Teoria della comunicazione: differenze tra le versioni

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È opinione di alcuni storici<ref>per esempio Asa Briggs e Peter Burke, in ''Storia sociale dei media'', Il Mulino, Bologna 2007.</ref>che senza i giornali né la [[rivoluzione francese]] né quella [[rivoluzione americana|americana]] avrebbero avuto luogo. Infatti nel [[XVIII secolo]] entrarono in uso due concetti: quello di "opinione pubblica" e quello di "propaganda", che andarono crescendo e assestandosi all'interno della comunicazione pubblica fino alla [[prima guerra mondiale]], quando non era segreto, ma aveva comunque il suo effetto, che ogni governo avesse un proprio ufficio di propaganda bellica. La manipolazione dell'opinione pubblica diventò dunque un'attività scientifica e vennero create varie teorie della comunicazione applicate a quella che venne definita la "psicologia di massa". Tra tecniche di marketing, studi sull'incoscio dei gruppi<ref>Per esempio di Abraham Lipsky (1872-1946) con il suo ''Man the Puppet: the Art of Controlling Minds''' ([[1925]]) che sosteneva che tanto più era possibile condizionare le masse in quanto le si doveva cogliere a uno stadio pre-razionale, usando meno la logica e più l'emotività, regola diventata poi d'oro sia a livello pubblicitario sia a livello di propaganda politica.</ref>, orientamenti di tipo psicologico visivo e auditivo (complice lo sviluppo della radio e i regimi dittatoriali europei), gestione di informazioni per la creazione di ''opinion leader'' ecc. si arrivò persino a definire l'età dell'"uomo comune" intorno ai 13 anni<ref>cfr. Chiara Ottaviano e Peppino Ortoleva, ''Guerra e mass media. Gli strumenti del comunicare in contesto bellico'' Liguori, Napoli 1994.</ref>.
 
Con la secondà metà del [[XX secolo]], l'avvento della televisione e lo sviluppo della sociologia applicata ai [[Mezzo di comunicazione di massa|mass media]], le teorie della comunicazione di massa andarono sviluppandosi ulteriormente<ref>cfr. Elizabeth J. Eisenstein, ''La rivoluzione inavvertita. La stampa come fattore di mutamento'', Il Mulino, Bologna 1986.</ref>. Contributi decisivi vennero dati da [[http://it.wikipedia.org/wiki/Harold_Innis Harold Hinnis]Innis], [[Walter J. Ong]], [[Vance Packard]], [[Marshall McLuhan]], [[Erving Goffman]], [[Noam Chomsky]], e più recentemente [[Joshua Meyrowitz]] e [[Philippe Breton]]. In particolare la televisione venne accusata di essere uno strumento di perdita di controllo sociale da parte di altre istituzioni come la scuola, i partiti politici e le chiese. Filosofi come [[Karl Popper]] e politologi come [[Giovanni Sartori (politologo)|Giovanni Sartori]] si trovarono d'accordo nel condannare la degenerazione culturale che passa in televisione, ritenuto uno strumento pericoloso di consenso artificiale e omologazione.
 
Solo con il [[secolo XXI|nuovo millennio]] e i canali tematici delle televisioni non più di monopolio, come pure con l'accesso globale attraverso i satelliti e soprattutto con [[internet]], si è spostata l'attenzione dal "pericolo" televisivo a nuovi studi di comunicazione, con la creazione di dipartimenti universitari di ''media studies'' e lo scambio di teorie scientifiche sulla comunicazione attuale, su come viene modellato il nostro senso del mondo anche attraverso l'informazione incontrollata, essendo l'eccesso di disponibilità una nuova preoccupazione.