Assedio di Roma (546): differenze tra le versioni

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Nel frattempo, [[Papa Vigilio]] inviò a Roma dalla [[Sicilia]], dove si trovava in quel momento, diverse navi cariche di [[frumento]] nella speranza che esse riuscissero a raggiungere la città senza essere catturate dalla flotta nemica; tuttavia, non appena gli Ostrogoti si accorsero dell'arrivo delle navi bizantine cariche di provviste, giunsero furtivamente nel porto, e si misero in agguato dentro i fossati delle mura in modo da impossessarsi delle provviste non appena arrivate.<ref name=ProcIII15/> Sennonché il presidio bizantino di Porto, accortosi delle mosse degli Ostrogoti, salì precipitosamente sui merli, cercando di avvertire con diversi segni alle navi bizantine dell'agguato nemico, ma la flotta bizantina, non compresi i segni, e ritenendo che le truppe di Porto al contrario li avessero invitati a sbarcare, decisero di sbarcare effettivamente, subendo l'attacco degli Ostrogoti che senza trovare opposizione si impadronirono delle navi.<ref name=ProcIII15/> Il vescovo Valentino, che si trovava con la flotta, fu fatto prigioniero e condotto da re Totila, che lo accusò di menzogna e ordinò che gli fossero mozzate le mani.<ref name=ProcIII15/> Con questi avvenimenti si concluse l'inverno dell'undicesimo anno di guerra (dicembre 545/marzo 546).<ref name=ProcIII15/>
 
=== Ambasceria di Pelagio presso Totila ====
Nel frattempo [[Papa Vigilio]] fu, per ordine dell'imperatore, condotto a Costantinopoli per [[Scisma tricapitolino|questioni teologiche]].<ref name=ProcIII16>Procopio, ''La guerra gotica'', [[s:La Guerra Gotica/III/16|III,16]].</ref> In quegli stessi giorni, gli abitanti assediati di Piacenza, costretti persino ad atti di cannibalismo a causa della mancanza di cibo, disperati, decisero di consegnare la città agli Ostrogoti.<ref name=ProcIII16/>
 
Anche gli abitanti di Roma soffrivano la fame a causa dell'assedio di Roma, e fu in quelle circostanze che il diacono Pelagio, sbarcato da poco tempo con grandi ricchezze da Costantinopoli, dove si era attirato la simpatia dell'Imperatore Giustiniano stesso, decise di venire in soccorso dei poveri e dei bisognosi, donando a larga mano ai poveri la massima parte del proprio denaro.<ref name=ProcIII16/> E fu a causa della sua generosità che i Romani, agli stremi per la fame, lo persuasero a recarsi presso Totila per implorare pochi giorni di tregua, dopo i quali, non avendo ricevuto soccorso alcuno da Costantinopoli, essi avrebbero consegnato la città eterna agli Ostrogoti.<ref name=ProcIII16/> La conversazione tra Pelagio e Totila, riportata in dettaglio da Procopio, non portò però a nulla.<ref name=ProcIII16/>
 
=== La disonestà di Bessa ===
I cittadini di Roma, appreso del fallimento dell'ambasceria di Pelagio presso il re Totila, demoralizzati ed oppressi dalla fame, decisero, disperati, di implorare i generali bizantini, Bessa e Conone, di lasciarli partire dalla città, rivolgendo a loro, piangendo, la seguente orazione:<ref name=ProcIII17>Procopio, ''La guerra gotica'', [[s:La Guerra Gotica/III/17|III,17]].</ref>
Papa Virgilio in vista dell'assedio aveva fatto arrivare dalla Sicilia una grande quantità di grano che però invece di essere utilizzato per sfamare la popolazione veniva distribuito ai soldati e venduto a caro prezzo ai Romani facoltosi. In questo modo Bessa ci guadagnava sulla fame dei Romani, che venivano sfamati con una mistura insipida in cui la crusca era tre volte più abbondante della farina. Ben presto i Romani si ridussero a mangiare cavalli, cani, gatti e topi.
{{Quote|Ci rimiriamo sino ad ora in tali miserie, o duci, che sebbene addivenissimo a voi stessi ingiuriosi non potremmo per ciò meritar titolo di colpevoli, gli stremi bisogni formando la miglior delle scuse. Giunti a non poterci aiutar più di per noi ci facciamo al vostro cospetto per esprimervi con parole e pianti le nostre calamità; ascoltateci dunque benignamente, né vi turbi l'audacia del nostro dire, sebbene ponderate da essa la gravezza de' mali che duriamo, l'inevitabile disperazione della salute togliendo l'attitudine di moderare azioni e parole. Considerate, se vi piace, o duci, non essere noi più Romani, non aver con voi schiatta e civili istituzioni comuni, né di proprio arbitrio avere accolto in città le prime truppe di Cesare ; ma che da principio vostri nemici, e quindi, impugnate le armi contro di voi, superati in campo, fummo ridotti per guerresco diritto al servaggio. Somministrate dunque ai vostri prigionieri vittuaglia, e se non quanta suole averne di consueto la vita ed a sufficienza per essa, almeno il bastevole a prolungarne comunque la durata; acciocché superstiti vi possiamo rispettare, come vuolsi praticato da servi co'loro padroni. Che se forniti del buon volere ne opinate malagevole d'assai esecuzione ridonateci la libertà, scansando cosi la briga di dare a vostri prigioni sepoltura. Se poi neppur questo a noi è concesso sperare, vi domandiamo in grazia almeno la morte; consentite che poniamo onesto fine alla vita, non invidiandoci un dolce trapasso : liberate di colpo noi miseri dalle nostre immense sciagure.}}
Bessa rispose alle loro suppliche sostenendo che non era in potere suo il rifornirli di grano, né poteva ucciderli essendo ciò un'empietà, né poteva farli partire ritenendo ciò pericoloso; li congedò assicurando loro comunque, nel tentativo di consolarli, che in breve tempo sarebbe giunto un grande esercito da Costantinopoli, comandato da Belisario, che li avrebbe liberati dall'assedio, ponendo fine alle loro sofferenze.<ref name=ProcIII17/>
 
Papa Virgilio, in vista dell'assedio, aveva fatto arrivare dalla Sicilia una grande quantità di grano che però invece di essere utilizzato per sfamare la popolazione veniva distribuito ai soldati e venduto a caro prezzo ai Romani facoltosi. In questo modo Bessa ci guadagnava sulla fame dei Romani, che venivano sfamati con una mistura insipida in cui la crusca era tre volte più abbondante della farina. Ben presto i Romani si ridussero a mangiare cavalli, cani, gatti e:<ref topi.name=ProcIII17/>
I Romani, ridotti in cattive condizioni dalla fame, si rivolsero a Bessa, implorandogli di provvedere a sfamarli o in alternativa permetter loro di uscire dalla città in modo da porre fine ai loro supplizi; ma il generale bizantino rispose che non poteva né nutrire né far partire i Romani. Comunque alla fine, a patto che pagassero una certa cifra, permise ad alcuni di lasciare la città.
{{Quote|A tale in breve eransi le cose che per l'acquisto d'un medinno di grano voleanvi fin sette aurei; laonde quelli di minore fortuna, incapaci di sostentarsi a si caro prezzo, comperato ad un quarto dell'esposto valore un medinno di crusca sel trangugiavano, la necessità fornendo squisitissimo condimento a cosi fatto cibo. I brocchieri di Bessa in tal loro scorribanda impadronitisi d'un bue il venderono ai Romani per cinquanta aurei; se un morto cavallo od altro che di simigliante capitava la entro il compratore tenevasi fortunatissimo, di quelle carni potendo torre una satolla. La plebe sostentava sua vita con sole ortiche a dovizia germoglianti da per tutto intorno a quelle mura e tra le muricce in esse deposte ed acciocché dall'afrezza loro non ne avessero molestia le labbra e le fauci, mangiavanle dopo molta cottura. Di tal guisa, con tutta verità come per noi é detto, i Romani, compro frumento e crusca, tornati nelle proprie abitazioni menaron lor vita sino a che furono possessori di aurei; ma toccatone il fondo vidersi costretti a far mercato d'ogni maniera di suppelletili , esponendole nel pubblico foro, all'uopo di procacciarsi le giornaliere bisogne. Da sezzo ridotte anch'elleno le imperiali truppe a tale da non poter più dividere coi cittadini il frumento, rimasone ben poco al solo Bessa e divenute con ciò prive d'ogni vittuaglia, ebbero anch'esse ricorso alle ortiche.}}
In questo modo Bessa ci guadagnava sulla fame dei Romani, che venivano sfamati con una mistura insipida in cui la crusca era tre volte più abbondante della farina.<ref name=ProcIII17/> Ben presto i Romani si ridussero a mangiare cavalli, cani, gatti e topi.<ref name=ProcIII17/> Procopio narra che un romano, padre di cinque fanciulli, sentendosi da costoro scuotere la veste chiedendogli pane, li invitò a seguirlo come se avesse intenzione di soddisfare i loro desideri e, una volta giunto presso a un ponte del [[Tevere]], si gettò giù per la disperazione.<ref name=ProcIII17/> Fu in quel frangente che Bessa e Conone accordarono a chiunque ne richiedeva, a patto che fosse loro versata una certa somma di denaro, di abbandonare quelle mura, e, ad eccezione di ben pochi, gran parte dei cittadini tentò di porsi in salvo uscendo dalla città.<ref name=ProcIII17/> Tuttavia, la gran parte dei fuggitivi, perse a causa della fame le loro forze, perirono di fame nel corso della fuga, mentre un altra buona parte dei fuggitivi furono attaccati dagli Ostrogoti e da essi uccisi.<ref name=ProcIII17/> Procopio scrisse amaramente: «A cosi tremendi estremi volle il fato ridotti e senato e popolo romano».<ref name=ProcIII17/>
 
=== Il tentativo fallito di Belisario ===
Belisario, nonostante i pochi mezzi a disposizione, decise di accorrere in soccorso della città ma il suo piano di soccorso fallì a causa di Bessa che disobbedì all'ordine di Belisario di fare una sortita dalla città in contemporanea con l'avvicinamento di Belisario, cosicché il vincitore di [[Gelimero]] e di [[Vitige]] fu costretto a rinunciare al soccorso della città assediata.