Le ceneri di Gramsci: differenze tra le versioni

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[[File:Gramsci Pasolini.jpg|thumb|right|250px|Pasolini davanti alla tomba di Gramsci]]
 
{{Citazione|Mi chiederai tu, morto disadorno,<br />d'abbandonare questa disperata<br />passione di essere nel mondo?|[[Pier Paolo Pasolini]], ''Le ceneri di Gramsci''<ref>[[Pier Paolo Pasolini]], ''Le ceneri di Gramsci'', Garzanti 1993.</ref>}}
'''''Le ceneri di Gramsci''''' è una raccolta di [[Poesia|poesie]] di [[Pier Paolo Pasolini]] pubblicata da [[Garzanti]] nel [[1957]].
 
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==Contenuto==
''L'Appennino'', datato in calce 1951, è il primo dei poemetti e apparve per la prima volta su "Paragone-Letteratura" nel dicembre [[1952]]. In un itinerario [[Geografia|geografico]]-[[Cultura|culturalecultura]]le, [[Storia|storico]]-[[Antropologia|antropologico]] dove domina poeticamente la luce bianca della [[luna]] e al cui centro ideale vi è la [[Monumento funebre a Ilaria del Carretto|statua]] di [[Ilaria del Carretto]] di [[Jacopo della Quercia]], l'autore percorre tutta l'[[Italia]] [[Italia centrale|centro]]-[[Italia meridionale|meridionale]], da [[Lucca]] a [[Napoli]]. Il motivo della bianca luna (motivo romantico) e la descrizione di Ilaria, fanno pensare al [[Giacomo Leopardi|Leopardi]] di ''Sopra un bassorilievo sepolcrale''.
 
''Il canto popolare'', datato 1952-53, è il secondo poemetto e fu pubblicato nel [[1954]] sotto forma di plaquette. In esso il [[popolo]], che partecipa alla storia per "magica esperienza", esprime la sua forza nel canto. Chiude il poemetto un'allocuzione a un giovane che canta spensieratamente sulle rive del [[Aniene|fiume Aniene]] un canto popolare, dove il pessimismo è mitigato dalla "forza" e "felicità" del ragazzo [[Proletariato|proletario]].
 
Segue il poemetto ''Picasso'' che apparve su "[[Botteghe oscure (rivista)|Botteghe oscure]]" nel [[1953]]. Esso è ambientato alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna, dove è allestita una mostra dedicata a [[Pablo Picasso]]. L'autore rileva nella [[pittura]] dello [[Spagna|spagnolo]] un "errore" che consiste nell'assenza in essa del popolo e del suo "brusio". Vi è dunque in questi versi una polemica implicita con l'''establishment'' culturale [[Comunismo|comunista]] che riteneva Picasso un [[Pittore|artista]] rappresentativo dell'[[ideologia]] marxista.
 
Il quarto poemetto, ''Comizio'', apparve sempre su "[[Botteghe Oscure (rivista)|Botteghe Oscure]]" nel settembre del 1954 con il titolo ''Notte in Piazza di Spagna''. Il poeta si trova per caso ad assistere ad un comizio del [[Movimento Sociale Italiano]] dove la "''falange, folta''" di neofascisti è caratterizzata da "''triste oscurità''" mentre il popolo, che è sano, rivela una "''oscura allegria''". Il mondo fascista è descritto come debole, precocemente vecchio e vile.<br />
Le ultime terzine sono dedicate al fratello Guido, [[partigiano]] morto in giovane età a [[Porzûs]], che egli rivede tra quella enorme folla simile a un [[Cristo]] deforme fra i mostri in un quadro di [[Hieronymus Bosch|Bosch]].
 
Il poemetto ''L'umile Italia'', il quinto, apparve nell'aprile del 1954 su "Paragone-Letteratura" e rappresenta la contrapposizione tra la cupa tristezza dell'Agro romano e la limpida luminosità del settentrione. Il [[Nord]], il cui emblema sono le rondini, è puro e umile e il Meridione è "sporco e splendido" ma "''È necessità il capire/ e il fare: il credersi volti/ al meglio" cercando di lottare pur soffrendo senza lasciarsi andare alla "rassegnazione-furente marchio/ della servitù e del sesso- / che il greco meridione fa/ decrepito e increato, sporco/ e splendido''".
 
Il sesto poemetto, dal titolo ''Quadri friulani'', apparve sulla [[rivista]] "[[Officina (rivista letteraria)|Officina]]" nel luglio del [[1955]] con il titolo ''I campi del [[Friuli]]'' ed è dedicato all'amico pittore [[Giuseppe Zigàina]].<br />
In esso la memoria dell'adolescenza ritorna sul paesaggio friulano e sul popolo "di braccianti vestiti a festa, / di ragazzi venuti in bicicletta / dai borghi vicini" con accenti [[Ugo Foscolo|foscoliani]]. "''Felice te, a cui il vento primaverile...."''.
 
Segue il poemetto che dà il titolo alla raccolta, ''Le ceneri di Gramsci'', datato 1954 e pubblicato sul n. 17-18 di "Nuovi Argomenti" del novembre- febbraio '[[1955|'55]]-[[1956|'56]].<br />
L'[[incipit]], "Non è di maggio questa impura aria" apre il poema sopra una [[primavera]] romana oscura e sporca. Il poeta, che è a colloquio con la tomba di Antonio Gramsci, dice che è lontano il "maggio italiano" nel quale il giovane Gramsci delineava "l'ideale che illumina" e che oggi tutto è tedio e silenzio. In questi versi di memoria foscoliana, Pasolini dichiara la propria posizione di intellettuale irregolare "''attratto da una vita proletaria / a te anteriore, è per me religione / la sua allegria, non la millenaria / sua lotta: la sua natura, non la sua /coscienza"'' e, pur cosciente di desiderare l'identificazione con il proletariato che è l'oggetto d'amore, sa di essere diverso.<br />
Le Ceneri proseguono con un ''excursus'' sul poeta [[Inghilterra|inglese]] [[Percy Bysshe Shelley |Shelley]]. Viene poi ripreso il dialogo con Gramsci dove il poeta confessa di essere anch'egli sedotto dal "sesso", dalla "luce" e dalla "lietezza" italiane e gli domanda: "''Mi chiederai tu, morto disadorno, /d'abbandonare questa disperata / passione di essere al mondo?''".<br />
Nell'ultima parte della sezione viene descritta la sera romana nel rione [[Testaccio]], dove i ragazzi giocano, felici, fuori dalla [[storia]] e il poeta, contrapponendosi a essi dice desolato: "''Ma io.../ potrò mai più con pura passione operare, / se so che la nostra storia è finita?''".
 
Segue alle Ceneri ''Recít'', pubblicato nel 1956 su "[[Botteghe Oscure (rivista)|Botteghe Oscure]]", dove il poeta prende lo spunto dall'accusa di oscenità che era stata fatta al suo [[romanzo]] ''[[Ragazzi di vita]]''.<br /> Siamo ancora in un quartiere romano, [[Monteverde Vecchio]], e il poeta ode le minacce dei persecutori "sordidamente ossessi / contro chi tradisce, perché è diverso", ma non è capace di odio, "''quasi grato al mondo per il mio male, il mio / essere diverso".''
 
Il terzultimo lungo poemetto è ''Il pianto della scavatrice'', apparso nel 1957 su "[[Il Contemporaneo]]", in cui Pasolini ricorda i primi tempi del suo esilio, dopo la fuga dal Friuli, per atti osceni, rimpiangendo quei momenti di vita. Segue il lamento di una scavatrice, simbolo delle borgate che scompaiono e di un mondo che si rinnova, e per questo piange.
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La raccolta si chiude con l'ultimo poemetto dal titolo ''La Terra di Lavoro'' che porta la data 1956 e che era uscito su "[[Nuovi Argomenti]]" nel 1957. Il poeta descrive un treno affollato di pendolari, soli, che hanno per nemici "''il padrone"'', ma anche "''il compagno che pretende / che lottino in una fede che ormai è negazione / della fede''".
 
La [[Lingua (linguistica)|lingua]] poetica di questa raccolta tende alla [[prosa]] e al [[Saggio|saggismo]], pur non mancando di accentuato, seppure impuro, [[Poesia lirica|lirismo]]. <br /> I [[Metro|metri]] adottati sono prenovecenteschi con impronta a volte [[Dante Alighieri|dantesca]] e più spesso [[Giovanni Pascoli|pascoliana]].
 
== Composizione musica ==