Purgatorio - Canto ventiquattresimo: differenze tra le versioni

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Ma, più di tutti, è Bonagiunta ad attirare l'attenzione di Dante, mormorando un «[[Gentucca Morla|Gentucca]]» che questi dapprima non capisce; alla domanda di maggiori spiegazioni, egli profetizza: «È già nata una donna, e non è ancora sposata (non porta ancora la benda maritale), che ti farà amare la mia città, benché molti ne parlino male» (e ''in primis'' Dante stesso, per esempio nel [[Inferno - Canto ventunesimo|canto XXI]] dell<nowiki>'</nowiki>''[[Inferno (Divina Commedia)|Inferno]]''). Poi inizia una parte importantissima del canto, che prelude a un'altra discussione di [[poetica]] che si terrà [[Purgatorio - Canto ventiseiesimo|due canti più tardi]]: attraverso le parole di Bonagiunta, Dante si fa quasi "consacrare" principale poeta del [[Dolce Stil Novo]] e ne enuncia una dichiarazione di poetica da cui poi il movimento stesso trarrà il nome che gli è convenzionalmente attribuito.
 
Bonagiunta gli chiede infatti se è proprio lui che inventò le «nuove rime<ref>"Rime" va considerato termine tecnico, usato nel [[Medioevo]] per distinguere la poesia in [[lingua volgare]] da quella in [[lingua latina]], che invece non aveva le rime.</ref>» con la canzone ''Donne ch'avete intelletto d'amore'' ([[Canzone (metrica)|canzone]] presente nella ''[[Vita Nova]]'', alla quale Dante stesso attribuisce «mater[i]a nuova» e «alto parlare»), al che Dante risponde di essere uno che, quando [[Amore]] lo ispira, prende nota, e nel modo in cui quello gli detta dentro, scrive: udite queste parole, Bonagiunta esclama di capire finalmente l'ostacolo che trattenne lui, [[Giacomo da Lentini]] - nominato quale rappresentante della [[Scuola siciliana]] - e [[Guittone d'Arezzo]] - rappresentante della [[Scuola toscana]] pre-stilnovistica - aldiquaal di qua del «dolce stil novo ch'i' odo», precisando come l'unica differenza tra i due modi di poetare, a suo avviso, sia proprio questa fedeltà ai sentimenti e alle parole ispirate da Amore.
 
Dopo questa conversazione le anime riprendono veloci la loro corsa di espiazione, e così pure Forese dopo aver chiesto a Dante, con tono malinconico, quando mai lo rivedrà. Dante non sa rispondergli quando sarà la sua morte, ma afferma che essa verrà ben presto nei suoi desideri se [[Firenze]] continua nella sua decadenza, che sembra accelerarsi ogni giorno di più; ma Forese lo conforta con una seconda predizione, affermando che il maggior colpevole di questa situazione ([[Corso Donati]], qui nemmeno nominato) sarà fra non molto trascinato via dal galoppo di veloci cavalli verso l'[[Inferno]]. Detto questo riprende il suo cammino di espiazione, troppo rallentato per rimanere con l'amico, e lascia Dante insieme ai due grandi maestri ([[Publio Virgilio Marone|Virgilio]] e [[Publio Papinio Stazio|Stazio]]).