Assedio di Roma (546): differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Nessun oggetto della modifica
FrescoBot (discussione | contributi)
m Bot: apostrofo dopo l'articolo indeterminativo e modifiche minori
Riga 1:
{{Campagnabox Guerra gotica}}
L' '''assedio di Roma del 546''' fu un episodio della [[guerra gotica (535-553)|guerra gotica]].
 
==Assedio==
=== L'inizio dell'assedio ===
Il re ostrogoto [[Totila]], dopo aver riconquistato varie città, si apprestò ad assediare Roma, con l'intento di riprenderla ai Bizantini.<ref name=ProcIII13>Procopio, ''La guerra gotica'', [[s:La Guerra Gotica/III/13|III,13]].</ref> La ''Città Eterna'' era difesa da 3.000 soldati bizantini condotti dal generale [[Bessa]]. Mentre una parte dei Goti si era accostata alle mura della Città Eterna, Bessa ordinò ad alcune truppe sotto il comando di Artasire e Barbacione di uscire fuori dalle mura per combatterli: dopo averne uccisi molti, le truppe bizantine si misero all'inseguimento dei fuggitivi, ma caddero in un 'imboscata subendo molte perdite, con i due comandanti che a stento riuscirono a salvarsi insieme a pochi altri; di conseguenza i Bizantini, nonostante le continue provocazioni, non osarono più tentare sortite fuori le mura.<ref name=ProcIII13/>
 
Nel frattempo la fame dentro le mura cominciò ad essere sofferta dagli abitanti, e non era possibile ricevere provviste, essendo la città circondata e bloccata dall'esercito ostrogoto.<ref name=ProcIII13/> Inoltre, gli Ostrogoti, sotto il comando di Totila, avevano potenziato di molto la loro flotta, rendendola abbastanza potente da poter competere quasi alla pari con quella imperiale, e la impiegarono per impedire alle navi bizantine di portare provviste a Roma, attaccandole, distruggendole o catturandole.<ref name=ProcIII13/> Totila, inoltre, comandò alle truppe ostrogote in Emilia di occuparne la capitale [[Piacenza]], l'unica in quella regione rimasta in mano bizantina.<ref name=ProcIII13/> L'esercito ordinò al presidio di arrendersi, e ricevendone il rifiuto, formò il campo e la cinse d'assedio, ben sapendo della carenza di provviste dentro le mura.<ref name=ProcIII13/> Il patrizio Cetego, primo del [[senato romano]], e sospettato dai generali bizantini di tradimento, fuggì dunque a Centumcelle.<ref name=ProcIII13/>
 
Nel frattempo, [[Belisario]], essendo impossibilitato da Ravenna di inviare rinforzi agli assediati, avendo ben poche truppe egli stesso, decise di lasciare Ravenna, affidando la città alla difesa di Giustino e di pochi soldati, e, costeggiando la [[Dalmazia]], giunse ad Epidanno, dove rimase in attesa dei rinforzi dall'Imperatore, a cui scrisse una lettera informandolo sugli sviluppi della guerra.<ref name=ProcIII13/> Giustiniano poco tempo dopo gli inviò [[Giovanni (magister militum)|Giovanni]], nipote di [[Vitaliano (console 520)|Vitaliano]], [[Isacco]], armeno e fratello di [[Arazio]], e Narsete con un esercito di truppe bizantine e barbare.<ref name=ProcIII13/> Inviò inoltre l'eunuco [[Narsete (generale bizantino)|Narsete]] presso i capi degli [[Eruli]] per convincerli di inviare, in qualità di [[Foederati|alleati]] dei Bizantini, truppe in Italia: Narsete riuscì nella missione e numerosi soldati Eruli, comandati da Filimuto e da altri loro comandanti, partirono alla volta dell'Italia, svernando in [[Tracia]] in attesa di raggiungere Belisario a Epidanno la primavera successiva; tra di essi vi era Giovanni Faga.<ref name=ProcIII13/> Gli Eruli, durante il viaggio, sconfissero degli invasori sclaveni ([[slavi]]) ponendo fine alla loro incursione e liberando gli abitanti dell'Impero che erano stati fatti prigionieri dagli invasori slavi.<ref name=ProcIII13/>
 
=== Gli attacchi del presidio di Porto agli Ostrogoti ===
Nel frattempo, Belisario inviò Valentino e Foca, con rinforzi, a [[Porto (città antica)|Porto]] affinché fornissero soccorso al presidio bizantino rinserrato nel castello Portense, e facessero incursioni di disturbo negli accampamenti nemici.<ref name=ProcIII15>Procopio, ''La guerra gotica'', [[s:La Guerra Gotica/III/15|III,15]].</ref> Essi spedirono a Roma un messaggio a Bessa, chiedendogli di fornire loro assistenza mentre attaccavano gli Ostrogoti: mentre i soldati del presidio Portense avrebbero cercato di assaltare le trincee degli Ostrogoti, Bessa avrebbe dovuto uscire dalle mura delle città con i suoi guerrieri più valorosi, onde infliggere insieme pesanti perdite ai barbari.<ref name=ProcIII15/> Ma Bessa, malgrado avesse a disposizione tremila soldati, decise di non intervenire, cosi che quando Valentino e Foca, alla testa di cinquecento soldati, assaltarono di sorpresa il campo nemico, dopo aver massacrato diversi soldati nemici, notato che non arrivavano aiuti dai soldati a difesa di Roma, decisero di ritirarsi sani e salvi al porto, da dove inviarono un messaggio a Bessa, protestando per la sua inazione e inopportuno indugiare e invitandolo a intervenire in loro soccorso la volta successiva.<ref name=ProcIII15/> Ma Bessa, ancora una volta, si rifiutò di intervenire in appoggio dei soldati di Porto, e, quando un disertore bizantino, Innocenzo, passato dalla parte degli Ostrogoti, avvertì Totila che il presidio di Porto avrebbe attaccato gli accampamenti ostrogoti il giorno successivo, il sovrano ostrogoto prese misure adeguate al previsto attacco, cosicché quando il presidio di Porto attaccò fu colto in un 'imboscata dagli Ostrogoti, che inflissero loro pesantissime perdite; i pochissimi superstiti riuscirono a riparare a Porto.<ref name=ProcIII15/>
 
Nel frattempo, [[Papa Vigilio]] inviò a Roma dalla [[Sicilia]], dove si trovava in quel momento, diverse navi cariche di [[frumento]] nella speranza che esse riuscissero a raggiungere la città senza essere catturate dalla flotta nemica; tuttavia, non appena gli Ostrogoti si accorsero dell'arrivo delle navi bizantine cariche di provviste, giunsero furtivamente nel porto, e si misero in agguato dentro i fossati delle mura in modo da impossessarsi delle provviste non appena arrivate.<ref name=ProcIII15/> Sennonché il presidio bizantino di Porto, accortosi delle mosse degli Ostrogoti, salì precipitosamente sui merli, cercando di avvertire con diversi segni alle navi bizantine dell'agguato nemico, ma la flotta bizantina, non compresi i segni, e ritenendo che le truppe di Porto al contrario li avessero invitati a sbarcare, decisero di sbarcare effettivamente, subendo l'attacco degli Ostrogoti che senza trovare opposizione si impadronirono delle navi.<ref name=ProcIII15/> Il vescovo Valentino, che si trovava con la flotta, fu fatto prigioniero e condotto da re Totila, che lo accusò di menzogna e ordinò che gli fossero mozzate le mani.<ref name=ProcIII15/> Con questi avvenimenti si concluse l'inverno dell'undicesimo anno di guerra (dicembre 545/marzo 546).<ref name=ProcIII15/>
Riga 18:
Nel frattempo [[Papa Vigilio]] fu, per ordine dell'imperatore, condotto a Costantinopoli per [[Scisma tricapitolino|questioni teologiche]].<ref name=ProcIII16>Procopio, ''La guerra gotica'', [[s:La Guerra Gotica/III/16|III,16]].</ref> In quegli stessi giorni, gli abitanti assediati di Piacenza, costretti persino ad atti di cannibalismo a causa della mancanza di cibo, disperati, decisero di consegnare la città agli Ostrogoti.<ref name=ProcIII16/>
 
Anche gli abitanti di Roma soffrivano la fame a causa dell'assedio di Roma, e fu in quelle circostanze che il diacono Pelagio, sbarcato da poco tempo con grandi ricchezze da Costantinopoli, dove si era attirato la simpatia dell'Imperatore Giustiniano stesso, decise di venire in soccorso dei poveri e dei bisognosi, donando a larga mano ai poveri la massima parte del proprio denaro.<ref name=ProcIII16/> E fu a causa della sua generosità che i Romani, agli stremi per la fame, lo persuasero a recarsi presso Totila per implorare pochi giorni di tregua, dopo i quali, non avendo ricevuto soccorso alcuno da Costantinopoli, essi avrebbero consegnato la città eterna agli Ostrogoti.<ref name=ProcIII16/> La conversazione tra Pelagio e Totila, riportata in dettaglio da Procopio, non portò però a nulla.<ref name=ProcIII16/>
 
=== La disonestà di Bessa ===
I cittadini di Roma, appreso del fallimento dell'ambasceria di Pelagio presso il re Totila, demoralizzati ed oppressi dalla fame, decisero, disperati, di implorare i generali bizantini, Bessa e Conone, di lasciarli partire dalla città, rivolgendo a loro, piangendo, la seguente orazione:<ref name=ProcIII17>Procopio, ''La guerra gotica'', [[s:La Guerra Gotica/III/17|III,17]].</ref>
{{Quote|Ci rimiriamo sino ad ora in tali miserie, o duci, che sebbene addivenissimo a voi stessi ingiuriosi non potremmo per ciò meritar titolo di colpevoli, gli stremi bisogni formando la miglior delle scuse. Giunti a non poterci aiutar più di per noi ci facciamo al vostro cospetto per esprimervi con parole e pianti le nostre calamità; ascoltateci dunque benignamente, né vi turbi l'audacia del nostro dire, sebbene ponderate da essa la gravezza de' mali che duriamo, l'inevitabile disperazione della salute togliendo l'attitudine di moderare azioni e parole. Considerate, se vi piace, o duci, non essere noi più Romani, non aver con voi schiatta e civili istituzioni comuni, né di proprio arbitrio avere accolto in città le prime truppe di Cesare ; ma che da principio vostri nemici, e quindi, impugnate le armi contro di voi, superati in campo, fummo ridotti per guerresco diritto al servaggio. Somministrate dunque ai vostri prigionieri vittuaglia, e se non quanta suole averne di consueto la vita ed a sufficienza per essa, almeno il bastevole a prolungarne comunque la durata; acciocché superstiti vi possiamo rispettare, come vuolsi praticato da servi co'loro padroni. Che se forniti del buon volere ne opinate malagevole d'assai esecuzione ridonateci la libertà, scansando cosi la briga di dare a vostri prigioni sepoltura. Se poi neppur questo a noi è concesso sperare, vi domandiamo in grazia almeno la morte; consentite che poniamo onesto fine alla vita, non invidiandoci un dolce trapasso : liberate di colpo noi miseri dalle nostre immense sciagure.}}
Bessa rispose alle loro suppliche sostenendo che non era in potere suo il rifornirli di grano, né poteva ucciderli essendo ciò un'empietà, né poteva farli partire ritenendo ciò pericoloso; li congedò assicurando loro comunque, nel tentativo di consolarli, che in breve tempo sarebbe giunto un grande esercito da Costantinopoli, comandato da Belisario, che li avrebbe liberati dall'assedio, ponendo fine alle loro sofferenze.<ref name=ProcIII17/>
 
Papa Virgilio, in vista dell'assedio, aveva fatto arrivare dalla Sicilia una grande quantità di grano che però invece di essere utilizzato per sfamare la popolazione veniva distribuito ai soldati e venduto a caro prezzo ai Romani facoltosi:<ref name=ProcIII17/>
{{Quote|A tale in breve eransi le cose che per l'acquisto d'un medinno di grano voleanvi fin sette aurei; laonde quelli di minore fortuna, incapaci di sostentarsi a si caro prezzo, comperato ad un quarto dell'esposto valore un medinno di crusca sel trangugiavano, la necessità fornendo squisitissimo condimento a cosi fatto cibo. I brocchieri di Bessa in tal loro scorribanda impadronitisi d'un bue il venderono ai Romani per cinquanta aurei; se un morto cavallo od altro che di simigliante capitava la entro il compratore tenevasi fortunatissimo, di quelle carni potendo torre una satolla. La plebe sostentava sua vita con sole ortiche a dovizia germoglianti da per tutto intorno a quelle mura e tra le muricce in esse deposte ed acciocché dall'afrezza loro non ne avessero molestia le labbra e le fauci, mangiavanle dopo molta cottura. Di tal guisa, con tutta verità come per noi é detto, i Romani, compro frumento e crusca, tornati nelle proprie abitazioni menaron lor vita sino a che furono possessori di aurei; ma toccatone il fondo vidersi costretti a far mercato d'ogni maniera di suppelletili , esponendole nel pubblico foro, all'uopo di procacciarsi le giornaliere bisogne. Da sezzo ridotte anch'elleno le imperiali truppe a tale da non poter più dividere coi cittadini il frumento, rimasone ben poco al solo Bessa e divenute con ciò prive d'ogni vittuaglia, ebbero anch'esse ricorso alle ortiche.}}
In questo modo Bessa ci guadagnava sulla fame dei Romani, che venivano sfamati con una mistura insipida in cui la crusca era tre volte più abbondante della farina.<ref name=ProcIII17/> Ben presto i Romani si ridussero a mangiare cavalli, cani, gatti e topi.<ref name=ProcIII17/> Procopio narra che un romano, padre di cinque fanciulli, sentendosi da costoro scuotere la veste chiedendogli pane, li invitò a seguirlo come se avesse intenzione di soddisfare i loro desideri e, una volta giunto presso a un ponte del [[Tevere]], si gettò giù per la disperazione.<ref name=ProcIII17/> Fu in quel frangente che Bessa e Conone accordarono a chiunque ne richiedeva, a patto che fosse loro versata una certa somma di denaro, di abbandonare quelle mura, e, ad eccezione di ben pochi, gran parte dei cittadini tentò di porsi in salvo uscendo dalla città.<ref name=ProcIII17/> Tuttavia, la gran parte dei fuggitivi, perse a causa della fame le loro forze, perirono di fame nel corso della fuga, mentre un 'altra buona parte dei fuggitivi furono attaccati dagli Ostrogoti e da essi uccisi.<ref name=ProcIII17/> Procopio scrisse amaramente: «A cosi tremendi estremi volle il fato ridotti e senato e popolo romano».<ref name=ProcIII17/>
 
=== Lo sbarco di Belisario a Porto e le campagne di Giovanni ===
Riga 40:
=== Il tentativo fallito di Belisario ===
A un certo punto, Belisario, venutogli il timore che la mancanza di cibo costringesse i Romani ad aprire le porte al nemico, cercò di trovare il modo per rifornirli di annona, escogitando alla fine il seguente stratagemma: uniti e strettamente legati insieme due paliscalmi, vi soprappose una torre di legno assai più alta di quelle erette sul ponte dai nemici, di cui aveva ottenuto le misure da alcuni dei suoi falsi disertori infiltratesi tra gli Ostrogoti; trasportò quindi sul Tevere duecento [[dromoni]], a foggia di muro, fortificandoli con tavole piene di fori per dardeggiare il nemico senza subire danni, caricandoli di frumento e di altro cibo e facendovi salire le proprie truppe.<ref name=ProcIII19>Procopio, ''La guerra gotica'', [[s:La Guerra Gotica/III/19|III,19]].</ref> Dispose inoltre in luoghi muniti alle bocche del fiume soldati sia fanti che cavalieri, coll'ordine che impedissero al nemico di marciare verso Porto.<ref name=ProcIII19/> Inoltre affidò ad Isacco il castello di Porto, oltre a sua moglie [[Antonina (moglie di Belisario)|Antonina]], ammonendolo di non allontanarsene, essendo Porto l'unica fortificazione dove i Bizantini, in caso di sconfitta, potessero riparare, per cui la sua perdita sarebbe stato un grave colpo inferto ai Bizantini.<ref name=ProcIII19/> Belisario, quindi, come narra [[Procopio di Cesarea|Procopio]]:<ref name=ProcIII19/>
{{Quote|Asceso quindi un dromone e fattosi alla testa dell'armata di mare comandò che si traessero innanzi i due gusci con sopravi la torre, alla cui cima era un paliscalmo ripieno di pece, zolfo, resina e simiglianti materie idonee ad infiammarsi prontissimamente e ad alimentare il fuoco. Sulla opposta riva del fiume poi, che da Porto mette a Roma, teneansi le pedestri schiere intente a prestare aiuto.|Procopio di Cesarea, ''La guerra gotica'', III,19.}}
Il giorno prima Belisario aveva dato a [[Bessa (generale)|Bessa]] l'ordine di assaltare gli accampamenti nemici, in modo da agevolare a Belisario lo superamento dello sbarramento costruito sul Tevere dagli Ostrogoti; ma Bessa, a dire di Procopio, era interessato solo ad arricchirsi vendendo cibo a caro prezzo ai senatori di Roma affamati, per cui, non sembrandogli conveniente la fine dell'assedio, restò inattivo, disobbedendo a Belisario.<ref name=ProcIII19/> Questa fu la descrizione della battaglia che seguì:<ref name=ProcIII19/>
{{Quote|Belisario adunque ed il navilio procedevano durando molto disagio a navigare contro acqua, ed il nemico lunge dall'inquietarli si rimanea tranquillo ne'suoi campi. Se nOn che giunti vicino al ponte abbattutisi nella schiera collocata di qua e di la dal fiume a guardia della catena di ferro tesa non guari prima per ordine di Totila dall'una all'altra ripa onde impedirli dal tragettare le acque, ed uccisine molti col saettamento e posto il di più in fuga, ritti inoltrano, strappata via la catena al ponte, ove, non appena arrivati cominciò sanguinosa zuffa. I Gotti in quella opponevano dalle torri validissima resistenza, e molti usciti già degli steccati v'accorrevano, quando Belisario comandò che la torre fatta da sé costruire sopra le fuste si approssimasse a quella nemica sovrastante al fiume presso la via Portese e s'appicosse fuoco all'antedetto paliscalmo rovesciandolo prontamente sul baluardo nemico. L'ordine ebbe pronta esecuzione, ed al cadere di quello tutta l'indicata torre andò in fiamme giuntandovi insiememente la vita le sue guardie nel numero forse di dugento. Fu vittima dello incendio lo stesso lor duce Osda, valentissimo sopra ogni altro Gotto nell'arte guerresca. I Romani di poi cominciarono con animo intrepido a vie più trar d'arco in contro che dai campi eran venuti ad aiutare, i suoi, e questi impauriti dalla strage cui soggiaceano diedersi a precipitosa fuga , unicamente attendendo alla propria salvezza. Gli imperiali eran per occupare il ponte, ed apprestavansi appena rottolo, a calcare la via di Roma liberi da ogni impedimento, quando la fortuna disertolli...|Procopio di Cesarea, ''La guerra gotica'', III,19.}}