Equità: differenze tra le versioni

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==Descrizione==
Si distinguono due specie di equità:
*l'''equità integrativa'' ha ambito limitato, e permette al giudice solo di specificare la portata di alcune [[norma giuridica|norme]] (ad es., determinare l'ammontare di un'[[indennità]]);
*l'''equità sostitutiva'' permette invece proprio di superare il dettato di una regola astratta, sostituita da un'altra regola che viene creata e applicata dal giudice in riferimento al caso concreto (non è detto, peraltro, che questa nuova regola contraddica quella prevista in astratto dal [[legislatore]]).
 
In quest'ultimo senso, l'equità trova il suo fondamento nella considerazione del rilievo socioeconomico, oltre che giuridico, di una controversia. La rigida applicazione della legge astratta a tutti gli infiniti possibili casi della vita reale potrebbe infatti determinare, nella singola ipotesi, situazioni di sostanziale ingiustizia; per questo motivo, a date condizioni, il legislatore permette al giudice di creare e applicare una regola ''ad hoc''. La dottrina parla perciò dell'equità come di "giustizia del caso singolo" o, meglio, "regola di giudizio del caso singolo".<ref>Crisanto Mandrioli. ''Diritto processuale civile''. Giappichelli. Torino, 2004.</ref>
 
Il concetto di equità ha anche assunto un significato speciale nella [[filosofia del diritto]] come categoria fondamentale per la costruzione del punto di vista giuridico sulla valutazione dei fatti. In particolare essa è concepita come criterio per stabilire un equilibrio (equilibrio equitativo) tra interessi di carattere morale e interessi utilitaristici, nei quali vanno compresi quelli che assicurano le esigenze di tutela di obbiettivi pubblici. (cfr. Giulio M. Chiodi, ''Equità. La regola costitutiva del diritto'', Giappichelli, Torino, 2000).
 
==Diritto internazionale==