manichea]] come contrapposizione al [[bene (etica)|bene]]. Il male è invece il risultato della libera [[volontà]] dell'uomo che ha scelto la strada della ribellione, mettendo in atto quella scissione che in Dio era presente in forma latente, seppure come possibilità già vinta. Il male inoltre, che sarebbe inspiegabile alla luce del sistema hegeliano imperniato sulla necessità, è tale proprio per la sua irrazionalità, eppure la ragione si deve sforzare di comprenderlo, con l'aiuto della [[fede]]. L'uomo infatti è un Dio decaduto, fatto a immagine del suo Creatore, ma nel quale traspare già la [[redenzione (religione)|redenzione]]: questa si attua con la [[Rivelazione]], che rappresenta l'aspetto [[storia|storico]] di Dio, complementare a quello puramente logico-negativo della filosofia. Il Dio di Schelling dunque non è solamente filosofico, ma è un Dio vivente, Personale, che si rivela anche attraverso i [[mitologia|miti pagani]] e infine pienamente con l'[[Incarnazione]] del [[Gesù|Cristo]], che non è una verità razionale mascherata come sosteneva Hegel, ma è per Schelling l'attestazione del carattere intimamente storico della religione cristiana. Poiché la [[ragione]] non può dominare l'Assoluto, ma essendone viceversa posseduta, essa deve sapersi aprire, con l'[[estasi]], al dato empirico e all'''[[esistenza]]'', senza i quali essa girerebbe a vuoto.
[[File:Kierkegaard.jpg|thumb|[[Søren Kierkegaard|Kierkegaard]]]]
Il richiamo all'[[esistenza]] venne fatto proprio da [[Søren Kierkegaard]], che ammirando [[Socrate]] e [[Gesù|Cristo]] sottolineò il divario esistente tra le [[categoria (filosofia)|categorie]] [[universale|universali]] della logica, e la dimensione [[individuo|individuale]] del singolo uomo, irriducibile al pensiero [[ragione|razionale]], la quale trova la propria condizione di autenticità solo al cospetto di Dio. Kierkegaard evidenziò la [[Paradosso teologico|paradossalità]] e il senso del [[rischio]] propri della [[fede]]: il valore di questa consiste essenzialmente nella ''[[scelta]]'', generatrice del sentimento dell'[[angoscia]]. Kierkegaard portava l'esempio di [[Abramo]], che messo alla prova accetta contro ogni ragionevolezza di compiere il [[Sacrificio di Isacco|sacrificio]] del figlio [[Isacco]], sospinto unicamente dalla sua fiducia in Dio. La vita religiosa è tale proprio in quanto va oltre gli stessi dettami dell'[[etica]], comandando ciò che al nostro senso morale appare [[scandalo]]so; ma nell'attimo in cui si sceglie di affidarsi completamente a Dio, Egli restituisce un significato nuovo e più completo alle nostre azioni.
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