Purgatorio - Canto ventiquattresimo: differenze tra le versioni

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I tre proseguono ancora a lungo meditabondi, quando una voce improvvisa chiede loro a cosa pensano: al che Dante si volta spaventato e vede la luce abbagliante dell'[[angelo]] dell'[[astinenza]], che indica loro la strada verso l'ultima cornice e toglie la sesta P dalla fronte del poeta, cantando la beatitudine "''Beati qui esuriunt et sitiunt iustitiam''" (ma in forma [[parafrasi|parafrasata]]: "Beati gli illuminati da Dio che non si fanno eccitare dalla gola e hanno fame di quanto è giusto").
 
==Analisi del canto==
Questo canto appartiene alla ricca categoria di canti danteschi in cui si assiste a riflessioni di [[poesia|poetica]] e [[letteratura]] da parte dell'autore, egli stesso fecondo scrittore di poesie [[Dolce Stil Novo|stilnovistiche]] e non, ma che approda nella ''[[Divina Commedia]]'' a una concezione sicuramente diversa, più alta e moralmente agonistica, della letteratura, rispetto agli scritti giovanili. Nelle parole che fa pronunciare a [[Bonagiunta Orbicciani]], egli mette a fuoco un unico punto cruciale: gli stilnovisti - e Dante per primo - scrivono solo quello che Amore detta loro, e in questo viene identificato il "nodo", l'impedimento che rende inferiori rispetto a questa le poetiche precedenti, legate come sono al senso convenzionale dell'[[amore]]; il [[Dolce Stil Novo]], invece, vuol essere soprattutto impostato su un nuovo concetto d'amore, dell'amore come affiatamento religioso dell'[[anima]]: Dante, cioè, così come [[Guido Cavalcanti|Cavalcanti]], [[Guido Guinizzelli|Guinizzelli]] e altri, interiorizzano il discorso amoroso, esprimendo una verità profonda che il poeta percepisce direttamente nella propria anima. Si noti anche come Dante enuncia questo principio: "a quel modo / ch'ei [cioè Amore] ditta dentro vo significando" (vv. 53-54), sottolineando quindi l'importanza di una componente di interpretazione, di riflessione, nel trascrivere le parole di Amore, "nota[te]" quando egli "ispira": solo interpretandola l'esperienza di [[Eros]] può essere oggetto di poesia. Bonagiunta però si perde un altro punto cruciale nella svolta stilnovistica: egli considera questa interpretazione interiore dell'amore l'unica differenza con la poesia precedente, eppure nota anche una componente stilistica che rende la "n[u]ova" poesia così diversa dalla precedente aspra, difficile, ''petrosa'' (come alcune rime dello stesso Dante); ed a questa componente vanno attribuite le due parole, così importanti per Dante e così presenti nel suo lessico poetico, di "dolce" e di "nuovo" (egli aveva d'altronde intitolato la sua raccolta di componimenti ''[[Vita Nova]]''). Ma se la [[donna]], nella ''Vita Nova'', era sì una donna-angelo, ma che conservava sempre i suoi connotati terreni, la [[Beatrice]] della ''Divina Commedia'' viene trasfigurata, perde ogni caratteristica puramente fisica, diventando [[simbolo]] trascendente della [[Grazia]] divina: Dante supera pertanto anche la poesia stilnovistica, che indirizzava al raggiungimento di un amore spirituale, attraverso un processo di astrazione con il quale il sentimento e la donna perdono ogni scoria terrena per diventare puro strumento di avvicinamento a [[Dio]].
 
==Altri progetti==