Lapidari: differenze tra le versioni

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{{F|letteratura|ottobre 2013}}
[[File:86-minerali. Antracite.jpg|thumb|''Raccolta dell'[[antracite]]'', illustrazione del lapidario ''Hortus Sanitatis'', Venezia, 1511]]
I '''lapidari''' erano [[trattato (opera)|trattati]] che descrivevano le virtù delle pietre. Essi alimentarono un cospicuo [[genere letterario]] che ebbe una prima fioritura già nella tarda [[ellenismo|epoca ellenistica]], ma i cui prodotti furono ampiamente diffusi almeno fino al [[Rinascimento]]. Dal punto di vista letterario, non si trattò di un nuovo genere, poiché riprendeva teorie e credenze già descritte da autori classici, quali [[Gaio Giulio Cesare|Cesare]], [[Plinio il Vecchio]], [[Tacito]], [[Marco Terenzio Varrone|Varrone]], [[Strabone]], [[Origene]], ecc., e da autori medievali quali [[Solino]] o [[Isidoro da Siviglia]].
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Nei lapidari confluirono conoscenze dotte e popolari: lo stesso linguaggio [[lingua latina|latino]] con il quale erano scritti, all'epoca delle prime compilazioni non era ancora incomprensibile al popolo rurale non essendosi ancora sviluppati i [[lingua volgare|volgari]]. I lapidari, a differenza di [[erbario|erbari]] e [[bestiario|bestiari]], non presentavano solitamente illustrazioni, poiché era quasi impossibile rappresentare le differenze tra le varie pietre con la [[miniatura]]; le poche illustrazioni presenti raffiguravano, in genere, i procedimenti di raccolta o di lavorazione delle pietre stesse e risalgono, a parte qualche raro disegno, a dopo l'introduzione, in Europa, del [[Stampa (processo)|processo di stampa]] a [[caratteri mobili]].
 
==Bibliografia==
*Galloni Paolo, ''Il sacro artefice'', Laterza, Bari 1998.
 
== Voci correlate ==